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Edward Munch: L'urlo della modernità
La Norvegia quest'anno celebra i 150 anni dalla nascita dell'"eroe nazionale" Edward Munch, pittore norvegese la cui fama nasce intorno al suo più famoso e osannato dipinto, "L'urlo" (1893), la cui terza versione è stata battuta all'asta da Sotheby's alla modica cifra di 120 milioni di dollari.
E pensare che "L'urlo" fu il momento peggiore della sua esistenza, la sintesi dell'angoscia, della depressione e della paura che lo tormentarono tutta la vita, come egli stesso ci scrive in uno dei suoi numerosi diari.
Le iniziative dedicate al grande artista si snodano lungo tutto il 2013 (http://www.munch150.no/it/) e, attraverso la realizzazione del film "Exhibition", le due più importanti mostre realizzate nella Galleria Nazionale e nel Museo Munch di Oslo rivelano il lavoro dei curatori e le ragioni del percorso espositivo che mira a mettere in luce aspetti innovativi e sconosciuti della tecnica, dei temi e degli scopi della pittura munchiana.
Unico giorno utile per vedere il film giovedì 27 giugno 2013 nei cinema convenzionati. Mi sono detta: "Occasione imperdibile" e, trovata una compagna di avventure, mi avvio verso questa nuova esperienza. Non sapevo cosa aspettarmi da una mostra su grande schermo e non sapevo quale sarebbe stato il mio grado di conoscenza rispetto ad un pittore che la nostra tradizione scolastica e universitaria pone sempre ai margini degli studi.
Unico giorno utile per vedere il film giovedì 27 giugno 2013 nei cinema convenzionati. Mi sono detta: "Occasione imperdibile" e, trovata una compagna di avventure, mi avvio verso questa nuova esperienza. Non sapevo cosa aspettarmi da una mostra su grande schermo e non sapevo quale sarebbe stato il mio grado di conoscenza rispetto ad un pittore che la nostra tradizione scolastica e universitaria pone sempre ai margini degli studi.
Sala semivuota (8 persone), posti centrali, musica di sottofondo e... si comincia.
Ed eccoli i luoghi di Munch. Quella Norvegia definita desolata, angosciante, tutt'altro mondo rispetto alla Parigi di quegli anni, caratterizzata da colori fulgidi, animi libertini e colta in quell'attimo fuggente.
E si, perché Munch nasce nel 1863, l'anno in cui Manet realizzava "Dejeneur sur l'erbe", il dipinto che segna l'epoca dell'impressionismo. E attraversa i due secoli, tra neoimpressionismo, surrealismo e simbolismo, seguendo una pittura che si fa sempre più astratta, sempre più criptica, sempre più ripiegata su se stessa. Muore al culmine del secondo conflitto mondiale (1944) in un piccolo villaggio della Norvegia, solo e angosciato, vinto (dopo essersi strenuamente battuto) da una malattia, la tubercolosi, che fu il trait d'union di tutta la sua vita.
Il realismo acuto che caratterizzava le sue opere, negli anni va scemando verso una pennellata sempre più irregolare, sempre più cromaticamente confusa e sempre più alienante.
E si, perché Munch nasce nel 1863, l'anno in cui Manet realizzava "Dejeneur sur l'erbe", il dipinto che segna l'epoca dell'impressionismo. E attraversa i due secoli, tra neoimpressionismo, surrealismo e simbolismo, seguendo una pittura che si fa sempre più astratta, sempre più criptica, sempre più ripiegata su se stessa. Muore al culmine del secondo conflitto mondiale (1944) in un piccolo villaggio della Norvegia, solo e angosciato, vinto (dopo essersi strenuamente battuto) da una malattia, la tubercolosi, che fu il trait d'union di tutta la sua vita.
Il realismo acuto che caratterizzava le sue opere, negli anni va scemando verso una pennellata sempre più irregolare, sempre più cromaticamente confusa e sempre più alienante.
