Cerca nel blog
Labels
Blog Archive
- maggio 2018 (1)
- febbraio 2018 (2)
- gennaio 2018 (3)
- dicembre 2017 (1)
- novembre 2017 (2)
- settembre 2017 (3)
- agosto 2017 (1)
- maggio 2017 (1)
- febbraio 2017 (3)
- gennaio 2017 (2)
- dicembre 2016 (1)
- novembre 2016 (2)
- ottobre 2016 (1)
- settembre 2016 (2)
- luglio 2016 (1)
- ottobre 2015 (2)
- luglio 2015 (3)
- giugno 2015 (5)
- maggio 2015 (2)
- aprile 2015 (2)
- marzo 2015 (1)
- febbraio 2015 (5)
- gennaio 2015 (3)
- dicembre 2014 (4)
- novembre 2014 (12)
- ottobre 2014 (5)
- settembre 2014 (4)
- luglio 2014 (2)
- giugno 2014 (6)
- maggio 2014 (3)
- aprile 2014 (3)
- marzo 2014 (2)
- gennaio 2014 (2)
- dicembre 2013 (2)
- novembre 2013 (2)
- ottobre 2013 (3)
- settembre 2013 (1)
- agosto 2013 (5)
- luglio 2013 (5)
- giugno 2013 (5)
- maggio 2013 (7)
- aprile 2013 (6)
- marzo 2013 (3)
- febbraio 2013 (1)
- gennaio 2013 (5)
- dicembre 2012 (4)
Copyright by Adele Iasimone e Laura Solla. Powered by Blogger.
Featured Posts
Social Networks
About us
Recent Posts
Video of the Day
Flickr Images
Like us on Facebook
Most Trending
-
Claude Monet, autoritratto, 1866 Nasceva il 14 Novembre di ben 176 anni fa il padre dell'Impressionismo: buon compleanno Claude M...
-
Basilica di Sant'Elena Imperatrice e Cappella di N.S. di Bonaria, Quartu Sant'Elena Piazzale della Basilica di Sant'Elena...
-
L'incendio del Teatro San Carlo di Napoli del 1817 di Salvatore Pergola. 13 febbraio. Il teatro San Carlo di Napoli , il più antico...
-
L' enigma di Magritte è legato al dipinto di Renè Magritte "la Posa Incantata" realizzato nel 1927 e che fu tagliato dal ...
-
La storia di santa Cecilia è davvero molto particolare e si inserisce in quella serie di racconti che hanno condizionato la storia e,...
-
Firenze . La mano del Ratto di Polissena gira il Web a denuncia di un nuovo atto vandalico. " Mozzato il dito [...]" tuonano i gi...
-
"La scultura è un'arte che, levando il superfluo dalla materia suggetta, la riduce a quella forma di corpo che nella idea dell...
-
Chi conosce la tecnica della fusione a cera persa ? E come spiegarla? L'Israel Museum di Gerusalemme, lo scorso anno, ha affidato il...
-
Tito Flavio Vespasiano, nato il 17 Novembre dell'anno 9, imperatore romano, ha fondato la dinastia Flavia. Ecco come ce lo racconta...
-
Se tornassimo indietro nel tempo di circa trenta anni, tutti saprebbero chi è Charles M. Schulz. Quanti di voi conoscono il nome di questo ...
Popular Posts
-
Chi conosce la tecnica della fusione a cera persa ? E come spiegarla? L'Israel Museum di Gerusalemme, lo scorso anno, ha affidato il...
-
La storia di santa Cecilia è davvero molto particolare e si inserisce in quella serie di racconti che hanno condizionato la storia e,...
-
Un articolo, il lutto. Sono morti degli edifici, non delle persone. Eppure vedere la polvere che aleggia sulle macerie di pezzi del nost...
-
Se tornassimo indietro nel tempo di circa trenta anni, tutti saprebbero chi è Charles M. Schulz. Quanti di voi conoscono il nome di questo ...
-
Firenze . La mano del Ratto di Polissena gira il Web a denuncia di un nuovo atto vandalico. " Mozzato il dito [...]" tuonano i gi...
Ferragosto: la Cultura in vacanza
15 agosto, Is Arutas.
Destinazione mare, Cabras, provincia di Oristano.
Mi trovo in una spiaggia affollatissima, che si estende per qualche centinaio di metri, come una baia tra due basse scogliere. La bellezza del mare d'estate incanta: una brezza leggera si alza dal mare, l'acqua è fredda, ma il suo colore verde acqua, così cristallino, ha un richiamo fortissimo. Camminando sulla riva, le onde travolgono le gambe, e i piedi affondano in quella sabbia, formata da granelli di quarzo tondeggianti, più piccoli dei chicchi di riso, perlopiù bianchi, ma anche con sfumature verdi, rosa, aranciate.
E ti ritrovi a pensare alla Cultura. Ti domandi come ti possa venire in mente pensare alla cultura quando intorno a te vedi collina, spiaggia, rocce, mare, un chiosco di legno oltre la spiaggia, e macchine, ombrelloni, persone.
Niente case a vista qui intorno. Niente costruzioni di comfort. Solo il brullo, verde, paesaggio sardo brunito dal calore del sole, e appiattito dal vento.
Arrivati alla fine della spiaggia incontriamo la scogliera, perlopiù scura e dall'aspetto ruvido e spugnoso.
Alla domanda: "Di che roccia si tratta?" nella mia mente si riaccendono le lezioni di petrografia.
E rientriamo così, in una giornata di mare, nelle C sm-Art People: Curiosare.
Sono forse in un ambiente di interesse culturale? Sono in un'area marina protetta, onorata di poterci spendere la mia giornata in costume, ospite di un paesaggio speciale.
Forse è bene proprio qui parlare di Cultura.
Per Cultura preservare i luoghi così come la Natura e il tempo ce li tramandano;
per Cultura realizzare che anche una bellezza di questo tipo è un bene del nostro territorio;
per Cultura ricordarci di non lasciare rimasugli in spiaggia;
per Cultura non portarsi via la sabbia;
per Cultura parlare di beni paesaggistici e ambientali riconosciuti nel Codice dei Beni Culturali;
per Cultura pensare a tutto questo come una risorsa, ma non come un luogo da sfruttamento selvaggio.
Cammino in direzione opposta. Torno indietro pensando che sia quasi un miracolo una non colonizzazione della zona: e dovrebbe restare così. Stiamo diventando così incapaci di camminare, di meravigliarci, di lasciare un angolo della Terra così come la Natura lo preserva fino a noi. E che qui il lato selvaggio della natura viene ancora risparmiato.
Mi immergo in quel mare, ne respiro l'essenza. Quando esco dall'acqua mi siedo per cercare il rumore di quei chicchi di quarzo che scorrono nelle mie mani
e ne osservo lo scivolare tra le mie dita.
Percepisco il cambiamento della luce, tutto sembra aranciato, sollevo lo sguardo, e mentre i toni caldi oscurano il blu del cielo, è già tramonto.
![]() |
Is Arutas al calar del sole |
Author : Unknown
Il richiamo delle "Canne al vento"
Questa sera sono tornata all'Ex Convento dei Cappuccini di Quartu Sant'Elena in occasione della manifestazione estiva Quartu Colora l'Estate 2013.
Devo dirmi stupita di trovare tante iniziative gratuite per la città che andranno avanti per oltre un mese, in orario serale, in belle location quali parchi, o luoghi di interesse storico quale il chiostro, salvo non comprendere l'incapacità di sponsorizzare fortemente l'iniziativa.
Caro Comune, hai una pagina Facebook creata appositamente per la rassegna nel 2012: davvero è possibile che ad oggi tu abbia raggiunto 620 cittadini, che corrispondono allo 0.9% scarso della tua popolazione residente? Perché comunicare dell'iniziativa che inizia l'11 agosto solo due giorni prima?
Caro Comune, i cittadini, che sono bravi a lamentarsi sui social, hanno però bisogno di sentirsi coccolati, di vederti presente e premuroso, ricco di iniziative. Spero che tu possa cogliere le loro esigenze, che nonostante tutto, hanno risposto al richiamo di Grazia Deledda.
L'associazione Figli d'Arte Medas ha proposto una lettura di "Canne al vento", capolavoro della scrittrice sarda, Grazia Deledda, nata a Nuoro nel 1871, che vinse il Nobel per la Letteratura nel 1926.
Con la rassegna nella rassegna "Geografie letterarie - Viaggio in Sardegna attraverso le pagine dei libri", il pubblico è stato portato in viaggio nella Sardegna di un secolo e mezzo fa attraverso la voce narrante di Gianluca Medas, accompagnato dalla musica dal vivo di Andrea Congia.
