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Archive for febbraio 2015

Luoghi smartiani: il fascino inaspettato della Certosa di San Girolamo (Bologna)



Prendete un giorno di fine settembre, a mattinata inoltrata ma non troppo.
La Certosa di Bologna è tutto fuorché silenziosa e buia: ai corridoi più nascosti segue sempre un cortile assolato, un piccolo filare di pioppi oppure un cinguettio inaspettato. Poi fan capolino tombe dipinte, opere in bronzo, stucco e scagliola, marmi incredibili richiamano un silenzioso stupore: celle altissime o anfratti appena accennati li custodiscono, a testimonianza di un patrimonio unico e ben stratificato.


La Certosa è dove ancora gli Antichi saprebbero celebrare i morti e non (solo) piangerli.
Nei secoli tantissimi artisti, più o meno consacrati, hanno lasciato in essa le proprie tracce, spesso perdute nelle parole delle fonti ma non alla vista, non più scultori per se stessi o la fama, ma per gioco del destino solo per il popolo.
Così facendo la Certosa si è trasformata in un vero e proprio museo all'aperto, tanto prestigioso da diventare la prima meta fissa del Grand Tour settecentesco e poi nell'Ottocento del turismo internazionale (l'hanno visitata tra gli altri Chateaubriand, Byron, Dickens, Mommsen, Stendhal).
Il cimitero del XIX secolo e la grande chiesa di San Girolamo, residuo architettonico del precedente convento certosino trecentesco soppresso in età napoleonica, sorgono su una delle principali necropoli dell'antica Felsina (V secolo a.C.), a riprova dell'uso di questa piana senza soluzione di continuità, caratteristica decisiva anche nel recupero delle strutture conventuali e nella conversione ottocentesca ad area cimiteriale: la progressiva crescita e monumentalizzazione della Certosa infatti, ha tenuto volutamente conto degli spazi già esistenti, integrando elementi diversi ma coerenti tra loro, non da ultimo collegandone l'ingresso al tratto pianeggiante dei portici verso San Luca (1811).



Anche i numerosi monumenti sepolcrali, effigi imponenti della nobiltà cittadina, hanno conosciuto una significativa evoluzione: se le prime tombe, presenti solo a Bologna, vengono dipinte a fresco dai più noti artisti dell’epoca (Gaetano Caponeri, Pelagio Palagi, Antonio Basoli, Giovan Battista Frulli), in linea con la tradizione quadraturistica locale, in seguito si preferiscono monumenti a rilievo e sculture a tutto tondo (Giacomo De Maria, Giovanni Putti, Vincenzo Vela, Stefano Galletti, Carlo Monari, Salvino Salvini).
La straordinaria qualità delle testimonianze artistiche, benché provate dal tempo, dall'incuria, e sfortuna vuole, anche dal recente terremoto del 2012, nonché la complessa articolazione degli spazi, l'alternanza serrata e così particolare tra aperto e chiuso, stretto e ampio, costituiscono quindi il tratto più distintivo della Certosa, ciò che la differenzia da qualsiasi altro cimitero monumentale del Vecchio Continente: logge, sale e porticati danno a tutti gli effetti il senso di una città dei “vivi”, di un'atmosfera che non cura ma che però consola.

Le opere sono visibili anche online:
http://www.certosadibologna.it/museo_virtuale/museo_virtuale.html 

#4C: la formula della Cultura

Le sm-Art People tornano dall'altra parte della barricata, in veste di moderatrici e organizzatrici di un evento in quattro puntate matematicamente smartiane!
Si parla di formule, e si parla di Cultura!
Vi abbiamo spaventati?
Non lasciatevi scoraggiare! La soluzione della formula non è data da complesse elaborazioni matematiche, ma da un'illuminante riscoperta di 4 verbi, le 4 C, che nella giusta miscela possono valorizzare al massimo Cultura, patrimonio e arte!



