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Archive for agosto 2013

Luoghi: Comacchio, l'isola che non c'è


In un assolato Ferragosto che per fortuna poco ha ceduto all'afa mi dirigo a Comacchio, piccola cittadina in provincia di Ferrara che rappresenta il comune più importante del Delta del Po. 
Pensando a cosa potevo sapere e/o immaginare di quel luogo, nella mia mente ho vagheggiato tante definizioni.

Somiglia a Venezia, ma NON è Venezia, 
Affaccia sul mare, ma NON ha l'acqua salata
Si trova sul Delta del fiume Po, ma l'acqua NON è dolce
E' l'unione di tante isole, ma NON è un'isola
Si trova in Emilia ma NON è Emilia
Sembra Veneto, ma NON è Veneto
Le barche NON le chiamano barche, ma le chiamano comacine.

Tutti questi NON mi hanno ispirato per cercare la peculiarità di questa terra sospesa tra il fiume e il mare, tra la terraferma e l'isola, tra storia recente ed origini antiche. 
Furono gli etruschi a darle i natali, sfruttando le acque che cingevano le originarie 13 isole che componevano la valle, tanto vicine da diventare una sola. Il sito archeologico di Spina racconta le origini etrusche di Comacchio, le quali tra i cittadini di oggi sono motivo di vanto (si pensa che addirittura il nome derivi da un termine etrusco che significa "accumulo di dossi").
Trepponti

Fu poi dominata in gran parte da poteri pontifici che le hanno dato l'aspetto di oggi, in particolar modo nei due monumenti che caratterizzano la città: il duomo di san Cassiano, dell'VIII secolo ma ricostruito più volte nei secoli a venire e il Trepponti, struttura architettonica davvero unica che tiene uniti cinque canali al quale si accede tramite cinque scale. Ai lati ci sono due torri che riprendono il cappello cardinalizio, simbolo appunto della dominazione papale. Era la porta d'ingresso alla città e fu realizzata nel 1634 da Luca Danesi sotto la commissione del cardinale G.Battista Pallotta. I materiali utilizzati che si intrecciano di continuo nelle architetture di Comacchio sono il cotto e la pietra d'Istria. Il cotto veniva realizzato sfruttando l'argilla naturale tipica delle zone, ma che in questa regione era talmente malleabile da non richiedere tanto lavoro e l'origine salmastra le dava la possibilità di indurirsi facilmente; mentre la pietra d'Istria veniva trasportata lungo i canali e la laguna, i cui collegamenti giungevano sino a Ferrara.
I palazzi sono quasi tutti in pietra d'Istria ed hanno architetture inusuali quasi a voler reinterpretare forme che ricordano altri usi. Ad esempio, l'ex ospedale san Camillo che ricorda in facciata l'ingresso di un tempio o di una chiesa medievale, edificato tra il 1778 e il 1784 per volere del cardinale Francesco Carafa.
E poi c'è il cibo, quell'inconfondibile profumo che si diffonde in tutti i vicoli della città. Piatto tipico è l'anguilla, pesce che loro catturano mentre migra in mare per la riproduzione. Da qui nasce la sua coltivazione che è diventata addirittura presidio slowfood.
E infine il vino, cabernet e trebbiano che prendono il nome di vini del bosco Eliceo, doc delle valli di Comacchio che si distinguono per il loro sapore a metà strada tra l'argillosità dei terreni e il sale delle acque. Sapore inconfondibile che ben si adatta ad ammorbidire la grassezza dell'anguilla e dei primi piatti corposi.
Dopo un excursus così vario che ha ripercorso il cammino che ho compiuto (sempre con un compagno di avventura), cosa traiamo di Comacchio? E cosa lo rende un luogo così particolare da meritare una visita?
Particolare: canale e ponte

Beh, proprio la specificità dell'ambiguità. Comacchio ha la fortuna di non avere una caratterizzazione; la si può vivere come città marittima o fluviale, di terra o di acqua, di cultura e di commerci. Non ha definizioni e non ne cerca; nei palazzi, nei canali e nei volti dei cittadini c'è questo stato di confine, questa profonda ambivalenza che ne caratterizza gli animi. Visitarla almeno una volta nella vita ci da il sapore della scoperta e dell'interpretazione. Ognuno può renderla sua e conservarne un pezzetto della sua anima millenaria.