"Tutto il giorno Efix, il servo delle dame Pintor, aveva lavorato a rinforzare l’argine primitivo da lui stesso costruito un po’ per volta a furia d’anni e di fatica, giù in fondo al poderetto lungo il fiume: e al cader della sera contemplava la sua opera dall’alto, seduto davanti alla capanna sotto il ciglione glauco di canne a mezza costa sulla bianca “Collina dei Colombi”.
Eccolo tutto ai suoi piedi, silenzioso e qua e là scintillante d’acque nel crepuscolo, il poderetto che Efix considerava più suo che delle sue padrone: trent’anni di possesso e di lavoro lo han fatto ben suo, e le siepi di fichi d’India che lo chiudono dall’alto in basso come due muri grigi serpeggianti di scaglione in scaglione dalla collina al fiume, gli sembrano i confini del mondo."

Ben presto ci accorgiamo che le dame Pintor, Ruth, Ester e Noemi, un tempo simbolo del paese, ora nobili in decadenza, oltre alla loro condizione sociale, assistono al declino della propria giovinezza e della propria vitalità. E con loro, Efix il loro servo, e Giacinto il loro nipote, entriamo nel vortice della debolezza umana...
ed esco da questa atmosfera con le parole di colui che si è definito un vecchio narratore:
nell'era delle comunicazioni, non siamo più capaci di esprimere le nostre emozioni, e la bellezza sta lì, nella loro completezza.
Ricerchiamo la bellezza delle parole, del loro suono, della sensazione che vogliamo suscitare.
E mentre mi stendo per riposare, il mio pensiero torna a quel libro dalla sovracoperta color arancio e blu, letto e ri-letto, come se ancora mi mancasse una parte della sua essenza.
Nella sua lettura mi sono sentita parte viva di questa terra che porto dentro di me, che chiudendo gli occhi posso respirare, che porto nei miei tratti e nei miei atteggiamenti come i personaggi del libro.
Il romanzo lascia un che di polveroso, un senso di inesorabile scorrimento del tempo, un senso quasi di impotenza all'incessante avanzare della decadenza.. ma noi oggi, riunendoci in un chiostro ad ascoltare una vecchia storia, ci siamo fatti attirare dall'incantesimo del racconto nella sua forma più tradizionale.
Quasi cento persone erano lì stasera. Come chiamare questo richiamo?
Io lo chiamerei il richiamo della bellezza, della riscoperta delle piccole cose, della piazza affollata solo per sentire una storia che potrete vivere leggendo il romanzo alla fine di una torrida estate.
"Sì, siamo esattamente come le canne al vento.
Noi siamo le canne e la sorte il vento".
Ester "Sì, va bene, ma perché questa sorte?"
Efix: "E perché il vento? Solo Dio lo sa"
Author : Unknown
Luoghi: Sulle orme di Spartaco
Inauguro la mia rubrica "Luoghi" tornando con la mente a circa un mese fa. Era il 09 di luglio e nell'assolata Campania decido di dedicarmi alla visita dell'anfiteatro di S.Maria Capua Vetere, attuale denominazione della città romana di Capua, definita da Cicerone "La seconda Roma". Era famosa in tutto l'impero per la bellezza dei luoghi, il clima gradevole e per la presenza delle scuole di gladiatori, tenute da nobili possidenti, i lanisti.
Da qui nasce la fama di questo luogo legato ad un personaggio, Spartaco, che attuò la rivolta degli schiavi che (concedetemi la licenza di spaziare tra le gesta greche e romane) "infiniti lutti addusse" ai romani tra il 73 e il 71 a.C. Il sito vanta però altri primati che in questo breve mio intervento vorrei sottolineare compiendo una visita per parole ed immagini che vi faccia ripercorrere i bei momenti di un luogo magico. Si comincia dal piazzale che si affaccia sul sito. Da qui si ammira l'anfiteatro del I secolo d.C., i resti della necropoli del IV secolo a.C e le fondamenta dell'anfiteatro di età repubblicana (130-90 a.C) che vanta il primato di essere l'unico teatro stabile al mondo conosciuto di quell'epoca, in concorrenza con quello più famoso di Pompei eretto nel 70 a.C.
Già da questa panoramica si percepisce la sacralità del luogo, dedicato fin dagli inizi a riti di commemorazione funebre che furono all'origine della tradizione gladiatoria. Lo spettacolo si ha però oltrepassando la soglia d'ingresso (per noi, io e mia sorella, umili visitatrici di una calda estate, sbarrata all'inizio da una transenna che in autogestione abbiamo dovuto spostare).
![]() |
Arena |
Davanti ai vostri occhi si dischiude la grandezza di Capua. L'anfiteatro "imperiale", costruito nel I secolo d.C., è secondo per grandezza solo al Colosseo ed ha un sistema di gestione degli ingressi e una caratterizzazione architettonica da fare invidia ad osannati architetti ed ingegneri contemporanei. Il sistema di accesso degli spettatori era regolato da un ricco gioco di archi e pilastri collegati da corde e/o transenne. Ogni settore era distinto con chiavi d'arco raffiguranti divinità, tra le quali Giunone, Minerva e la personificazione del fiume Volturno visibili in tutta la loro bellezza nel museo dei gladiatori al lato dell'anfiteatro dove, tra l'altro, vi sono resti delle transenne divisorie con temi animaleschi, ricostruzioni di armi e corazze dei gladiatori e un plastico che riproduce l'anfiteatro nella sua interezza. Doveva essere un'opera straordinaria con decorazioni in marmo alternate a cavea e arena in pietra.
Per saggiare una piccola parte di quella che era la magnificenza del luogo, dall'arena basta voltarsi verso est: davanti a voi si profila la facciata originaria costruita su quattro livelli in cui si riconoscono teste di divinità all'incrocio degli archi e finissime colonnine doriche.
![]() |
Facciata lato est |
Queste facciate davano accesso diretto all'arena e se vi ponete al centro di essa potete ammirare i 4 ingressi principali e la maniacale divisione di posti e spazi facilmente distinguibili grazie all'alternanza di materiali e all'abile gioco architettonico. Prima di entrare nel cuore della visita vi indico un ultimo dettaglio: sul lato nord sono visibili i resti di una chiesa insediata nel IV/V secolo d.C. della quale resta l'altare e residui di affreschi, purtroppo non visitabili da vicino per la presenza di transenne che la escludono dal percorso di visita.
![]() |
Arena lato nord |
Il miracolo vero e proprio accade, però, accedendo ai sotterranei suddivisi in nove corridoi lunghissimi dove si può ammirare lo spectaculum (la macchina da spettacolo) che consentiva ai gladiatori di accedere all'arena e cominciare i loro combattimenti, mentre in corrispondenza dei lati dell'arena vi erano le aperture per consentire l'accesso degli animali, protagonisti della venationes, i giochi che prevedevano il combattimento tra animali o dei gladiatori con gli animali (di solito belve catturate nella campagne di guerra in Africa).
![]() |
Sotterranei |
La visita ai sotterranei è un'esperienza unica a mio avviso che unisce l'interesse per la conoscenza di queste mirabolanti strutture architettoniche al sentire, seppur lontano nel tempo, dell'eco di quella gloria fugace che ebbero quegli schiavi di fronte allo spettacolo che offrivano ai romani. Vi è, poi, un sistema idrico di gestione delle acque detergenti che venivano spruzzate sulla folla quando la calura e la spossatezza di intere giornate sulle gradinate si facevano sentire. Il sistema di diffusione delle acque, tuttora funzionante, è il fiore all'occhiello dell'ingegneria romana, famosa nel mondo per gli acquedotti, i progetti fognari e il convoglio delle acque.
Il sito dell'anfiteatro campano è un luogo che resta nel cuore perché è sorprendente come si avverta la romanità in una città non vicinissima alla capitale. Conserva, sebbene rimanga inserita in un contesto ormai ultramoderno, quel sapore quasi mitologico che caratterizza la storia romana.
![]() |
Sotterranei |
Il sito dell'anfiteatro campano è un luogo che resta nel cuore perché è sorprendente come si avverta la romanità in una città non vicinissima alla capitale. Conserva, sebbene rimanga inserita in un contesto ormai ultramoderno, quel sapore quasi mitologico che caratterizza la storia romana.
Gli scavi di questi luoghi sono cominciati nel lontano 1726 e nei secoli hanno subito diverse sospensioni e riprese (io stessa nel lontano 2002 feci un tirocinio presso lo scavo). Attualmente è gestito da un'azienda privata che ha investito in collaborazione con il ministero nel progetto di recupero dell'area realizzando un punto ristoro e servizi di accesso al sito.