Sarà per questo che resta "un emarginato" della pittura moderna?
Dopo aver visto il filmato e il racconto della mostra, dopo aver quasi assaporato i luoghi e le persone che lo hanno accompagnato devo ammettere che si è formata un'altra idea nella mia testa, già balenata durante gli studi di psicologia dell'arte: la sua grandissima forza morale.
Dopo aver visto il filmato e il racconto della mostra, dopo aver quasi assaporato i luoghi e le persone che lo hanno accompagnato devo ammettere che si è formata un'altra idea nella mia testa, già balenata durante gli studi di psicologia dell'arte: la sua grandissima forza morale.
Munch e la sua pittura sono uniti indissolubilmente, come mai forse è accaduto nella storia dell'arte.
Le sue opere sono il manifesto di una vita caratterizzata dalla malattia e dalla morte. La sua famiglia fu sterminata dalla malattia (madre, sorella e padre) e questi dolori ne condizionarono fortemente la sua visione delle cose e il suo pensiero.
In mostra per la prima volta dopo il 1902, anno in cui lo espose a Berlino, il "Fregio della vita" viene composto come Munch lo aveva immaginato. Una serie di dipinti, tra cui i celeberrimi "Madonna" e "L'urlo" raccontano la vita secondo Munch, caratterizzata da 4 fasi, che vanno dalla nascita alla morte e si chiudono con "Metabolismo", ad indicare al ciclicità di questo grande mistero che metabolicamente una forza superiore, chissà quale Dio, continua a proporre, quasi fosse una danza macabra (come non pensare a "La danza della vita"?). Alla vita succede la morte e dalla morte nasce la vita (da notare che l'albero della vita ha come radici i teschi).
Superstizione medievale che rinasce nel pensiero novecentesco di Munch. L'uomo e il suo fardello fulcro della riflessione artistica. Visionario, certo, ma non emarginato.
Le sue opere sono il manifesto di una vita caratterizzata dalla malattia e dalla morte. La sua famiglia fu sterminata dalla malattia (madre, sorella e padre) e questi dolori ne condizionarono fortemente la sua visione delle cose e il suo pensiero.
In mostra per la prima volta dopo il 1902, anno in cui lo espose a Berlino, il "Fregio della vita" viene composto come Munch lo aveva immaginato. Una serie di dipinti, tra cui i celeberrimi "Madonna" e "L'urlo" raccontano la vita secondo Munch, caratterizzata da 4 fasi, che vanno dalla nascita alla morte e si chiudono con "Metabolismo", ad indicare al ciclicità di questo grande mistero che metabolicamente una forza superiore, chissà quale Dio, continua a proporre, quasi fosse una danza macabra (come non pensare a "La danza della vita"?). Alla vita succede la morte e dalla morte nasce la vita (da notare che l'albero della vita ha come radici i teschi).
Superstizione medievale che rinasce nel pensiero novecentesco di Munch. L'uomo e il suo fardello fulcro della riflessione artistica. Visionario, certo, ma non emarginato.
![]() |
Metabolismo 1899 |
Al centro di tutto c'è l'amore, vincolo tra uomo e donna e origine del male, dell'ansietà. Munch vive profondamente questo rapporto atavico con il sesso e la morte. Eros e tanatòs si intrecciano fino a diventare un urlo gigantesco. Visto così, "L'urlo" diventa una fase della vita, il momento in cui l'uomo è sopraffatto dalla natura delle cose e ne scarica tutto il peso attraverso una forza interiore che non tutti sono capaci di tirare fuori. Sarà forse questa inconscia consapevolezza che ha reso il dipinto un'icona?
Ed è qui che vedo la sua grandezza: nella capacità di resistere, nonostante tutto. Egli vive, autolesionandosi, tutta l'esistenza con le sue ombre, le sue paura e la sua depressione.
