Posted by : Unknown sabato 29 giugno 2013


La Norvegia quest'anno celebra i 150 anni dalla nascita dell'"eroe nazionale" Edward Munch, pittore norvegese la cui fama nasce intorno al suo più famoso e osannato dipinto, "L'urlo" (1893), la cui terza versione è stata battuta all'asta da Sotheby's alla modica cifra di 120 milioni di dollari.

E pensare che "L'urlo" fu il momento peggiore della sua esistenza, la sintesi dell'angoscia, della depressione e della paura che lo tormentarono tutta la vita, come egli stesso ci scrive in uno dei suoi numerosi diari. 

Le iniziative dedicate al grande artista si snodano lungo tutto il 2013 (http://www.munch150.no/it/) e, attraverso la realizzazione del film "Exhibition", le due più importanti mostre realizzate nella Galleria Nazionale e nel Museo Munch di Oslo rivelano il lavoro dei curatori e le ragioni del percorso espositivo che mira a mettere in luce aspetti innovativi e sconosciuti della tecnica, dei temi e degli scopi della pittura munchiana.
Unico giorno utile per vedere il film giovedì 27 giugno 2013 nei cinema convenzionati. Mi sono detta: "Occasione imperdibile" e, trovata una compagna di avventure, mi avvio verso questa nuova esperienza. Non sapevo cosa aspettarmi da una mostra su grande schermo e non sapevo quale sarebbe stato il mio grado di conoscenza rispetto ad un pittore che la nostra tradizione scolastica e universitaria pone sempre ai margini degli studi. 

Sala semivuota (8 persone), posti centrali, musica di sottofondo e... si comincia. 
Ed eccoli i luoghi di Munch. Quella Norvegia definita desolata, angosciante, tutt'altro mondo rispetto alla Parigi di quegli anni, caratterizzata da colori fulgidi, animi libertini e colta in quell'attimo fuggente.
E si, perché Munch nasce nel 1863, l'anno in cui Manet realizzava "Dejeneur sur l'erbe", il dipinto che segna l'epoca dell'impressionismo. E attraversa i due secoli, tra neoimpressionismo, surrealismo e simbolismo, seguendo una pittura che si fa sempre più astratta, sempre più criptica, sempre più ripiegata su se stessa. Muore al culmine del secondo conflitto mondiale (1944) in un piccolo villaggio della Norvegia, solo e angosciato, vinto (dopo essersi strenuamente battuto) da una malattia, la tubercolosi, che fu il trait d'union di tutta la sua vita.
Il realismo acuto che caratterizzava le sue opere, negli anni va scemando verso una pennellata sempre più irregolare, sempre più cromaticamente confusa e sempre più alienante. 
Sarà per questo che resta "un emarginato" della pittura moderna?
Dopo aver visto il filmato e il racconto della mostra, dopo aver quasi assaporato i luoghi e le persone che lo hanno accompagnato devo ammettere che si è formata un'altra idea nella mia testa, già balenata durante gli studi di psicologia dell'arte: la sua grandissima forza morale. 
Munch e la sua pittura sono uniti indissolubilmente, come mai forse è accaduto nella storia dell'arte.
Le sue opere sono il manifesto di una vita caratterizzata dalla malattia e dalla morte. La sua famiglia fu sterminata dalla malattia (madre, sorella e padre) e questi dolori ne condizionarono fortemente la sua visione delle cose e il suo pensiero.
In mostra per la prima volta dopo il 1902, anno in cui lo espose a Berlino, il "Fregio della vita" viene composto come Munch lo aveva immaginato. Una serie di dipinti, tra cui i celeberrimi "Madonna" e "L'urlo" raccontano la vita secondo Munch, caratterizzata da 4 fasi, che vanno dalla nascita alla morte e si chiudono con "Metabolismo", ad indicare al ciclicità di questo grande mistero che metabolicamente una forza superiore, chissà quale Dio, continua a proporre, quasi fosse una danza macabra (come non pensare a "La danza della vita"?). Alla vita succede la morte e dalla morte nasce la vita (da notare che l'albero della vita ha come radici i teschi).
Superstizione medievale che rinasce nel pensiero novecentesco di Munch. L'uomo e il suo fardello fulcro della riflessione artistica. Visionario, certo, ma non emarginato.
Metabolismo 1899

Al centro di tutto c'è l'amore, vincolo tra uomo e donna e origine del male, dell'ansietà. Munch vive profondamente questo rapporto atavico con il sesso e la morte. Eros e tanatòs si intrecciano fino a diventare un urlo gigantesco. Visto così, "L'urlo" diventa una fase della vita, il momento in cui l'uomo è sopraffatto dalla natura delle cose e ne scarica tutto il peso attraverso una forza interiore che non tutti sono capaci di tirare fuori. Sarà forse questa inconscia consapevolezza che ha reso il dipinto un'icona?
Ed è qui che vedo la sua grandezza: nella capacità di resistere, nonostante tutto. Egli vive, autolesionandosi, tutta l'esistenza con le sue ombre, le sue paura e la sua depressione.
Eppure realizza due opere che hanno illuminato il mio pensiero e che credo siano la massima espressione del genio di Munch che gli farà vincere i secoli. La prima è "Il sole", realizzata per l'Aula Magna dell'Università di Oslo tra il 1909 e il 1916, negli anni in cui Picasso con "Le Demoiselle d'Avignòn" sconvolge la pittura mondiale. 
In questo dipinto, realizzato su un'enorme tela cucita a mano dalla sua domestica, Munch dichiara che la luce del sole è il motore della vita e, visto il luogo, della conoscenza. E questa luce è anche simbolo, come tutto nella sua pittura, di una forza, di una speranza che guida l'uomo nell'affrontare il grande mistero che lo accompagna fin dalla nascita: la morte. 
Il Sole, 1909-1916

Ed egli stesso condensa questo pensiero in una della sue ultime opere: "Autoritratto tra l'orologio e il letto". Lui, vecchio e malato con faccia fiera affronta il letto, simbolo della sua imminente morte dopo aver vinto il tempo, indicato dall'orologio senza le lancette.
Lo definirei un testamento, un monito affinchè guardando quel volto e quella stanza (che a tratti ricorda la camera di Van Gogh) tutti ci potessimo sentire fieri di resistere e di fare della propria sofferenza un'arte.
Lui c'è riuscito e nonostante tanta amarezza e tanto dolore, mi trasmette un'enorme invito alla vita. 

Autoritratto tra l'orologio e il letto 1940-42

Merita un viaggio ad Oslo e merita maggiore attenzione dalla critica perché la sua arte è l'apologia del nostro tempo e la celebrazione dell'uomo contemporaneo che vive costantemente nel cambiamento. 
Egli trova la cura a tanta instabilità e ce la propone tra un urlo disperato e un sole raggiante. 

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