La formula è presto svelata!
CURIOSARE
CREARE
CONDIVIDERE
COMUNICARE
sono i  4 verbi che ci affiancheranno in questo spiare il camminare della cultura lontano dalle mura del mondo universitario, dove tutto è correre dietro agli esami, al numero di pagine da studiare, ai crediti da accumulare.. lontano dalle pareti spesse (e spesso sorde) delle amministrazioni culturali... lontano dalla nebbia che avvolge la cultura nella quotidianità del comune uomo della strada.

Siamo riuscite a incuriosirvi?
Seguite le rivelazioni e le novità sui nostri canali social e sul nostro blog, ma iniziate a riservare in agenda due ore con noi (e non solo) martedì 10 marzo, martedì 17 marzo e martedì 24 marzo dalle ore 14 e martedì 31 marzo dalle ore 16.

Dove? Ci incontriamo al Palazzo dei Congressi, Largo Firenze 1, nella ridente Ravenna.

E non dimenticate i nostri hashtag #4C e #smartpeople per partecipare al contest fotografico!

Racconto di un restauro: cronache dal liceo Visconti di Roma

Luca Giordano, Disputa di Gesù tra i dottori

Cosa dire a dei liceali quando pensi non gli importi niente? Quando pensi che forse dell’arte del Seicento non gli importi? Cosa dirgli quando porti il restauro di un dipinto nella loro aula magna?
Ecco le parole di Fabrizio Russo, fondatore dell’agenzia creativa KleinRusso, davanti a una tela di Luca Giordano, nell’aula magna affollata di ragazzi del liceo Visconti di Roma, al primo giorno di autogestione. “Quando un giorno studierete in una delle università più prestigiose del mondo, in America, negli Stati Uniti o forse in Cina, sarete a contatto con studenti che al liceo hanno avuto servizi più avanzati dei vostri. Ma nessuno di loro ha mai avuto un quadro del ‘600 in aula magna. Se sarete in grado di farlo sapere, avrete capito qual è la vostra forza”.
Luogo inusuale, parole inusuali, pronunciate per il restauro del quadro di Luca Giordano “La disputa di Gesù tra i dottori”, che avverrà proprio in quell’aula magna, ad opera dello studio di Valeria Merlini e Daniela Storti, con l’approvazione della Soprintendenza dei Beni culturali, il Ministero dei Beni Culturali e il Ministero dell’Istruzione. Mentre l’opera verrà messa a nudo, gli studenti potranno andare a fare domande, seguire il restauro, anche solo dare un’occhiata all’avanzamento dei lavori.
E loro lo fanno.  “Stiamo partecipando all'autogestione tenendo qualche lezione quando ce lo chiedono  -  racconta Daniela Storti. - Questi ragazzi sono straordinari e hanno bisogno solo di stimoli: l'altro giorno un ragazzino di 14 anni ha fatto da solo la tempera all'uovo a casa, ed è venuto a chiederci se aveva capito bene il procedimento".
Io voglio pensare che ai ragazzi del liceo Visconti questo restauro lasci un segno esperienziale indelebile, che l’alchimia dell’arte li accompagni in qualunque sia il loro orizzonte professionale. Perché oggi a loro è stato dato l’onore di comunicare che il nostro patrimonio artistico - la bellezza di cui ci vantiamo quando andiamo in vacanza all’estero - è un po’ anche nostra, ce la portiamo sotto pelle e nella mente anche nolenti, come il ricordo della propria casa. Di tutti e per tutti. 
I lavori saranno visibili e votabili sul sito della divisione dell’agenzia che si sta curando del progetto. Perché? Per trasmettere conoscenza. "Ci siamo interrogati molto su questo punto  -  spiega Valeria Merlini  -  e abbiamo capito quanto le emozioni siano importanti per acquisire dei concetti. Puoi essere molto bravo in Storia dell'Arte, ma niente ti aiuterà come poter vedere da vicino un quadro. E' come con la tua rockstar preferita: se riesci a stringergli la mano, non lo dimenticherai più".
La Cultura e la nostra Storia sono la nostra forza. Riuscire a osservare l’arte e ricordarla come emozione è humus per la nostra formazione e la nostra creatività. Si potrebbe pensare si tratti di una bella trovata per non pagare una bella campagna di comunicazione, ma parliamoci chiaro: in Italia si fa fatica a fare comunicazione culturale per intere collezioni, per le nostre opere più conosciute, figuriamoci per Luca Giordano, per quanto illustre maestro del chiaroscuro.
L’arte è per tutti?