Eppure realizza due opere che hanno illuminato il mio pensiero e che credo siano la massima espressione del genio di Munch che gli farà vincere i secoli. La prima è "Il sole", realizzata per l'Aula Magna dell'Università di Oslo tra il 1909 e il 1916, negli anni in cui Picasso con "Le Demoiselle d'Avignòn" sconvolge la pittura mondiale.
In questo dipinto, realizzato su un'enorme tela cucita a mano dalla sua domestica, Munch dichiara che la luce del sole è il motore della vita e, visto il luogo, della conoscenza. E questa luce è anche simbolo, come tutto nella sua pittura, di una forza, di una speranza che guida l'uomo nell'affrontare il grande mistero che lo accompagna fin dalla nascita: la morte.
![]() |
Il Sole, 1909-1916 |
Ed egli stesso condensa questo pensiero in una della sue ultime opere: "Autoritratto tra l'orologio e il letto". Lui, vecchio e malato con faccia fiera affronta il letto, simbolo della sua imminente morte dopo aver vinto il tempo, indicato dall'orologio senza le lancette.
Lo definirei un testamento, un monito affinchè guardando quel volto e quella stanza (che a tratti ricorda la camera di Van Gogh) tutti ci potessimo sentire fieri di resistere e di fare della propria sofferenza un'arte.
Lui c'è riuscito e nonostante tanta amarezza e tanto dolore, mi trasmette un'enorme invito alla vita.
Lo definirei un testamento, un monito affinchè guardando quel volto e quella stanza (che a tratti ricorda la camera di Van Gogh) tutti ci potessimo sentire fieri di resistere e di fare della propria sofferenza un'arte.
Lui c'è riuscito e nonostante tanta amarezza e tanto dolore, mi trasmette un'enorme invito alla vita.
![]() |
Autoritratto tra l'orologio e il letto 1940-42 |
Merita un viaggio ad Oslo e merita maggiore attenzione dalla critica perché la sua arte è l'apologia del nostro tempo e la celebrazione dell'uomo contemporaneo che vive costantemente nel cambiamento.
Egli trova la cura a tanta instabilità e ce la propone tra un urlo disperato e un sole raggiante.
Author : Unknown
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Affittasi opere d'arte italiane in ottimo stato (forse)
Opere d'arte in affitto... detta così sembra un'eresia per il bel paese.
Eppure questa è una delle proposte di decreto del governo Letta, ancora da approvare.
Eppure questa è una delle proposte di decreto del governo Letta, ancora da approvare.
Noi che abbiamo il David e il Colosseo ci mettiamo in vendita... siamo pazzi?
Le Sm-art People però vi chiedono: qual'è l'alternativa per i beni "custoditi" nei depositi?
Si metta in fila davanti al parlamento chi ha la soluzione.
Affittare il nostro patrimonio ai paesi stranieri non è certo un modo per salvare la nostra economia e soprattutto la nostra noncuranza del patrimonio, ma potrebbe essere un'opportunità dai risvolti positivi.
Riflettiamoci insieme.
A costo zero e senza nulla togliere alle collezioni museali che raramente programmano la rotazione delle opere e che non hanno spazi (e fondi) per renderle pubbliche e/o visitabili in percorsi espositivi periodici, potremmo avere un introito da destinare ai restauri, alla conservazione e alla crescita del personale per le attività dei musei.
Aggiungiamo poi l'enorme ritorno in immagine. Musei come il British di Londra e il Rijksmuseum di Amsterdam hanno dimostrato come rendere visibili e fruibili (online e offline) le loro collezioni abbia portato ad un aumento di visitatori di oltre il 30% ed un coinvolgimento delle istituzioni cittadine per la valorizzazione dell'intera città: ad Amsterdam adesso si va anche solo per Cultura (!!) e si parla di marketing e rivalutazione su scala urbana!