Torquato Tasso nella Gerusalemme Liberata la definisce così:

 « Come il pesce colà dove impaluda / ne i seni di Comacchio il nostro mare, / fugge da l'onda impetuosa e cruda / cercando in placide acque ove riparare, / e vien che da se stesso ei si rinchiuda / in palustre prigion né può tornare, / che quel serraglio è con mirabil uso / sempre a l'entrare aperto, a l'uscir chiuso. » 


Ed io mi associo a lui intendendo così quell'"Uscir chiuso": a Comacchio entri pensando che sia un luogo che ha un po' tutto e non è niente. Ne esci però mutato lasciando chiusi nelle sue mura tutti quei pregiudizi iniziali. E questo cambiamento di opinioni ti farà ritornare, perché hai chiuso un pezzetto di te tra queste valli.

Citazione T. Tasso sulle scale dei Trep
ponti







Ferragosto: la Cultura in vacanza

15 agosto, Is Arutas.
Destinazione mare, Cabras, provincia di Oristano.
Mi trovo in una spiaggia affollatissima, che si estende per qualche centinaio di metri, come una baia tra due basse scogliere. La bellezza del mare d'estate incanta: una brezza leggera si alza dal mare, l'acqua è fredda, ma il suo colore verde acqua, così cristallino, ha un richiamo fortissimo. Camminando sulla riva, le onde travolgono le gambe, e i piedi affondano in quella sabbia, formata da granelli di quarzo tondeggianti, più piccoli dei chicchi di riso, perlopiù bianchi, ma anche con sfumature verdi, rosa, aranciate.
E ti ritrovi a pensare alla Cultura. Ti domandi come ti possa venire in mente pensare alla cultura quando intorno a te vedi collina, spiaggia, rocce, mare, un chiosco di legno oltre la spiaggia, e macchine, ombrelloni, persone.
Niente case a vista qui intorno. Niente costruzioni di comfort. Solo il brullo, verde, paesaggio sardo brunito dal calore del sole, e appiattito dal vento.


Arrivati alla fine della spiaggia incontriamo la scogliera, perlopiù scura e dall'aspetto ruvido e spugnoso.
Alla domanda: "Di che roccia si tratta?" nella mia mente si riaccendono le lezioni di petrografia.
E rientriamo così, in una giornata di mare, nelle C sm-Art People: Curiosare.
Sono forse in un ambiente di interesse culturale? Sono in un'area marina protetta, onorata di poterci spendere la mia giornata in costume, ospite di un paesaggio speciale.


Forse è bene proprio qui parlare di Cultura.
Per Cultura preservare i luoghi così come la Natura e il tempo ce li tramandano;
per Cultura realizzare che anche una bellezza di questo tipo è un bene del nostro territorio;
per Cultura ricordarci di non lasciare rimasugli in spiaggia;
per Cultura non portarsi via la sabbia;
per Cultura parlare di beni paesaggistici e ambientali riconosciuti nel Codice dei Beni Culturali;
per Cultura pensare a tutto questo come una risorsa, ma non come un luogo da sfruttamento selvaggio.

Cammino in direzione opposta. Torno indietro pensando che sia quasi un miracolo una non colonizzazione della zona: e dovrebbe restare così. Stiamo diventando così incapaci di camminare, di meravigliarci, di lasciare un angolo della Terra così come la Natura lo preserva fino a noi. E che qui il lato selvaggio della natura viene ancora risparmiato.


Mi immergo in quel mare, ne respiro l'essenza. Quando esco dall'acqua mi siedo per cercare il rumore di quei chicchi di quarzo che scorrono nelle mie mani

e ne osservo lo scivolare tra le mie dita.
Percepisco il cambiamento della luce, tutto sembra aranciato, sollevo lo sguardo, e mentre i toni caldi oscurano il blu del cielo, è già tramonto.