Devo però sottolineare delle mancanze che interrompono il filo magico della visita: le foto vi dimostreranno l'incuria a cui è sottoposto l'anfiteatro, senza considerare il totale abbandono delle strutture, dato che non abbiamo avvistato nessun custode all'interno del sito. Aggiungerei l'assenza di personale qualificato che possa offrire informazioni ai turisti che arrivano al luogo. La biglietteria e il punto ristoro sono un tutt'uno; il bookshop allestito nelle sale del bar (dove ho comprato una breve guida, datata e davvero scarna) non risponde ad una precisa selezione di testi che potrebbero completare la visita.
Un'opera di salvaguardia è stata comunque compiuta e diamo atto di impegno negli ultimi anni anche da parte del comune che sta realizzando una serie di iniziative volte a sponsorizzare e valorizzare il sito. A tal proposito vi segnalo l'iniziativa "Invadeteci sotto il cielo di Spartaco" i cui dettagli sono a questo link
La strada però è lunga. Si potrebbe prendere spunto proprio da Spartaco: coraggio nelle scelte, nella costanza e nell'attenzione ad un progetto condiviso di promozione del territorio, compartecipato con istituzioni e cittadini.
Devo però sottolineare delle mancanze che interrompono il filo magico della visita: le foto vi dimostreranno l'incuria a cui è sottoposto l'anfiteatro, senza considerare il totale abbandono delle strutture, dato che non abbiamo avvistato nessun custode all'interno del sito. Aggiungerei l'assenza di personale qualificato che possa offrire informazioni ai turisti che arrivano al luogo. La biglietteria e il punto ristoro sono un tutt'uno; il bookshop allestito nelle sale del bar (dove ho comprato una breve guida, datata e davvero scarna) non risponde ad una precisa selezione di testi che potrebbero completare la visita.
Un'opera di salvaguardia è stata comunque compiuta e diamo atto di impegno negli ultimi anni anche da parte del comune che sta realizzando una serie di iniziative volte a sponsorizzare e valorizzare il sito. A tal proposito vi segnalo l'iniziativa "Invadeteci sotto il cielo di Spartaco" i cui dettagli sono a questo link
La strada però è lunga. Si potrebbe prendere spunto proprio da Spartaco: coraggio nelle scelte, nella costanza e nell'attenzione ad un progetto condiviso di promozione del territorio, compartecipato con istituzioni e cittadini.
Orari di apertura: dal martedì alla domenica dalle 09:00 fino ad un'ora prima del tramonto.
Author : Unknown
Valore Cultura ad andamento lento
Roma 02 agosto 2013. Data storica per la cultura; dopo circa 30 anni di silenzio, dal Mibac il ministro dei beni culturali e del turismo Massimo Bray presenta un decreto dal titolo emblematico: "Valore Cultura".
Due termini che accostati sembrano una bomba ad orologeria pronta a scoppiare al primo tocco. E in un certo senso la bomba c'è. Dopo anni di peregrinazioni e tribolazioni il Mibac, ridotto ormai ad un fantasma, come l'araba fenice sembra risorgere dalle proprie ceneri, sebbene lo faccia a piccoli passi.
Il decreto, le cui slide potere consultare qui, presenta novità incoraggianti volte ad inaugurare un percorso caratterizzato da trasparenza e fiducia in un settore che finalmente deve prendersi la rivincita da anni di dimenticatoio e porsi come risorsa fondamentale per la rinascita del paese. Vanno riconosciute al ministro Bray l'attenzione, l'impegno e la partecipazione alla costruzione di un nuovo corso per la cultura e gli interventi mirati a rilanciare il sud ne rivelano le radicate competenze e la profonda conoscenza del settore e delle sue risorse.
Voglio dargli fiducia nel progetto Pompei semplicemente perché non abbiamo scelta vista l'incombenza del commissariamento europeo e auspico che questo diventi un incipit florido per il futuro dei nostri siti archeologici che da questo progetto possano trarre linfa per alimentare buoni prassi di gestione e conservazione.
Trovo, inoltre, meraviglioso il provvedimento dedicato alla lirica, alla musica e ai teatri che finalmente possono respirare e ritornare in auge con il loro ruolo cruciale di portare alta la tradizione lirico musicale in tutto il mondo.
Chiudiamo in bellezza con le note positive facendo riferimento al ritorno al Ministero degli incassi provenienti dalla vendita dei biglietti. Per quale assurdo e incomprensibile motivo nel 2008 vennero destinati alle casse statali? Si trattava di una norma becera che non rendeva giustizia agli sforzi del ministero e ai contributi dei visitatori che quei luoghi avevano apprezzato.
Veniamo, però, ai nodi del decreto che non cambiano la situazione delle assunzioni e dell'inserimento di professioni specializzate nell'ambito della gestione, conservazione e valorizzazione del patrimonio artistico-culturale.
Per il progetto Pompei, oltre al direttore dei lavori, sono previste cinque figure professionali: una giuridica, una economica, una architettonica, una urbanistica e una infrastrutturale. In un sito archeologico non sarebbe più logico prevedere archeologi, restauratori e conservatori per la messa a punto del progetto? Per anni Pompei è stata gestita da economi, architetti e ingegneri. Risultato? Debiti, mancanza di trasparenza e crolli. Di certo il problema non sta nelle qualifiche, ma credo sia assolutamente necessario il riconoscimento professionale per gli addetti ai lavori. Si tratta di figure specializzate ed assolutamente in grado di gestire pianificazioni di questo tipo.
Altra questione è quella del tirocinio: 500 laureati under 35 per inventariare, catalogare e digitalizzare il patrimonio. Vorreste dirmi che per digitalizzare il patrimonio basti un tirocinio di un anno? Perché ancora una volta illudere 500 persone? E perché proporre qualcosa di già visto? Culturaitalia ed Europeana non bastano come esempi a testimoniare lo scempio in cui versano questi progetti?
Su questo avrei una proposta: perché non pensare ad un progetto nazionale di "Cultura Digitale"? Dividere i lavori per regioni ed istituire organi stabili e competenti per la gestione delle risorse multimediali. Internet e i digital content sono la nuova frontiera. O vogliamo ancora restare chiusi nei nostri musei.... chiusi? Bisogna investire sulla forza lavoro di tutta una fascia di persone che è pronta per cominciare questa rivoluzione. Siamo stati formati per questo ed è giunto il momento di darci un'occasione. Ho trovato molto interessante a tal proposito il post del professor Giuliano Volpe che appunto analizza la questione del digitale non come "un gioco da ragazzi" e mette sul piatto una concreta buona prassi da cui prendere spunto. Si dovrebbe cominciare da qui invece di proporre tirocini senza sbocco.
Su questo avrei una proposta: perché non pensare ad un progetto nazionale di "Cultura Digitale"? Dividere i lavori per regioni ed istituire organi stabili e competenti per la gestione delle risorse multimediali. Internet e i digital content sono la nuova frontiera. O vogliamo ancora restare chiusi nei nostri musei.... chiusi? Bisogna investire sulla forza lavoro di tutta una fascia di persone che è pronta per cominciare questa rivoluzione. Siamo stati formati per questo ed è giunto il momento di darci un'occasione. Ho trovato molto interessante a tal proposito il post del professor Giuliano Volpe che appunto analizza la questione del digitale non come "un gioco da ragazzi" e mette sul piatto una concreta buona prassi da cui prendere spunto. Si dovrebbe cominciare da qui invece di proporre tirocini senza sbocco.
L'ultima riflessione, last but don't least, la rivolgo all'idea del "Polo museale di Napoli e Caserta" e lo faccio con una punta di affetto essendo casertana. Conosco bene la situazione del territorio ed, ahimè, conosco l'incuria e l'abbandono in cui versano siti archeologici, medievali e settecenteschi che dalla Reggia distano pochi chilometri. Mi chiedo allora: perché accostare la Reggia (e San Leucio) a Napoli senza considerare l'importanza e la vastità di un territorio cardine della cultura contadina, artigiana e culturale dell'intera nazione? L'alto casertano è la regione che diede alla Campania l'appellativo di felix in epoca romana e la denominazione "Terra di lavoro" con la quale da secoli viene passata alle cronache le è stata attribuita proprio per la ricchezza di terre, coltivazioni e cultura: dai templi delle Matres Matutae alla grandezza di Capua; dalla scuola napoletana del Solimena alla bellezza della Reggia di Carditello. Non meriterebbe da sola una sovrintendenza per il rilancio di una terra abbandonata a se stessa?