Perché, dunque, non portare all'estero l'arte italiana, garantendole tutela, conservazione e una giusta collocazione? Il provvedimento prevede infatti dei vincoli per gli eventuali affittuari, in primis garantire alle nostre opere l'esposizione in spazi dedicati alla "cultura italiana".
Un'ultima riflessione, ancor più provocatoria: finora il destino dei depositi lo abbiamo mai considerato?
Chi li difende da muffe, umidità, incuria, polvere?
Chi sa effettivamente cosa c'è nei depositi?
Esiste un archivio che li cataloga?
Nei depositi si trova di tutto: solo dieci anni fa, al Museo Archeologico di Napoli, è stato ritrovata un'opera del Carracci tra le statue dell'epoca romana, non catalogato e lasciato lì, sul pavimento di un deposito.
E siamo pronti a denunciare e condividere lo stato di degrado di Pompei, la Reggia di Caserta, il Colosseo.. ma come proteggere tutto questo senza fondi e in tempo di crisi?
Questa allora potrebbe essere un'occasione di riscatto per una parte delle nostre opere, per avere un quadro più completo del nostro patrimonio e un modo per valorizzarlo. Si potrebbero finalmente utilizzare competenze per catalogarlo, studiarlo e tutelarlo e potremmo avere un patrimonio in grado, in parte, di autofinanziarsi. Un patrimonio per ora percepito solo come un peso, un qualcosa di vecchio che si lusinga perché almeno per una volta, non ha subito altri tagli (Decreto del Fare, 17 giugno 2013).
Unico monito al governo (semmai qualche ministro leggerà queste parole) è quello di affidare questo lavoro, almeno in questa occasione, alle giuste competenze, a chi ha studiato per questo, preferibilmente giovani!!
E che questi soldi siano poi realmente destinati alla Cultura e al nostro patrimonio, non a rimpinzare le tasche degli scialacquoni!
E che questi soldi siano poi realmente destinati alla Cultura e al nostro patrimonio, non a rimpinzare le tasche degli scialacquoni!
Italiani, dunque, priva di levarvi per un retorico impeto di orgoglio nazionale (soprattutto perché magari dietro l'angolo è appena crollato un cornicione di un edificio storico), riflettete sulle opportunità che un bene può offrire, senza svendersi, senza prostituirsi, ma semplicemente mettendosi in mostra per quello che è: un'opera d'arte, frutto della nostra storia, che per anni, se è stata fortunata, si è trovata imballata al buio in un deposito.
Author : Unknown
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Only the brave (solo il coraggioso)
Cultura, sempre lei. La parola di cui tutti facciamo sfoggio almeno dieci volte al giorno vantandoci della nostra cultura personale, della cultura di Dante che, diamine, era italiano o di quella di Da Vinci anche lui italiano e della bellezza che ci circonda, anch'essa italiana.
Eppure cultura e Italia/italiano sembrano a tratti cozzare sia nella gestione specifica del settore sia nell'inserimento della Cultura nei piani di sviluppo economico nazionale.
Siamo tutti degli ottimi oratori quando si tratta di vantare le gesta dei romani, però poi diamo a Ridley Scott la possibilità di fare di Decimo Meridio il protagonista di un suo film (e di farci un mucchio di soldi) mentre la tomba (vera) del gladiatore è lasciata all'abbandono sulla devastata via Appia.
Qualcosa però si muove. Mi commuove ancora ripensare ad un ministro che vaga umilmente nella Reggia di Caserta armato di bicicletta e smartphone (mica auto blu e troupe della RAI?). O anche il rimembrar di una giornata, quella del 05 maggio 2013, che ha condotti noi storici dell'arte all'Aquila per provare a ricominciare e per guardare con i nostri occhi attenti il disastro procurato.
Allora la domanda sorge spontanea: cosa manca? Lo ripeto mille volte al giorno nella mia testa. Essendo una fagocitatrice di parole e di immagini sono partita da una riflessione frutto di questo tempo trascorso a romanzare immagini e immaginare parole: quello che rende unica la cultura è la capacità di perpetuare nel tempo un'idea. Sia essa una concezione filosofica o una prerogativa estetica, quell'idea è il cuore della cultura ed è il cardine delle rivoluzioni (culturali, s'intende).