Is Arutas al calar del sole

Il richiamo delle "Canne al vento"

Questa sera sono tornata all'Ex Convento dei Cappuccini di Quartu Sant'Elena in occasione della manifestazione estiva Quartu Colora l'Estate 2013.
Devo dirmi stupita di trovare tante iniziative gratuite per la città che andranno avanti per oltre un mese, in orario serale, in belle location quali parchi, o luoghi di interesse storico quale il chiostro, salvo non comprendere l'incapacità di sponsorizzare fortemente l'iniziativa. 
Caro Comune, hai una pagina Facebook creata appositamente per la rassegna nel 2012: davvero è possibile che ad oggi tu abbia raggiunto 620 cittadini, che corrispondono allo 0.9% scarso della tua popolazione residente? Perché comunicare dell'iniziativa che inizia l'11 agosto solo due giorni prima? 
Caro Comune, i cittadini, che sono bravi a lamentarsi sui social, hanno però bisogno di sentirsi coccolati, di vederti presente e premuroso, ricco di iniziative. Spero che tu possa cogliere le loro esigenze, che nonostante tutto, hanno risposto al richiamo di Grazia Deledda.
L'associazione Figli d'Arte Medas ha proposto una lettura di "Canne al vento", capolavoro della scrittrice sarda, Grazia Deledda, nata a Nuoro nel 1871, che vinse il Nobel per la Letteratura nel 1926.
Con la rassegna nella rassegna "Geografie letterarie - Viaggio in Sardegna attraverso le pagine dei libri", il pubblico è stato portato in viaggio nella Sardegna di un secolo e mezzo fa attraverso la voce narrante di Gianluca Medas, accompagnato dalla musica dal vivo di Andrea Congia.



"Tutto il giorno Efix, il servo delle dame Pintor, aveva lavorato a rinforzare l’argine primitivo da lui stesso costruito un po’ per volta a furia d’anni e di fatica, giù in fondo al poderetto lungo il fiume: e al cader della sera contemplava la sua opera dall’alto, seduto davanti alla capanna sotto il ciglione glauco di canne a mezza costa sulla bianca “Collina dei Colombi”.

Eccolo tutto ai suoi piedi, silenzioso e qua e là scintillante d’acque nel crepuscolo, il poderetto che Efix considerava più suo che delle sue padrone: trent’anni di possesso e di lavoro lo han fatto ben suo, e le siepi di fichi d’India che lo chiudono dall’alto in basso come due muri grigi serpeggianti di scaglione in scaglione dalla collina al fiume, gli sembrano i confini del mondo."

Inizia così il viaggio degli attenti spettatori, guidati dal suono del racconto, fino al poderetto e al fiume, uno sfondo torrido, ma agitato dal vento, animato da spiriti e allo stesso tempo fatalmente umano. La Sardegna descritta dalla Deledda ha il sapore della vita di un piccolo paese, lontano dalla frenesia del progresso, immerso nei ritmi ancestrali della terra e della festa. Forse questa atmosfera non è poi così lontana dai piccoli centri disseminati nelle varie regioni del territorio italiano... 

Ben presto ci accorgiamo che le dame Pintor, Ruth, Ester e Noemi, un tempo simbolo del paese, ora nobili in decadenza, oltre alla loro condizione sociale, assistono al declino della propria giovinezza e della propria vitalità. E con loro, Efix il loro servo, e Giacinto il loro nipote, entriamo nel vortice della debolezza umana...

ed esco da questa atmosfera con le parole di colui che si è definito un vecchio narratore:
nell'era delle comunicazioni, non siamo più capaci di esprimere le nostre emozioni, e la bellezza sta lì, nella loro completezza. 
Ricerchiamo la bellezza delle parole, del loro suono, della sensazione che vogliamo suscitare. 
E mentre mi stendo per riposare, il mio pensiero torna a quel libro dalla sovracoperta color arancio e blu, letto e ri-letto, come se ancora mi mancasse una parte della sua essenza.
Nella sua lettura mi sono sentita parte viva di questa terra che porto dentro di me, che chiudendo gli occhi posso respirare, che porto nei miei tratti e nei miei atteggiamenti come i personaggi del libro. 
Il romanzo lascia un che di polveroso, un senso di inesorabile scorrimento del tempo, un senso quasi di impotenza all'incessante avanzare della decadenza.. ma noi oggi, riunendoci in un chiostro ad ascoltare una vecchia storia, ci siamo fatti attirare dall'incantesimo del racconto nella sua forma più tradizionale.
Quasi cento persone erano lì stasera. Come chiamare questo richiamo?
Io lo chiamerei il richiamo della bellezza, della riscoperta delle piccole cose, della piazza affollata solo per sentire una storia che potrete vivere leggendo il romanzo alla fine di una torrida estate.