Chiudo il post con mille interrogativi sperando in esaudienti risposte e confronti.
Chiudo il post con mille interrogativi sperando in esaudienti risposte e confronti.
Ringrazio il ministro e gli auguro buon lavoro, ma credo che bisognerebbe stare attenti a questi "dettagli". Sono le piccole cose che fanno le rivoluzioni e queste mie riflessioni vogliono solo essere uno sfogo di idee confidando in una futura direzione in questo senso.
"Rome wasn't built in a day" cantava qualcuno; bisogna, però, cominciare da buone fondamenta per entrare nel mito.
Ad maiora, Bray.
Author : Unknown
La notte delle creature genera mostri... di riflessione
Lunedì 22 luglio 2013 è andata in scena a Ravenna in Piazza del Popolo "La notte delle creature", spettacolo en plein air di acrobati, tessutisti e danzatori, organizzato dal Comune di Ravenna e dall'Accademia Perduta/ Romagna Teatri. Il tutto per festeggiare la ricorrenza più importante della città: il festeggiamento del patrono, s.Apollinare. Spettacolo superbo e accattivante che ci ha tenuti incollati al palco per un'ora e 30 circa.
Subito dopo, per completare il tutto, ho assistito a "Il cielo dorato a S. Apollinare Nuovo", installazione di video mapping architetturale a cura di Andrea Bernabini che ha omaggiato gli 8 siti Unesco della città con immagini di mosaici e giochi geometrici a ritmo di musiche celestiali.
Al di là delle performance o delle qualità tecniche, sceniche e fisiche degli artisti, e oltre la bellezza del video proiettato sulle architetture, quello che mi è rimasto della serata sono state delle domande, scaturite dall'impressionante fiumana di gente che si è accalcata per assistere agli spettacoli.
Perché tutta questa gente? Perché tutti interessati alla cultura, all'arte e alla storia della città?
Senza dubbio da ravennate acquisita e conoscitrice di molte altre realtà fuori dalla città, riconosco a Ravenna la particolarità di fare della cultura e dell'arte il leit motiv della loro vita cittadina. C'è, però, qualcosa di diverso; un'attenzione che prescinde questa predisposizione.
Queste domande le rivolgo anche a voi lettori sperando in una risposta illuminante.
Quello che invece mi sono risposta io è che non potrei vivere senza. E non potrei vivere rischiando che questo scompaia. Sembra blasfemo eppure il nostro patrimonio è sempre più in balia della noncuranza e dell'indifferenza delle istituzioni, capaci di ergerlo ad orpello nelle sale istituzionali e nelle stesse, girando le spalle, condannarlo a morte certa. Sarò catastrofica eppure non posso esimermi dal dichiararlo.
Ho scelto la strada difficile della cultura, dove o sei volontario o non hai possibilità di accesso. Eppure non tornerei mai indietro, non cambierei mai rotta perché se c'è qualcosa che mi fa sentire vivo è questo ripercorrere il passato con occhi sempre nuovi e moderni, rivivendolo alla luce di quello che adesso è la nostra arte.
La rabbia che ti sale quando scopri che ci sono uffici che dovrebbero essere riempiti, luoghi culturali da valorizzare, tutelare e conservare, beni culturali da rimettere in sesto, opere che necessitano di restauri, è indescrivibile. Dove siamo tutti quando la cultura si spegne?
La calca assiepata per s. Apollinare Nuovo perché non riconosce il valore di questo inestimabile patrimonio e si impegna a preservarlo? La cultura è il frutto della mente delle persone, di una determinata società che ha fatto in modo di conservarla nel tempo.
Un uomo che metaforicamente conquista la Luna volteggiando nel cielo, moderni atleti che ricordano quelli olimpionici fissati nel marmo di Fidia che sfidano la forza di gravità, lotta perenne tra bene e male, il bianco e il nero dell'anima e poi i versi di Dante sono solo un breve sunto di quello che accade in una piazza gremita, carica di simboli eterni di storia di uomini che l'hanno resa grande.
Calato il sipario, però, si torna alle nostre vite attendendo chissà quando un momento così. Solo il mio pensiero resta lì a cercare di capire come posso far in modo che lo spettacolo non finisca mai e che il mito del nostro passato e l'arte del nostro presente siano reali e vissuti generando ricchezza, sia essa spirituale o materiale.
Il tempo mi darà risposte o rassegnazione?
Nescio, sed fieri sentio et excrucior.
Author : Unknown
Il Cielo Dorato di Sant'Apollinare Nuovo
Da qualche giorno e fino a stasera, sulla facciata della Basilica di Sant'Apollinare Nuovo, a partire dalle 22, è possibile vedere Visioni di Eterno 2013, un progetto di Video mapping architetturale 3D, ideato dall'artista Andrea Bernabini per la città di Ravenna.
Terminata la Notte delle Creature ho avuto il piacere di assistere alla folla di persone che desideravano entrare nello spazio antistante la Basilica per vedere questa installazione di luce. E questo non è solo festa, è Cultura, è ciò che un evento legato alla storia e all'arte può smuovere in una sfumatura moderna, supportata dalle nostre tecnologie.
Parte la visione, la musica, compare un ingranaggio che smaterializza la Basilica per poi illuminarla e decorarla di inconsueto. I mosaici scorrevano sulle superfici murarie come se queste non potessero scalfirle coi loro pieni e vuoti...

Fino a quando il fluido del tempo sembrerà portare via queste visioni per portarci sul piano architettonico, come un gioco di montaggio e smontaggio di pezzi costruttivi differenti.
La visione continua nella smaterializzazione del campanile, nel pensiero di una donna, nell'alchimia di medaglioni mosaicati che risalgono in un cilindro come bolle in un acquario.

Ma la Basillica stessa richiama la sua essenza spirituale con un suono ed una visione d'organo, una panoramica dei mosaici dedicati a Sant'Apollinare, fino a quando la visione lascia spazio ad uno scrigno di ingranaggi astrali che ci riportano al nostro tempo.
Il progetto è in collaborazione con l'Assessorato al Turismo e alla Cultura del Comune che prevede le proiezioni di mapping architetturale sugli otto monumenti Unesco della città.
Di seguito potete vedere il mapping architetturale 3D sul Mausoleo di Teodorico, realizzato nel 2012.
Il cielo Dorato di Sant’Apollinare Nuovo
Installazione Video mapping architetturale 3D
Director: Andrea Bernabini N.E.O. Visual Project Ravenna
Visual 3D: Sara Caliumi, Roberto Costantino, Prospectika
Sound design: Davide Lavia
Consulenza storica Giovanni Gardini
Produzione Servizio Turismo e Attività Culturali del Comune di Ravenna
Con i finanziamenti della Legge 77/06
Author : Unknown
La Notte delle Creature a Ravenna
23 luglio: Ravenna festeggia il suo patrono Sant'Apollinare, vescovo e santo romano del I secolo d.C.
A Classe, nel VI secolo, fu eretta una chiesa a lui dedicata, oggi nota come Sant'Apollinare in Classe, ma nel IX secolo le sue reliquie furono spostate in città, nella chiesa di Sant'Apollinare Nuovo, così chiamata in suo onore, sita in via di Roma, al limitare del centro di Ravenna.
Il santo era diventato il simbolo nazionale della dominazione bizantina in Occidente, e ancora oggi è il patrone dell'urbe bizantina.
Così ieri sera, in onore ai suoi festeggiamenti, mi sono avviata per le vie della città. Arrivata in Piazza XX Settembre, sono rimasta meravigliata dalla quantità di biciclette parcheggiate... una distesa di bici lungo i tre lati della piazza, addossate alla base della colonna dell'aquila, tutte densamente allineate tra loro.
Si preannuncia una notte di festa affollata, sulle tracce di Sant'Apollinare.
Macchina fotografica alla mano, cammino sotto il porticato dipinto che da Piazza XX Settembre ci immette in Piazza del Popolo, costeggiamo la statua del patrono che si erge sulla colonna alla nostra destra davanti al Comune, e la visione è quella di una piazza piena, vissuta, una città in attesa dell'arrivo delle "Creature" per Sant'Apollinare.
Lo spettacolo si apre in musica e luci, prosegue con l'ingresso tra il pubblico di acrobati, equilibristi, danzatori, tedofori di metallici candelabri di luce: dal fondo della piazza arrivano al palco e... le performance di nouveau cirque abbiano inizio!