E qual'è l'idea delle idee? Cos'ha condotto uomini a battersi per un ideale? A ostinarsi nel proporre quel modo espressivo? Il CORAGGIO. Ecco: seduta davanti ad una finestra rigenerata dalla brezza estiva, provo a dire la mia. La cultura si fa con il coraggio.
Tutti noi dovremmo cominciare ad avere il coraggio di dire no di fronte alla retorica di cui ci cospargono; dovremmo cominciare a dire no all'umiliazione di regalare le nostre competenze; dovremmo renderci conto di avere in mano le chiavi del nostro futuro e di guardare al futuro come tutti i grandi prima di noi hanno fatto e alcuni continuano a fare.
Da dove comincia il Rinascimento? Dalla follia di un pittore che nell'umile chiesetta di Assisi sconvolse la pittura occidentale: Giotto. Il suo ciclo pittorico delle Storie di S. Francesco anno domini 1302 è l'atto primo della modernità. L'uomo è il centro attorno al quale si muove l'universo, compreso quello divino incarnatosi nella figura di san Francesco. Da lì si diffonde questo ronzio che diventa un urlo alla scoperta dell'America, anch'essa frutto di un folle, italiano, salpato a cercare le Indie. E poi c'è il più coraggioso di tutti, un certo Lorenzo de' Medici, il Magnifico, che crea un circolo di artisti e pone al centro della sua Firenze la conoscenza, creando un mito riconosciuto e diffusosi in tutto il mondo.
Tutti noi dovremmo cominciare ad avere il coraggio di dire no di fronte alla retorica di cui ci cospargono; dovremmo cominciare a dire no all'umiliazione di regalare le nostre competenze; dovremmo renderci conto di avere in mano le chiavi del nostro futuro e di guardare al futuro come tutti i grandi prima di noi hanno fatto e alcuni continuano a fare.
Da dove comincia il Rinascimento? Dalla follia di un pittore che nell'umile chiesetta di Assisi sconvolse la pittura occidentale: Giotto. Il suo ciclo pittorico delle Storie di S. Francesco anno domini 1302 è l'atto primo della modernità. L'uomo è il centro attorno al quale si muove l'universo, compreso quello divino incarnatosi nella figura di san Francesco. Da lì si diffonde questo ronzio che diventa un urlo alla scoperta dell'America, anch'essa frutto di un folle, italiano, salpato a cercare le Indie. E poi c'è il più coraggioso di tutti, un certo Lorenzo de' Medici, il Magnifico, che crea un circolo di artisti e pone al centro della sua Firenze la conoscenza, creando un mito riconosciuto e diffusosi in tutto il mondo.
Da dove comincia il nostro "rinascimento"? Comincia da chi ci vuole credere, da chi è disposto a stare col naso all'insù per ammirare una cattedrale e perdersi nelle sue architetture o da chi sta chino alla scoperta di un tesoro archeologico. Comincia da chi analizza le opere d'arte e ne studia la materia come fosse un medico con un paziente ed è orgoglioso della sua professione. Comincia da chi se ne frega dell'accademismo e della belle parole e comincia a fare. Si comincia dal basso, dal proprio territorio e dall'immensa fortuna di avere una rete, una tastiera e uno spazio virtuale sui quali avere la libertà di esprimersi.
La libertà è coraggio e il coraggio è libertà ... di essere se stessi.
Se vogliamo che qualcosa cambi dobbiamo cambiare il nostro modo di pensare ed essere pronti ad accogliere un ronzio, seguire il flusso delle nuove idee e non abbarbicarci sulle nostre convinzioni.
Il cambiamento è coraggio e il coraggio è il cambiamento.... delle cose.