"Sì, siamo esattamente come le canne al vento. 
Noi siamo le canne e la sorte il vento".
Ester "Sì, va bene, ma perché questa sorte?"
Efix: "E perché il vento? Solo Dio lo sa"

Luoghi: Sulle orme di Spartaco



Inauguro la mia rubrica "Luoghi" tornando con la mente a circa un mese fa. Era il 09 di luglio e nell'assolata Campania decido di dedicarmi alla visita dell'anfiteatro di S.Maria Capua Vetere, attuale denominazione della città romana di Capua, definita da Cicerone "La seconda Roma". Era famosa in tutto l'impero per la bellezza dei luoghi, il clima gradevole e per la presenza delle scuole di gladiatori, tenute da nobili possidenti, i lanisti. 
Da qui nasce la fama di questo luogo legato ad un personaggio, Spartaco, che attuò la rivolta degli schiavi che (concedetemi la licenza di spaziare tra le gesta greche e romane) "infiniti lutti addusse" ai romani  tra il 73 e il 71 a.C. Il sito vanta però altri primati che in questo breve mio intervento vorrei sottolineare compiendo una visita per parole ed immagini che vi faccia ripercorrere i bei momenti di un luogo magico. Si comincia dal piazzale che si affaccia sul sito. Da qui si ammira l'anfiteatro del I secolo d.C., i resti della necropoli del IV secolo a.C e le fondamenta dell'anfiteatro di età repubblicana (130-90 a.C) che vanta il primato di essere l'unico teatro stabile al mondo conosciuto di quell'epoca, in concorrenza con quello più famoso di Pompei eretto nel 70 a.C. 
Già da questa panoramica si percepisce la sacralità del luogo, dedicato fin dagli inizi a riti di commemorazione funebre che furono all'origine della tradizione gladiatoria. Lo spettacolo si ha però oltrepassando la soglia d'ingresso (per noi, io e mia sorella, umili visitatrici di una calda estate, sbarrata all'inizio da una transenna che in autogestione abbiamo dovuto spostare). 

Arena

Davanti ai vostri occhi si dischiude la grandezza di Capua. L'anfiteatro "imperiale", costruito nel I secolo d.C., è secondo per grandezza solo al Colosseo ed ha un sistema di gestione degli ingressi e una caratterizzazione architettonica da fare invidia ad osannati architetti ed ingegneri contemporanei. Il sistema di accesso degli spettatori era regolato da un ricco gioco di archi e pilastri collegati da corde e/o transenne. Ogni settore era distinto con chiavi d'arco raffiguranti divinità, tra le quali Giunone, Minerva e la personificazione del fiume Volturno  visibili in tutta la loro bellezza nel museo dei gladiatori al lato dell'anfiteatro dove, tra l'altro, vi sono resti delle transenne divisorie con temi animaleschi, ricostruzioni di armi e corazze dei gladiatori e un plastico che riproduce l'anfiteatro nella sua interezza. Doveva essere un'opera straordinaria con decorazioni in marmo alternate a cavea e arena in pietra. 
Per saggiare una piccola parte di quella che era la magnificenza del luogo, dall'arena basta voltarsi verso est: davanti a voi si profila la facciata originaria costruita su quattro livelli in cui si riconoscono teste di divinità all'incrocio degli archi e finissime colonnine doriche. 
Facciata lato est 
Queste facciate davano accesso diretto all'arena e se vi ponete al centro di essa potete ammirare i 4 ingressi principali e la maniacale divisione di posti e spazi facilmente distinguibili grazie all'alternanza di materiali e all'abile gioco architettonico. Prima di entrare nel cuore della visita vi indico un ultimo dettaglio: sul lato nord sono visibili i resti di una chiesa insediata nel IV/V secolo d.C. della quale resta l'altare e residui di affreschi, purtroppo non visitabili da vicino per la presenza di transenne che la escludono dal percorso di visita. 
Arena lato nord