Lotta che onestamente mi ha deluso. Sarò fuori dal coro, ma le musiche mi sembravano in totale disarmonia con tutto ciò che succedeva sul palco, e ciò che era sul palco mancava di ritmo e verve: tanti effetti luminosi per l'uso di pali e corde infuocate e di piccoli fuochi artificiali, ma non sono riuscita ad apprezzare questo scimmiottare sul palco. E il loro ritorno tra un pezzo e l'altro era monotono e prevedibile.

Come se l'uomo potesse muoversi alla conquista dell'astro della notte, unirsi alla sua luce ed alle sue forme incomplete. Uno spicchio di luna crescente, uno spicchio di uomo che cresce, alla ricerca di armonia, serenità, quiete, e che forse non può far altro che volgere infine lo sguardo all'orizzonte del cielo... in attesa della luce del mattino, in attesa delle sue avventure e del suo tempo, qui rappresentata da una contorsionista.

Ma davvero queste creature raccontavano della storia dell'uomo?
O erano solo ispirate ad una notte di mito, uno spettacolo circense, una performance che pone al centro la bellezza del corpo umano e le forme che esso può costruire?
Lo spettacolo, ideato da Ruggero Sintoni e Alessandro Serena, è stato prodotto da Accademia Perduta, Romagna Teatri e Circo e Dintorni, in collaborazione con il Comune di Ravenna.
Author : Unknown
Giallo Rosso Blu: storia di una copertina
"L'arte oltrepassa i limiti
nei quali il tempo vorrebbe comprimerla,
e indica il contenuto del futuro"
Vassily Kandinsky nasce a Mosca il 4 dicembre 1866 e muore a Neuilly-sur-Seine il 13 settembre nel 1944.
E' considerato il creatore della pittura astratta, e giocò con i colori alla ricerca di un nuovo equilibrio tra forma e colore.
Kandinsky ritiene che il colore possa colpire lo spettatore a livello fisico, superficiale e momentaneo, o a un livello spirituale più profondo, fino a solleticarne l'anima.
Egli descrive il colore come la sensazione e l'emozione suscitate dal suono di uno strumento musicale.
Ogni colore è il suo strumento, una visione di pittura musicale, alla ricerca di una composizione orchestrale perfetta.
Giallo: è follia vitale, prorompente, è il suono di una tromba o di una fanfara
Rosso: è caldo, vitale, vivace. Diversamente dal giallo è irrequieto, ma profondo, meditativo come il suono di una tuba
Blu: è il colore del cielo, se chiaro indica quiete e libertà. Ci conquista con il suono del violoncello.
Nel dipinto proposto ci sono altri colori..
come li interpretereste?
Author : Unknown
Bar e bookshop: così i musei rinasceranno?
Il governo sembra dare attenzione alla situazione dei musei
italiani: il Presidente Letta vuole rinnovare le concessioni per i servizi
aggiuntivi ai musei statali.
Su 420 siti statali si contano sulle dita di una mano quelli
col ristorante, solo 13 hanno una caffetteria e solo 77 hanno un bookshop. Il
pensiero dei nostri governanti è giustamente che il nostro patrimonio necessiti
di attrattiva e maggiore visibilità, a partire da un’accoglienza ottimale per i
visitatori.
Le reazioni sono contrastanti: c’è chi disapprova perché
questo uccide l’economia degli esercizi commerciali circostanti, chi approva
perché questi luoghi devono avere maggiori servizi.
E io cosa ne penso? Sono questi i miglioramenti che voglio?
Mi fermo a riflettere.
Io credo che i nostri musei possano essere più attraenti, ma
tappezzarli di bar, negozi ammiccanti e lucine colorate non li rende migliori,
li rende una scatola decorata: non è questo che voglio.
Chi pensa di attirare visitatori creando servizi aggiuntivi e non nuovo valore deve essere qualcuno che pensa davvero che le persone pensino al museo come ad un centro commerciale, con una logica dell'economia e del marketing superba ritenendo che gli amanti del nostro patrimonio si facciano attrarre dalla possibilità di fermarsi al bar.
Chi pensa di attirare visitatori creando servizi aggiuntivi e non nuovo valore deve essere qualcuno che pensa davvero che le persone pensino al museo come ad un centro commerciale, con una logica dell'economia e del marketing superba ritenendo che gli amanti del nostro patrimonio si facciano attrarre dalla possibilità di fermarsi al bar.
Ma davvero ci credete così "poveri" e "aridi"?
Noi cerchiamo un lavoro di riqualifica, di ricerca e di coinvolgimento.
Io vorrei che la qualità e l’attrattività del museo fossero
creati al suo interno in primis, e poi nel suo contorno. Vorrei una visita
memorabile, una guida appassionata, un percorso affascinante.
E successivamente non mi basterebbe più: vorrei iniziative
ed eventi, vorrei novità.
Io voglio un patrimonio che brilli di luce fatta dal lavoro
di persone specializzate, che creano valore attorno a ciò che custodiscono, che
ne trasmettano il fascino e l’importanza (perché non buttiamo via i cocci
insomma), che coinvolgano adulti e bambini, che ci facciano desiderare di
tornare in quel luogo regalandoci una goccia di bellezza, emozione e stupore.
Vorrei essere coinvolta e desiderare poi di soffermarmi alla caffetteria
e passeggiare nel bookshop, contribuire al sostentamento di una rete con un
giardino comune con il territorio, e per il territorio.
Author : Unknown
Edward Munch: L'urlo della modernità
La Norvegia quest'anno celebra i 150 anni dalla nascita dell'"eroe nazionale" Edward Munch, pittore norvegese la cui fama nasce intorno al suo più famoso e osannato dipinto, "L'urlo" (1893), la cui terza versione è stata battuta all'asta da Sotheby's alla modica cifra di 120 milioni di dollari.
E pensare che "L'urlo" fu il momento peggiore della sua esistenza, la sintesi dell'angoscia, della depressione e della paura che lo tormentarono tutta la vita, come egli stesso ci scrive in uno dei suoi numerosi diari.
Le iniziative dedicate al grande artista si snodano lungo tutto il 2013 (http://www.munch150.no/it/) e, attraverso la realizzazione del film "Exhibition", le due più importanti mostre realizzate nella Galleria Nazionale e nel Museo Munch di Oslo rivelano il lavoro dei curatori e le ragioni del percorso espositivo che mira a mettere in luce aspetti innovativi e sconosciuti della tecnica, dei temi e degli scopi della pittura munchiana.
Unico giorno utile per vedere il film giovedì 27 giugno 2013 nei cinema convenzionati. Mi sono detta: "Occasione imperdibile" e, trovata una compagna di avventure, mi avvio verso questa nuova esperienza. Non sapevo cosa aspettarmi da una mostra su grande schermo e non sapevo quale sarebbe stato il mio grado di conoscenza rispetto ad un pittore che la nostra tradizione scolastica e universitaria pone sempre ai margini degli studi.
Unico giorno utile per vedere il film giovedì 27 giugno 2013 nei cinema convenzionati. Mi sono detta: "Occasione imperdibile" e, trovata una compagna di avventure, mi avvio verso questa nuova esperienza. Non sapevo cosa aspettarmi da una mostra su grande schermo e non sapevo quale sarebbe stato il mio grado di conoscenza rispetto ad un pittore che la nostra tradizione scolastica e universitaria pone sempre ai margini degli studi.
Sala semivuota (8 persone), posti centrali, musica di sottofondo e... si comincia.
Ed eccoli i luoghi di Munch. Quella Norvegia definita desolata, angosciante, tutt'altro mondo rispetto alla Parigi di quegli anni, caratterizzata da colori fulgidi, animi libertini e colta in quell'attimo fuggente.
E si, perché Munch nasce nel 1863, l'anno in cui Manet realizzava "Dejeneur sur l'erbe", il dipinto che segna l'epoca dell'impressionismo. E attraversa i due secoli, tra neoimpressionismo, surrealismo e simbolismo, seguendo una pittura che si fa sempre più astratta, sempre più criptica, sempre più ripiegata su se stessa. Muore al culmine del secondo conflitto mondiale (1944) in un piccolo villaggio della Norvegia, solo e angosciato, vinto (dopo essersi strenuamente battuto) da una malattia, la tubercolosi, che fu il trait d'union di tutta la sua vita.
Il realismo acuto che caratterizzava le sue opere, negli anni va scemando verso una pennellata sempre più irregolare, sempre più cromaticamente confusa e sempre più alienante.