Allora sappiamo tutti leggere un quadro? Una foto? Un’architettura? Siamo tutti capaci, in un Paese come l’Italia, di leggere  ciò che rende il nostro paese tanto affascinante e renderlo emozione?
Se un restauro a scuola, con il lavoro, l'attenzione, la vigilanza aggiuntive che comporta, accende in uno solo di questi liceali una curiosità per l'arte che conserverà nel tempo, avremmo piantato un seme verso un futuro in cui la Cultura sarà meno bistrattata.

Cari giornalisti, di Cultura consapevole si mangia



"Cari giornalisti,

dopo aver letto stamattina su uno dei principali quotidiani italiani l'ennesimo insulso articolo che esprime stupore e meraviglia perché c'è gente che fa la coda per una mostra e quindi conclude estasiato che allora 'con la cultura si mangia', dando per l'ennesima volta eco a dei vaneggiamenti senza senso, chiunque ne sia l'originario autore, vorrei precisare quanto segue:
1. Il settore culturale e creativo è uno dei più grandi dell'economia europea e mondiale. Sono ormai passati quasi dieci anni dalla pubblicazione del rapporto della commissione europea che da le cifre per il nostro continente. Non è un documento riservato, è stato ampiamente pubblicizzato. Una ricerca su Google richiede pochi secondi. Provate questa emozione qualche volta.
2. Le big four (Google, Amazon, Facebook, Apple) sono tutte aziende che producono e vendono contenuti e servizi culturali tra gli altri. Vi fa venire in mente qualcosa?
3. Dei tanti modi con cui si produce valore aggiunto attraverso la cultura, il fatturato delle mostre risulta tra i meno indicati da portare ad esempio, perché per quanto una mostra possa vendere, sarebbe difficile realizzarla senza i contributi di qualche ente erogatore. Ma non c'è niente di male in questo: per tanti settori culturali che fanno profitti, ce ne sono alcuni, come appunto quello del patrimonio e delle attività ad esso connesse, che ha logiche economiche diverse e non è fatto per produrre profitto. Ciononostante è importantissimo perché è uno dei settori che contribuisce maggiormente alla nostra formazione culturale e alla nostra identità, ed è proprio per questo che merita di ricevere finanziamenti pubblici (e privati). Ma proprio per questo, le attività connesse al patrimonio culturale dovrebbero essere guidate da criteri di qualità e scientificità, che non sono in nessun modo in contrasto con la comprensibilità e la piacevolezza, come dimostrano tante mostre importanti e appaganti per gli spettatori allestite nei musei di tutto il mondo.
4. Non è affatto vero che se la gente sopporta lunghe code per vedere una determinata mostra vuol dire che se c'è qualità la gente accorre. Ci sono mostre orribili e prive di qualunque valore conoscitivo che attirano folle e mostre belle e importanti che non vede quasi nessuno (ma anche viceversa). La capacità di attrarre pubblico, soprattutto in paesi con livelli bassissimi di partecipazione culturale come il nostro, dipende anche e soprattutto da altri fattori rispetto alla qualità, fattori che peraltro sono in modo non piccolo legati proprio ai media per cui lavorate. Proprio per questa ragione, una mostra mal progettata fa molti più danni dei benefici immediati che procura qualche stanza d'albergo e qualche tavolo di ristorante occupati in più. E al contrario, una mostra ben progettata e ben promossa può produrre effetti benefici per anni nella mente e nel cuore di chi l'ha vista ed è stato messo in condizione di comprenderla e apprezzarla.
5. Se provaste a documentarvi, sapreste che la vera differenza in termini di futuro sviluppo non la farà la piccola economia delle mostre e dei souvenir, ma la farà la partita delle tecnologie innovative legate al patrimonio, dalle tecnologie indossabili alla realtà aumentata. La farà il settore emergente del welfare culturale. La farà la cultura per la coesione sociale e per l'orientamento vocazionale. Ma a voi tutto questo non interessa, vi interessano solo le code per le mostre blockbuster, perché avete un'idea dell'economia della cultura ferma all'Ottocento e non avete la minima percezione di quel che sta accadendo davanti ai vostri occhi. Perché non capite che le nostre enormi potenzialità di sviluppo economico legate alla cultura seguono logiche completamente diverse da quelle che meccanicamente vi vengono alla mente ogni volta che sentite parlare di economia della cultura.
6. E tanto per chiudere, per l'ennesima volta: non è vero che l'Italia possiede il 50% (o 60 o 70) del patrimonio culturale mondiale: sono percentuali che anche volendo sarebbe impossibile misurare, e vi invito a chiedervi perché. Questo numerino, quale che esso sia, non è che una leggenda urbana, che fa il paio con tutte le cretinate sul petrolio dell'Italia e altre varie amenità.
So benissimo che queste righe non serviranno a niente e che da domani ricominceremo a sentire giornalisti che chiedono se con la cultura si mangia o no. Ma se siamo a questo punto un po' patetico, la colpa è anche vostra. Se continuiamo a basare i nostri ragionamenti collettivi sulla cultura su sciocchezze assortite e leggende urbane, dipende anche da voi. Provateci, almeno una volta, a scrivere di queste cose con un minimo di cognizione di causa. Non vi rendete conto di quanto potreste fare per il futuro di questo paese. "