Il miracolo vero e proprio accade, però, accedendo ai sotterranei suddivisi in nove corridoi lunghissimi dove si può ammirare lo spectaculum (la macchina da spettacolo) che consentiva ai gladiatori di accedere all'arena e cominciare i loro combattimenti, mentre in corrispondenza dei lati dell'arena vi erano le aperture per consentire l'accesso degli animali, protagonisti della venationes, i giochi che prevedevano il combattimento tra animali o dei gladiatori con gli animali (di solito belve catturate nella campagne di guerra in Africa).
Sotterranei
La visita ai sotterranei è un'esperienza unica a mio avviso che unisce l'interesse per la conoscenza di queste mirabolanti strutture architettoniche al sentire, seppur lontano nel tempo, dell'eco di quella gloria fugace che ebbero quegli schiavi di fronte allo spettacolo che offrivano ai romani. Vi è, poi, un sistema idrico di gestione delle acque detergenti che venivano spruzzate sulla folla quando la calura e la spossatezza di intere giornate sulle gradinate si facevano sentire. Il sistema di diffusione delle acque, tuttora funzionante, è il fiore all'occhiello dell'ingegneria romana, famosa nel mondo per gli acquedotti, i progetti fognari e il convoglio delle acque.

Sotterranei

Il sito dell'anfiteatro campano è un luogo che resta nel cuore perché è sorprendente come si avverta la romanità in una città non vicinissima alla capitale. Conserva, sebbene rimanga inserita in un contesto ormai ultramoderno, quel sapore quasi mitologico che caratterizza la storia romana.
Gli scavi di questi luoghi sono cominciati nel lontano 1726 e nei secoli hanno subito diverse sospensioni e riprese (io stessa nel lontano 2002 feci un tirocinio presso lo scavo). Attualmente è gestito da un'azienda privata che ha investito in collaborazione con il ministero nel progetto di recupero dell'area realizzando un punto ristoro e servizi di accesso al sito.
Devo però sottolineare delle mancanze che interrompono il filo magico della visita: le foto vi dimostreranno l'incuria a cui è sottoposto l'anfiteatro, senza considerare il totale abbandono delle strutture, dato che non abbiamo avvistato nessun custode all'interno del sito. Aggiungerei l'assenza di personale qualificato che possa offrire informazioni ai turisti che arrivano al luogo. La biglietteria e il punto ristoro sono un tutt'uno; il bookshop allestito nelle sale del bar (dove ho comprato una breve guida, datata e davvero scarna) non risponde ad una precisa selezione di testi che potrebbero completare la visita.
Un'opera di salvaguardia è stata comunque compiuta e diamo atto di impegno negli ultimi anni anche da parte del comune che sta realizzando una serie di iniziative volte a sponsorizzare e valorizzare il sito. A tal proposito vi segnalo l'iniziativa "Invadeteci sotto il cielo di Spartaco" i cui dettagli sono a questo link
La strada però è lunga. Si potrebbe prendere spunto proprio da Spartaco: coraggio nelle scelte, nella costanza e nell'attenzione ad un progetto condiviso di promozione del territorio, compartecipato con istituzioni e cittadini. 

Orari di apertura: dal martedì alla domenica dalle 09:00 fino ad un'ora prima del tramonto.