E si, perché Munch nasce nel 1863, l'anno in cui Manet realizzava "Dejeneur sur l'erbe", il dipinto che segna l'epoca dell'impressionismo. E attraversa i due secoli, tra neoimpressionismo, surrealismo e simbolismo, seguendo una pittura che si fa sempre più astratta, sempre più criptica, sempre più ripiegata su se stessa. Muore al culmine del secondo conflitto mondiale (1944) in un piccolo villaggio della Norvegia, solo e angosciato, vinto (dopo essersi strenuamente battuto) da una malattia, la tubercolosi, che fu il trait d'union di tutta la sua vita.
Il realismo acuto che caratterizzava le sue opere, negli anni va scemando verso una pennellata sempre più irregolare, sempre più cromaticamente confusa e sempre più alienante.
Sarà per questo che resta "un emarginato" della pittura moderna?
Dopo aver visto il filmato e il racconto della mostra, dopo aver quasi assaporato i luoghi e le persone che lo hanno accompagnato devo ammettere che si è formata un'altra idea nella mia testa, già balenata durante gli studi di psicologia dell'arte: la sua grandissima forza morale.
Dopo aver visto il filmato e il racconto della mostra, dopo aver quasi assaporato i luoghi e le persone che lo hanno accompagnato devo ammettere che si è formata un'altra idea nella mia testa, già balenata durante gli studi di psicologia dell'arte: la sua grandissima forza morale.
Munch e la sua pittura sono uniti indissolubilmente, come mai forse è accaduto nella storia dell'arte.
Le sue opere sono il manifesto di una vita caratterizzata dalla malattia e dalla morte. La sua famiglia fu sterminata dalla malattia (madre, sorella e padre) e questi dolori ne condizionarono fortemente la sua visione delle cose e il suo pensiero.
In mostra per la prima volta dopo il 1902, anno in cui lo espose a Berlino, il "Fregio della vita" viene composto come Munch lo aveva immaginato. Una serie di dipinti, tra cui i celeberrimi "Madonna" e "L'urlo" raccontano la vita secondo Munch, caratterizzata da 4 fasi, che vanno dalla nascita alla morte e si chiudono con "Metabolismo", ad indicare al ciclicità di questo grande mistero che metabolicamente una forza superiore, chissà quale Dio, continua a proporre, quasi fosse una danza macabra (come non pensare a "La danza della vita"?). Alla vita succede la morte e dalla morte nasce la vita (da notare che l'albero della vita ha come radici i teschi).
Superstizione medievale che rinasce nel pensiero novecentesco di Munch. L'uomo e il suo fardello fulcro della riflessione artistica. Visionario, certo, ma non emarginato.
Le sue opere sono il manifesto di una vita caratterizzata dalla malattia e dalla morte. La sua famiglia fu sterminata dalla malattia (madre, sorella e padre) e questi dolori ne condizionarono fortemente la sua visione delle cose e il suo pensiero.
In mostra per la prima volta dopo il 1902, anno in cui lo espose a Berlino, il "Fregio della vita" viene composto come Munch lo aveva immaginato. Una serie di dipinti, tra cui i celeberrimi "Madonna" e "L'urlo" raccontano la vita secondo Munch, caratterizzata da 4 fasi, che vanno dalla nascita alla morte e si chiudono con "Metabolismo", ad indicare al ciclicità di questo grande mistero che metabolicamente una forza superiore, chissà quale Dio, continua a proporre, quasi fosse una danza macabra (come non pensare a "La danza della vita"?). Alla vita succede la morte e dalla morte nasce la vita (da notare che l'albero della vita ha come radici i teschi).
Superstizione medievale che rinasce nel pensiero novecentesco di Munch. L'uomo e il suo fardello fulcro della riflessione artistica. Visionario, certo, ma non emarginato.
![]() |
Metabolismo 1899 |
Al centro di tutto c'è l'amore, vincolo tra uomo e donna e origine del male, dell'ansietà. Munch vive profondamente questo rapporto atavico con il sesso e la morte. Eros e tanatòs si intrecciano fino a diventare un urlo gigantesco. Visto così, "L'urlo" diventa una fase della vita, il momento in cui l'uomo è sopraffatto dalla natura delle cose e ne scarica tutto il peso attraverso una forza interiore che non tutti sono capaci di tirare fuori. Sarà forse questa inconscia consapevolezza che ha reso il dipinto un'icona?
Ed è qui che vedo la sua grandezza: nella capacità di resistere, nonostante tutto. Egli vive, autolesionandosi, tutta l'esistenza con le sue ombre, le sue paura e la sua depressione.
Eppure realizza due opere che hanno illuminato il mio pensiero e che credo siano la massima espressione del genio di Munch che gli farà vincere i secoli. La prima è "Il sole", realizzata per l'Aula Magna dell'Università di Oslo tra il 1909 e il 1916, negli anni in cui Picasso con "Le Demoiselle d'Avignòn" sconvolge la pittura mondiale.
In questo dipinto, realizzato su un'enorme tela cucita a mano dalla sua domestica, Munch dichiara che la luce del sole è il motore della vita e, visto il luogo, della conoscenza. E questa luce è anche simbolo, come tutto nella sua pittura, di una forza, di una speranza che guida l'uomo nell'affrontare il grande mistero che lo accompagna fin dalla nascita: la morte.
![]() |
Il Sole, 1909-1916 |
Ed egli stesso condensa questo pensiero in una della sue ultime opere: "Autoritratto tra l'orologio e il letto". Lui, vecchio e malato con faccia fiera affronta il letto, simbolo della sua imminente morte dopo aver vinto il tempo, indicato dall'orologio senza le lancette.
Lo definirei un testamento, un monito affinchè guardando quel volto e quella stanza (che a tratti ricorda la camera di Van Gogh) tutti ci potessimo sentire fieri di resistere e di fare della propria sofferenza un'arte.
Lui c'è riuscito e nonostante tanta amarezza e tanto dolore, mi trasmette un'enorme invito alla vita.
Lo definirei un testamento, un monito affinchè guardando quel volto e quella stanza (che a tratti ricorda la camera di Van Gogh) tutti ci potessimo sentire fieri di resistere e di fare della propria sofferenza un'arte.
Lui c'è riuscito e nonostante tanta amarezza e tanto dolore, mi trasmette un'enorme invito alla vita.
![]() |
Autoritratto tra l'orologio e il letto 1940-42 |
Merita un viaggio ad Oslo e merita maggiore attenzione dalla critica perché la sua arte è l'apologia del nostro tempo e la celebrazione dell'uomo contemporaneo che vive costantemente nel cambiamento.
Egli trova la cura a tanta instabilità e ce la propone tra un urlo disperato e un sole raggiante.
Author : Unknown
Tag :
anniversario,
arte,
artista,
bellezza,
conoscenza,
Cultura,
dipinti,
Edward Munch,
mostre,
novecento,
pittura,
riflessioni,
storia dell'arte,
vita,
Affittasi opere d'arte italiane in ottimo stato (forse)
Opere d'arte in affitto... detta così sembra un'eresia per il bel paese.
Eppure questa è una delle proposte di decreto del governo Letta, ancora da approvare.
Eppure questa è una delle proposte di decreto del governo Letta, ancora da approvare.
Noi che abbiamo il David e il Colosseo ci mettiamo in vendita... siamo pazzi?
Le Sm-art People però vi chiedono: qual'è l'alternativa per i beni "custoditi" nei depositi?
Si metta in fila davanti al parlamento chi ha la soluzione.
Affittare il nostro patrimonio ai paesi stranieri non è certo un modo per salvare la nostra economia e soprattutto la nostra noncuranza del patrimonio, ma potrebbe essere un'opportunità dai risvolti positivi.
Riflettiamoci insieme.
A costo zero e senza nulla togliere alle collezioni museali che raramente programmano la rotazione delle opere e che non hanno spazi (e fondi) per renderle pubbliche e/o visitabili in percorsi espositivi periodici, potremmo avere un introito da destinare ai restauri, alla conservazione e alla crescita del personale per le attività dei musei.
Aggiungiamo poi l'enorme ritorno in immagine. Musei come il British di Londra e il Rijksmuseum di Amsterdam hanno dimostrato come rendere visibili e fruibili (online e offline) le loro collezioni abbia portato ad un aumento di visitatori di oltre il 30% ed un coinvolgimento delle istituzioni cittadine per la valorizzazione dell'intera città: ad Amsterdam adesso si va anche solo per Cultura (!!) e si parla di marketing e rivalutazione su scala urbana!
Perché, dunque, non portare all'estero l'arte italiana, garantendole tutela, conservazione e una giusta collocazione? Il provvedimento prevede infatti dei vincoli per gli eventuali affittuari, in primis garantire alle nostre opere l'esposizione in spazi dedicati alla "cultura italiana".