Così scrive Pier Luigi Sacco sulla Cultura, in un post su un famoso social network e noi non abbiamo potuto fare a meno di condividerlo, non ri-condividerlo, ma stamparlo a caratteri sul nostro blog.
“Scrivere […] con un minimo di cognizione di causa. Non vi rendete conto di quanto potreste fare per il futuro di questo paese”.
Così noi ancora una volta ci schieriamo:
contro chi pensa che di Cultura non si mangia,
contro chi si occupa di comunicazione, ma non si documenta,
contro chi spettacolarizza la bellezza per una fiamma effimera,
contro chi dimentica che la cultura crea valore e che da qui arriva il ritorno economico sotto le più svariate forme.
Nel Web le notizie si trasformano: uno studio di statue in bronzo del primo Cinquecento si trasforma in una scoperta sensazionale, dei ritrovati Michelangelo! E qui si scatena il popolo del Web e si divide tra chi ci vuole credere (“Che meraviglia!”, “Solo ora ritroviamo delle opere così importanti?”) e chi sembra avere le idee ben chiare (“Bufala!”, “I dati a disposizione non mi convincono”, “Michelangelo non era artista da creare qualcosa del genere”). Poi a leggere le interviste originali si scopre il gioco di chi sensazionalizza per una manciata di “virtual fama”.Nel frattempo il settore culturale conferma il primato della specie buffoni.
Invece no.
Scrivere di Cultura con consapevolezza porterà all’economia del welfare culturale, e tanto più ci si orienterà al valore, tanto più questa crescerà. Se i professionisti saranno pronti, e i giornalisti limitati. Ma questa responsabilità è nostra. Facciamoci sentire, con educazione e consapevolezza.


foto da Web

Donne potete votare, ma attenzione al rossetto!



L'1 febbraio del 1945 viene pubblicata in Gazzetta Ufficiale l'estensione del voto alle donne. 
Il suffragio diventa universale, sebbene bisognerà attendere il 02 giugno del 1946, ossia il referendum che sancirà la Repubblica in Italia, per assistere alla prima votazione amministrativa. 


Il perché del titolo? 
Abbiamo parafrasato una frase del Corriere della Sera pubblicata durante la prima votazione a cui parteciparono le donne. Si tratta di una vera e propria indicazione. Siccome le schede dovevano essere incollate come un francobollo, col rossetto si sarebbe resa la scheda riconoscibile. Bisognava, pertanto, rimanere il più anonime possibile. 
L'articolo si chiudeva dicendo: 
"Dunque, il rossetto lo si porti con sé, per ravvivare le labbra fuori dal seggio."