Valore Cultura ad andamento lento



Roma 02 agosto 2013. Data storica per la cultura; dopo circa 30 anni di silenzio, dal Mibac il ministro dei beni culturali e del turismo Massimo Bray presenta un decreto dal titolo emblematico: "Valore Cultura". 
Due termini che accostati sembrano una bomba ad orologeria pronta a scoppiare al primo tocco. E in un certo senso la bomba c'è. Dopo anni di peregrinazioni e tribolazioni il Mibac, ridotto ormai ad un fantasma, come l'araba fenice sembra risorgere dalle proprie ceneri, sebbene lo faccia a piccoli passi. 
Il decreto, le cui slide potere consultare qui, presenta novità incoraggianti volte ad inaugurare un percorso caratterizzato da trasparenza e fiducia in un settore che finalmente deve prendersi la rivincita da anni di dimenticatoio e porsi come risorsa fondamentale per la rinascita del paese. Vanno riconosciute al ministro Bray l'attenzione, l'impegno e la partecipazione alla costruzione di un nuovo corso per la cultura e gli interventi mirati a rilanciare il sud ne rivelano le radicate competenze e la profonda conoscenza del settore e delle sue risorse. 
Voglio dargli fiducia nel progetto Pompei semplicemente perché non abbiamo scelta vista l'incombenza del commissariamento europeo e auspico che questo diventi un incipit florido per il futuro dei nostri siti archeologici che da questo progetto possano trarre linfa per alimentare buoni prassi di gestione e conservazione. 
Trovo, inoltre, meraviglioso il provvedimento dedicato alla lirica, alla musica e ai teatri che finalmente possono respirare e ritornare in auge con il loro ruolo cruciale di portare alta la tradizione lirico musicale in tutto il mondo. 
Chiudiamo in bellezza con le note positive facendo riferimento al ritorno al Ministero degli incassi provenienti dalla vendita dei biglietti. Per quale assurdo e incomprensibile motivo nel 2008 vennero destinati alle casse statali? Si trattava di una norma becera che non rendeva giustizia agli sforzi del ministero e ai contributi dei visitatori che quei luoghi avevano apprezzato. 
Veniamo, però, ai nodi del decreto che non cambiano la situazione delle assunzioni e dell'inserimento di professioni specializzate nell'ambito della gestione, conservazione e valorizzazione del patrimonio artistico-culturale. 
Per il progetto Pompei, oltre al direttore dei lavori, sono previste  cinque figure professionali: una giuridica, una economica, una architettonica, una urbanistica e una infrastrutturale. In un sito archeologico non sarebbe più logico prevedere archeologi, restauratori e conservatori per la messa a punto del progetto? Per anni Pompei è stata gestita da economi, architetti e ingegneri. Risultato? Debiti, mancanza di trasparenza e crolli. Di certo il problema non sta nelle qualifiche, ma credo sia assolutamente necessario il riconoscimento professionale per gli addetti ai lavori. Si tratta di figure specializzate ed assolutamente in grado di gestire pianificazioni di questo tipo. 
Altra questione è quella del tirocinio: 500 laureati under 35 per inventariare, catalogare e digitalizzare il patrimonio. Vorreste dirmi che per digitalizzare il patrimonio basti un tirocinio di un anno? Perché ancora una volta illudere 500 persone? E perché proporre qualcosa di già visto? Culturaitalia ed Europeana non bastano come esempi a testimoniare lo scempio in cui versano questi progetti?
Su questo avrei una proposta: perché non pensare ad un progetto nazionale di "Cultura Digitale"? Dividere i lavori per regioni ed istituire organi stabili e competenti per la gestione delle risorse multimediali. Internet e i digital content sono la nuova frontiera. O vogliamo ancora restare chiusi nei nostri musei.... chiusi? Bisogna investire sulla forza lavoro di tutta una fascia di persone che è pronta per cominciare questa rivoluzione. Siamo stati formati per questo ed è giunto il momento di darci un'occasione. Ho trovato molto interessante a tal proposito il post del professor Giuliano Volpe che appunto analizza la questione del digitale non come "un gioco da ragazzi" e mette sul piatto una concreta buona prassi da cui prendere spunto. Si dovrebbe cominciare da qui invece di proporre tirocini senza sbocco. 
L'ultima riflessione, last but don't least, la rivolgo all'idea del "Polo museale di Napoli e Caserta" e lo faccio con una punta di affetto essendo casertana. Conosco bene la situazione del territorio ed, ahimè, conosco l'incuria e l'abbandono in cui versano siti archeologici, medievali e settecenteschi che dalla Reggia distano pochi chilometri. Mi chiedo allora: perché accostare la Reggia (e San Leucio) a Napoli senza considerare l'importanza e la vastità di un territorio cardine della cultura contadina, artigiana e culturale dell'intera nazione? L'alto casertano è la regione che diede alla Campania l'appellativo di felix in epoca romana e la denominazione "Terra di lavoro" con la quale da secoli viene passata alle cronache le è stata attribuita proprio per la ricchezza di terre, coltivazioni e cultura: dai templi delle Matres Matutae alla grandezza di Capua; dalla scuola napoletana del Solimena alla bellezza della Reggia di Carditello. Non meriterebbe da sola una sovrintendenza per il rilancio di una terra abbandonata a se stessa?
Chiudo il post con mille interrogativi sperando in esaudienti risposte e confronti. 
Ringrazio il ministro e gli auguro buon lavoro, ma credo che bisognerebbe stare attenti a questi "dettagli". Sono le piccole cose che fanno le rivoluzioni e queste mie riflessioni vogliono solo essere uno sfogo di idee confidando in una futura direzione in questo senso. 
"Rome wasn't built in a day" cantava qualcuno; bisogna, però, cominciare da buone fondamenta per entrare nel mito.
Ad maiora, Bray.

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