Un'ultima riflessione, ancor più provocatoria: finora il destino dei depositi lo abbiamo mai considerato?
Chi li difende da muffe, umidità, incuria, polvere?
Chi sa effettivamente cosa c'è nei depositi?
Esiste un archivio che li cataloga?
Nei depositi si trova di tutto: solo dieci anni fa, al Museo Archeologico di Napoli, è stato ritrovata un'opera del Carracci tra le statue dell'epoca romana, non catalogato e lasciato lì, sul pavimento di un deposito.
E siamo pronti a denunciare e condividere lo stato di degrado di Pompei, la Reggia di Caserta, il Colosseo.. ma come proteggere tutto questo senza fondi e in tempo di crisi?
Questa allora potrebbe essere un'occasione di riscatto per una parte delle nostre opere, per avere un quadro più completo del nostro patrimonio e un modo per valorizzarlo. Si potrebbero finalmente utilizzare competenze per catalogarlo, studiarlo e tutelarlo e potremmo avere un patrimonio in grado, in parte, di autofinanziarsi. Un patrimonio per ora percepito solo come un peso, un qualcosa di vecchio che si lusinga perché almeno per una volta, non ha subito altri tagli (Decreto del Fare, 17 giugno 2013).
Unico monito al governo (semmai qualche ministro leggerà queste parole) è quello di affidare questo lavoro, almeno in questa occasione, alle giuste competenze, a chi ha studiato per questo, preferibilmente giovani!!
E che questi soldi siano poi realmente destinati alla Cultura e al nostro patrimonio, non a rimpinzare le tasche degli scialacquoni!
E che questi soldi siano poi realmente destinati alla Cultura e al nostro patrimonio, non a rimpinzare le tasche degli scialacquoni!
Italiani, dunque, priva di levarvi per un retorico impeto di orgoglio nazionale (soprattutto perché magari dietro l'angolo è appena crollato un cornicione di un edificio storico), riflettete sulle opportunità che un bene può offrire, senza svendersi, senza prostituirsi, ma semplicemente mettendosi in mostra per quello che è: un'opera d'arte, frutto della nostra storia, che per anni, se è stata fortunata, si è trovata imballata al buio in un deposito.
Author : Unknown
Tag :
Cultura,
decreto legge,
estero,
governo,
Italia,
Letta,
Mibac,
musei,
opere d'arte,
opportunità,
patrimonio,
sviluppo,
Only the brave (solo il coraggioso)
Cultura, sempre lei. La parola di cui tutti facciamo sfoggio almeno dieci volte al giorno vantandoci della nostra cultura personale, della cultura di Dante che, diamine, era italiano o di quella di Da Vinci anche lui italiano e della bellezza che ci circonda, anch'essa italiana.
Eppure cultura e Italia/italiano sembrano a tratti cozzare sia nella gestione specifica del settore sia nell'inserimento della Cultura nei piani di sviluppo economico nazionale.
Siamo tutti degli ottimi oratori quando si tratta di vantare le gesta dei romani, però poi diamo a Ridley Scott la possibilità di fare di Decimo Meridio il protagonista di un suo film (e di farci un mucchio di soldi) mentre la tomba (vera) del gladiatore è lasciata all'abbandono sulla devastata via Appia.
Qualcosa però si muove. Mi commuove ancora ripensare ad un ministro che vaga umilmente nella Reggia di Caserta armato di bicicletta e smartphone (mica auto blu e troupe della RAI?). O anche il rimembrar di una giornata, quella del 05 maggio 2013, che ha condotti noi storici dell'arte all'Aquila per provare a ricominciare e per guardare con i nostri occhi attenti il disastro procurato.
Allora la domanda sorge spontanea: cosa manca? Lo ripeto mille volte al giorno nella mia testa. Essendo una fagocitatrice di parole e di immagini sono partita da una riflessione frutto di questo tempo trascorso a romanzare immagini e immaginare parole: quello che rende unica la cultura è la capacità di perpetuare nel tempo un'idea. Sia essa una concezione filosofica o una prerogativa estetica, quell'idea è il cuore della cultura ed è il cardine delle rivoluzioni (culturali, s'intende).
E qual'è l'idea delle idee? Cos'ha condotto uomini a battersi per un ideale? A ostinarsi nel proporre quel modo espressivo? Il CORAGGIO. Ecco: seduta davanti ad una finestra rigenerata dalla brezza estiva, provo a dire la mia. La cultura si fa con il coraggio.
Tutti noi dovremmo cominciare ad avere il coraggio di dire no di fronte alla retorica di cui ci cospargono; dovremmo cominciare a dire no all'umiliazione di regalare le nostre competenze; dovremmo renderci conto di avere in mano le chiavi del nostro futuro e di guardare al futuro come tutti i grandi prima di noi hanno fatto e alcuni continuano a fare.
Da dove comincia il Rinascimento? Dalla follia di un pittore che nell'umile chiesetta di Assisi sconvolse la pittura occidentale: Giotto. Il suo ciclo pittorico delle Storie di S. Francesco anno domini 1302 è l'atto primo della modernità. L'uomo è il centro attorno al quale si muove l'universo, compreso quello divino incarnatosi nella figura di san Francesco. Da lì si diffonde questo ronzio che diventa un urlo alla scoperta dell'America, anch'essa frutto di un folle, italiano, salpato a cercare le Indie. E poi c'è il più coraggioso di tutti, un certo Lorenzo de' Medici, il Magnifico, che crea un circolo di artisti e pone al centro della sua Firenze la conoscenza, creando un mito riconosciuto e diffusosi in tutto il mondo.
Tutti noi dovremmo cominciare ad avere il coraggio di dire no di fronte alla retorica di cui ci cospargono; dovremmo cominciare a dire no all'umiliazione di regalare le nostre competenze; dovremmo renderci conto di avere in mano le chiavi del nostro futuro e di guardare al futuro come tutti i grandi prima di noi hanno fatto e alcuni continuano a fare.
Da dove comincia il Rinascimento? Dalla follia di un pittore che nell'umile chiesetta di Assisi sconvolse la pittura occidentale: Giotto. Il suo ciclo pittorico delle Storie di S. Francesco anno domini 1302 è l'atto primo della modernità. L'uomo è il centro attorno al quale si muove l'universo, compreso quello divino incarnatosi nella figura di san Francesco. Da lì si diffonde questo ronzio che diventa un urlo alla scoperta dell'America, anch'essa frutto di un folle, italiano, salpato a cercare le Indie. E poi c'è il più coraggioso di tutti, un certo Lorenzo de' Medici, il Magnifico, che crea un circolo di artisti e pone al centro della sua Firenze la conoscenza, creando un mito riconosciuto e diffusosi in tutto il mondo.
Da dove comincia il nostro "rinascimento"? Comincia da chi ci vuole credere, da chi è disposto a stare col naso all'insù per ammirare una cattedrale e perdersi nelle sue architetture o da chi sta chino alla scoperta di un tesoro archeologico. Comincia da chi analizza le opere d'arte e ne studia la materia come fosse un medico con un paziente ed è orgoglioso della sua professione. Comincia da chi se ne frega dell'accademismo e della belle parole e comincia a fare. Si comincia dal basso, dal proprio territorio e dall'immensa fortuna di avere una rete, una tastiera e uno spazio virtuale sui quali avere la libertà di esprimersi.
La libertà è coraggio e il coraggio è libertà ... di essere se stessi.
Se vogliamo che qualcosa cambi dobbiamo cambiare il nostro modo di pensare ed essere pronti ad accogliere un ronzio, seguire il flusso delle nuove idee e non abbarbicarci sulle nostre convinzioni.
Il cambiamento è coraggio e il coraggio è il cambiamento.... delle cose.
La libertà è coraggio e il coraggio è libertà ... di essere se stessi.
Se vogliamo che qualcosa cambi dobbiamo cambiare il nostro modo di pensare ed essere pronti ad accogliere un ronzio, seguire il flusso delle nuove idee e non abbarbicarci sulle nostre convinzioni.
Il cambiamento è coraggio e il coraggio è il cambiamento.... delle cose.
Per capire il segreto e la forza della cultura non si deve partire dai piani economici o da ambiziosi progetti ingegneristici. Servono passione, competenza e lungimiranza. Cambiare la prospettiva, come fecero gli artisti rinascimentali, e tuffarsi in un nuovo oceano di conoscenza, partendo da chi la cultura la mastica.
La passione è coraggio e con essa si può costruire un nuovo mondo della conoscenza.