La libertà è coraggio e il coraggio è libertà ... di essere se stessi.
Se vogliamo che qualcosa cambi dobbiamo cambiare il nostro modo di pensare ed essere pronti ad accogliere un ronzio, seguire il flusso delle nuove idee e non abbarbicarci sulle nostre convinzioni.
Il cambiamento è coraggio e il coraggio è il cambiamento.... delle cose.
Per capire il segreto e la forza della cultura non si deve partire dai piani economici o da ambiziosi progetti ingegneristici. Servono passione, competenza e lungimiranza. Cambiare la prospettiva, come fecero gli artisti rinascimentali, e tuffarsi in un nuovo oceano di conoscenza, partendo da chi la cultura la mastica.
La passione è coraggio e con essa si può costruire un nuovo mondo della conoscenza.
Per questo, only the brave. E le sm-Art people lo sono, ostinatamente lo sono.
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Il restauro degli affreschi in Santa Croce: valore, prestigio o vanità?
Grande successo, ma sopratutto approvazione, sta avendo la notizia dell'avvenuto restauro degli affreschi della Cappella Maggiore della Basilica di Santa Croce a Firenze.
Le "Stigmate di San Francesco" di Giotto e la "Assunzione della Vergine" del Maestro di Figline, uno degli enigmatici collaboratori della bottega giottesca, sono stati restaurati dall'Opificio delle Pietre Dure grazie ad un accordo con l'Università giapponese di Kanazawa, e sopratutto grazie al contributo del professor Takaharu Miyashita, docente di storia dell'arte occidentale.
Grande prestigio all'Italia per questa grande operazione di restauro, partita nel 2010 e conclusasi nel mese di marzo di quest'anno.
La verità è che non abbiamo proprio niente di cui vantarci, perché noi italiani non siamo stati capaci di tutelare questi affreschi e questa nostra eredità.
Ben vengano tutti i mecenati del mondo, tutti gli amanti dell'arte e della Cultura, ma perché noi italiani non siamo capaci di preservare il nostro patrimonio?
"Con la crisi chi si può permettere un restauro!"
Beh, ora sono veramente convinta che in tempi diversi ci saremmo mobilitati per la salvaguardia degli affreschi di Giotto!
Noi pensiamo che ciò che vediamo oggi sia immutabile nel tempo, non siamo in grado di percepire l'avanzare dell'età del nostro patrimonio perché da secoli presidia la nostra nazione. Trascuriamo i fattori ambientali, antropici, e non sentiamo la sofferenza dei nostri monumenti (che negli ultimi 200 anni hanno visto crescere esponenzialmente la velocità con cui il tempo lascia su di loro le sue cicatrici).
Non possiamo riportare i nostri capolavori a ciò che fu nel momento in cui fu creato: manchiamo della mano dell'artista creatore, del contesto storico, dell'ambientazione del tempo, e non vogliamo certo creare dei falsi!
Ma forse un pò del nostro senso di responsabilità verso le generazioni future potremmo smuoverlo. Se facessimo un parallelismo tra l'eredità materiale e quella culturale, per ora la direzione è quella di tramandare debiti, collezioni con qualcosa di rotto o mancante..
Cosa potremmo chiedere dunque alle nostre istituzioni ed ai nostri ministri?
Io chiederei di rieducare e rieducarci al riconoscimento del valore che ci circonda: chi non ama il bello?
Forse solo chi non riesce a vederlo, a trovarvi un legame con se stesso.
Mi piacerebbe sapere che i privati possono contribuire al recupero del nostro patrimonio con donazioni libere e spontanee, anche tracciate se superano determinati importi, e che non solo le donazioni sociali, ma anche quelle culturali, possano usufruire di maggiori sgravi fiscali.
Vorrei infine che non si giochi al ribasso su tutte le gare di appalto di restauro. La mia è utopia pura, ma non si può valutare il rapporto qualità/prezzo così come noi lo facciamo nel nostro quotidiano?