Titoli dei Quotidiani
La battaglia per ottenere il voto fu lunga e ricca di colpi di scena. Elenchiamo le fasi salienti rimandando a studi più precisi. Il nostro intento è creare degli spunti per capire da dove nasce il dibattito e come e con chi si conclude.
Basti pensare che prima dell'Unità d'Italia del 1861 in alcune regioni italiane, come la Lombardia, il Veneto e la Toscana, il voto era già esteso alle donne a livello territoriale e, in alcune province, potevano anche essere elette. 


Con l'Unità d'Italia si vietò assolutamente il voto, anche perché l'opposizione della Chiesa era fermissima. Bisogna aspettare il 1903 per la fondazione di partiti e associazioni pro voto femminile. Furono tante le proposte di vari governi,ma non si riusciva a far breccia in uno stato profondamente maschilista. 
La figura centrale di fine Ottocento fu quella di Anna Maria Mozzoni che si battè con forza contro la discriminazione ponendosi in una posizione europeista che già combatteva per l'ottenimento del voto. 
Durante una conferenza a Bologna nel 1890 la Mozzoni dichiarò: 
"siamo rientrate in noi stesse, abbiamo esaminato i nostri pregi ed i nostri difetti e ci siamo permesse di esaminarvi anche voi, spogli del diritto divino, che è scaduto affatto nella nostra opinione ed abbiamo trovato che la nostra ragione procede al par della vostra con la forma sillogistica; che i problemi che travagliano la vostra coscienza, sono gli stessi che turbano la nostra; che la libertà che voi amate, l'amiamo anche noi; che i mezzi coi quali voi conquistaste la vostra, furono indicati dagli stessi principi che debbono rivendicare la nostra".
La citazione denuncia le intricate situazioni e i pregiudizi che si trovavano a sconfiggere le donne del Novecento. Di fronte a tante difficoltà, La Mozzoni però non si arrese e nel 1908 porta una petizione in Parlamento firmata anche da Maria Montessori. La donna acquisiva sempre maggiore consapevolezza, sebbene venisse osteggiata da più fronti.

Nel 1905 Pio X aveva dichiarato: 
“non elettrici, non deputatesse, perché è ancora troppa la confusione che fanno gli uomini in Parlamento. La donna non deve votare ma votarsi ad un'alta idealità di bene umano […]. Dio ci guardi dal femminismo politico.”
Con ciò ci rendiamo conto delle avversità anche politiche che avevano di fronte. La Chiesa era un punto di riferimento per tutti.
Si arriva così al periodo fascista dopo il dramma della Grande Guerra. Benito Mussolini inserisce il suffragio universale ma la gestione localistica delle leggi, varata dallo stesso governo, annulla di fatto questa possibilità. 
Fu una beffa terribile questa che però smosse gli animi. Ancora la guerra rallentò il riconoscimento, ma all'alba di una nuova epoca, con le anime scosse dal più grande genocidio della storia e l'allargamento degli orizzonti favorì nel 1945 l'inserimento della legge discussa in parlamento il 31 gennaio del 1945 e inserita in Gazzetta Ufficiale il giorno seguente. 



Il merito della legge va alla collaborazione tra due importanti personaggi della storia politica italiana: Alcide De Gasperi (Democrazia Cristiana) e Palmiro Togliatti (Partito Comunista) che in un comune testo, sotto il governo Bononi, portarono la legge all'attuazione. 

Da quella importante data sono passati 70 anni; a ripensarci non è così indietro nel tempo e il ruolo politico delle donne in Italia è ancora argomento che crea dibattiti, soprattutto a seguito di episodi discutibili sul valore effettivo che il loro ingresso ha avuto e ancora detiene. Cariche senza portafoglio, ruoli che rimangono marginali. La speranza resta nella presenza di laura Boldrini come presidente della Camera. 
Bisogna rendersi conto che il lavoro da fare è ancora tanto e, forse, bisognerebbe rendersi conto che entrare nelle istituzioni che di fatto sono operative potrebbe essere un punto di partenza. 
Eh si, di partenza...

Però possiamo tranquillamente andare con rossetto e aggiungiamo i tacchi alti per far sentire la nostra presenza. Anche questo è essere smartiani :)







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