Per questo, only the brave. E le sm-Art people lo sono, ostinatamente lo sono.
Author : Unknown
Tag :
bellezza,
cambiamento,
competenza,
coraggio,
crescita,
Cultura,
idee,
Italia,
massimo bray,
Mibac,
passione,
rinascimento,
Il restauro degli affreschi in Santa Croce: valore, prestigio o vanità?
Grande successo, ma sopratutto approvazione, sta avendo la notizia dell'avvenuto restauro degli affreschi della Cappella Maggiore della Basilica di Santa Croce a Firenze.
Le "Stigmate di San Francesco" di Giotto e la "Assunzione della Vergine" del Maestro di Figline, uno degli enigmatici collaboratori della bottega giottesca, sono stati restaurati dall'Opificio delle Pietre Dure grazie ad un accordo con l'Università giapponese di Kanazawa, e sopratutto grazie al contributo del professor Takaharu Miyashita, docente di storia dell'arte occidentale.
Grande prestigio all'Italia per questa grande operazione di restauro, partita nel 2010 e conclusasi nel mese di marzo di quest'anno.
La verità è che non abbiamo proprio niente di cui vantarci, perché noi italiani non siamo stati capaci di tutelare questi affreschi e questa nostra eredità.
Ben vengano tutti i mecenati del mondo, tutti gli amanti dell'arte e della Cultura, ma perché noi italiani non siamo capaci di preservare il nostro patrimonio?
"Con la crisi chi si può permettere un restauro!"
Beh, ora sono veramente convinta che in tempi diversi ci saremmo mobilitati per la salvaguardia degli affreschi di Giotto!
Noi pensiamo che ciò che vediamo oggi sia immutabile nel tempo, non siamo in grado di percepire l'avanzare dell'età del nostro patrimonio perché da secoli presidia la nostra nazione. Trascuriamo i fattori ambientali, antropici, e non sentiamo la sofferenza dei nostri monumenti (che negli ultimi 200 anni hanno visto crescere esponenzialmente la velocità con cui il tempo lascia su di loro le sue cicatrici).
Non possiamo riportare i nostri capolavori a ciò che fu nel momento in cui fu creato: manchiamo della mano dell'artista creatore, del contesto storico, dell'ambientazione del tempo, e non vogliamo certo creare dei falsi!
Ma forse un pò del nostro senso di responsabilità verso le generazioni future potremmo smuoverlo. Se facessimo un parallelismo tra l'eredità materiale e quella culturale, per ora la direzione è quella di tramandare debiti, collezioni con qualcosa di rotto o mancante..
Cosa potremmo chiedere dunque alle nostre istituzioni ed ai nostri ministri?
Io chiederei di rieducare e rieducarci al riconoscimento del valore che ci circonda: chi non ama il bello?
Forse solo chi non riesce a vederlo, a trovarvi un legame con se stesso.
Mi piacerebbe sapere che i privati possono contribuire al recupero del nostro patrimonio con donazioni libere e spontanee, anche tracciate se superano determinati importi, e che non solo le donazioni sociali, ma anche quelle culturali, possano usufruire di maggiori sgravi fiscali.
Vorrei infine che non si giochi al ribasso su tutte le gare di appalto di restauro. La mia è utopia pura, ma non si può valutare il rapporto qualità/prezzo così come noi lo facciamo nel nostro quotidiano?
Far vincere il valore dell'economicità a discapito della qualità, non solo suona controproducente al solo leggere la frase a bassa voce, ma costringe chi vince gli appalti ad utilizzare materiali scadenti, o sottopagare i professionisti coinvolti. E non riesco a pensare quale delle due scelte sia migliore o peggiore. D'altronde, un professionista del settore culturale, non è un vero esperto, no? Per un servizio culturale di alta qualità non si può mica pagare quanto un servizio paragonabile in qualunque altro settore...
Ma è la nostra identità culturale che stiamo svendendo, come se i luoghi di cui abbiamo ricordi felici non avessero nessun valore nel nostro presente, come se ritornandoci noi non avessimo nessun legame, nessun "ma ti ricordi quando..", niente, nessun pensiero, come se per la prima volta nella nostra vita capitassimo lì.
Dobbiamo e possiamo credere che nulla possa invertire questa rotta?
Che il nostro patrimonio venga apprezzato e salvato dall'estero, mentre noi stiamo ad aspettare?
"La nazione che non conosce la bellezza
non è quella dove l'arte non è mai nata,
ma quella che ricca di capolavori
non è capace né di amarli, né di preservarli"
Dino Gavina
Author : Unknown
Tag :
affreschi,
arte,
beni culturali,
citazione,
finanziamenti,
firenze,
gavina,
giotto,
Mibac,
Opificio delle pietre dure,
quote,
restauro,
Digital economy: dov’è la Cultura?
Ieri prima presentazione pubblica del progetto Web Economy Forum (Wef) a Ravenna, un progetto di cultura digitale per le aziende delle province di Ravenna, Forlì-Cesena e Rimini.
Il progetto sembra confermare che per ricostruire la produttività delle PMI bisogna partire dal basso, da un progetto di crescita collaborativa.
Negli ultimi mesi i media ci raccontano ancora la crisi, analizzano i numeri delle imprese e le notizie sono poco confortanti: a fronte del numero di imprese chiuse e aperte ogni mese in Italia, il saldo è drasticamente negativo, ma ripartire si deve, e si può!
Il progetto Wef parte dai tre concetti di new economy: digital, internet e Web economy.
Un’ economy sottovalutata che vale il 4% del PIL, sconosciuta a gran parte delle PMI del territorio italiano.
Ma chi è attivo online riporta in media una crescita del 12% del business, del 34% del personale, e una produttività in crescita… lavorare per un'azienda che riesce a dare valore aggiunto al cliente, porlo al centro dell'attenzione, e chiudere in positivo in un periodo di decrescita economica come quello che stiamo vivendo, fa crescere l'autostima dell'imprenditore e dei suoi dipendenti, valore fondamentale per una buona produttività e per la qualità del lavoro!
Giuseppe Giaccardi, ideatore del progetto, nel suo intervento ha sottolineato come la congiuntura negativa che stiamo vivendo, purtroppo, porta all’espatrio dei nostri talenti a cui è difficile chiedere di tornare in Italia "perché non ci sono argomentazioni per riportarli indietro o tenerli qui". Amara e triste verità.
Nella crisi abbiamo bisogno di trasformarci e invertire la rotta.
Le parole chiave sono: ascolto, collaborazione, creatività, porosità, interoperabilità, partecipazione e innovazione sociale.
Webeconomy è visione, distruzione creativa.
Webeconomy è startup, rigenerazione delle industrie tradizionali.
Webeconomy è opportunità, cosmopolitismo, territorio innovativo.
Eppure c’è chi pensa che bisogna ripartire dalle nostre deboli istituzioni che tuttavia non sono in grado di sostenerci e proporci un’alternativa. Siamo noi dal basso a dover ricostruire la nostra nazione, diffondere la cultura della produttività collaborata, nelle PMI come nella Cultura.
Quando i settori produttivi ripartono dal Web per creare rete, sorge spontanea l’idea che questo possa funzionare anche nella Cultura.
E noi sm-Art People ci crediamo, da tempo ci crediamo.
Crediamo in una visione, in una stasi del settore culturale (che parte dalle istituzioni) che possa determinarne la rinascita, in competenze applicate al proprio settore di afferenza, al coinvolgimento del territorio per rafforzarne l’identità e tramandarne le tradizioni. Quelle tradizioni che stanno strette a molti, viste come retrograda reminiscenza di un passato da superare, vanno riviste come scrigno della nostra identità.
La Cultura da preservare con un’innovazione di processo, perché viva nel suo tempo, perché non rimanga a guardare il vortice delle evoluzioni Web, ma possa arrivare alle persone attraverso i processi Web, mobile e sociali che stanno rimodellando le nostre vite.
Come possiamo smuovere un settore così "vincolato"?
Con un viaggio fatto di persone, di territori, di racconti.
Insieme condividere e tutelare la nostra cultura e la nostra identità con l'aiuto delle tecnologie che non possono più essere svincolate dalla nostra vita.
Le idee non mancano, ma le possibilità a volte sì.
Partiamo insieme per un nuovo viaggio, concediamoci una possibilità di trasformazione.
"Il vero viaggio di scoperta consiste
non nel trovare nuovi paesaggi
ma nell'avere occhi nuovi"
non nel trovare nuovi paesaggi
ma nell'avere occhi nuovi"
M. Proust
Author : Unknown