Far vincere il valore dell'economicità a discapito della qualità, non solo suona controproducente al solo leggere la frase a bassa voce, ma costringe chi vince gli appalti ad utilizzare materiali scadenti, o sottopagare i professionisti coinvolti. E non riesco a pensare quale delle due scelte sia migliore o peggiore. D'altronde, un professionista del settore culturale, non è un vero esperto, no? Per un servizio culturale di alta qualità non si può mica pagare quanto un servizio paragonabile in qualunque altro settore...
Ma è la nostra identità culturale che stiamo svendendo, come se i luoghi di cui abbiamo ricordi felici non avessero nessun valore nel nostro presente, come se ritornandoci noi non avessimo nessun legame, nessun "ma ti ricordi quando..", niente, nessun pensiero, come se per la prima volta nella nostra vita capitassimo lì.
Dobbiamo e possiamo credere che nulla possa invertire questa rotta?
Che il nostro patrimonio venga apprezzato e salvato dall'estero, mentre noi stiamo ad aspettare?
"La nazione che non conosce la bellezza
non è quella dove l'arte non è mai nata,
ma quella che ricca di capolavori
non è capace né di amarli, né di preservarli"
Dino Gavina
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Digital economy: dov’è la Cultura?
Ieri prima presentazione pubblica del progetto Web Economy Forum (Wef) a Ravenna, un progetto di cultura digitale per le aziende delle province di Ravenna, Forlì-Cesena e Rimini.
Il progetto sembra confermare che per ricostruire la produttività delle PMI bisogna partire dal basso, da un progetto di crescita collaborativa.
Negli ultimi mesi i media ci raccontano ancora la crisi, analizzano i numeri delle imprese e le notizie sono poco confortanti: a fronte del numero di imprese chiuse e aperte ogni mese in Italia, il saldo è drasticamente negativo, ma ripartire si deve, e si può!
Il progetto Wef parte dai tre concetti di new economy: digital, internet e Web economy.
Un’ economy sottovalutata che vale il 4% del PIL, sconosciuta a gran parte delle PMI del territorio italiano.
Ma chi è attivo online riporta in media una crescita del 12% del business, del 34% del personale, e una produttività in crescita… lavorare per un'azienda che riesce a dare valore aggiunto al cliente, porlo al centro dell'attenzione, e chiudere in positivo in un periodo di decrescita economica come quello che stiamo vivendo, fa crescere l'autostima dell'imprenditore e dei suoi dipendenti, valore fondamentale per una buona produttività e per la qualità del lavoro!
Giuseppe Giaccardi, ideatore del progetto, nel suo intervento ha sottolineato come la congiuntura negativa che stiamo vivendo, purtroppo, porta all’espatrio dei nostri talenti a cui è difficile chiedere di tornare in Italia "perché non ci sono argomentazioni per riportarli indietro o tenerli qui". Amara e triste verità.
Nella crisi abbiamo bisogno di trasformarci e invertire la rotta.
Le parole chiave sono: ascolto, collaborazione, creatività, porosità, interoperabilità, partecipazione e innovazione sociale.
Webeconomy è visione, distruzione creativa.
Webeconomy è startup, rigenerazione delle industrie tradizionali.
Webeconomy è opportunità, cosmopolitismo, territorio innovativo.
Eppure c’è chi pensa che bisogna ripartire dalle nostre deboli istituzioni che tuttavia non sono in grado di sostenerci e proporci un’alternativa. Siamo noi dal basso a dover ricostruire la nostra nazione, diffondere la cultura della produttività collaborata, nelle PMI come nella Cultura.
Quando i settori produttivi ripartono dal Web per creare rete, sorge spontanea l’idea che questo possa funzionare anche nella Cultura.
E noi sm-Art People ci crediamo, da tempo ci crediamo.
Crediamo in una visione, in una stasi del settore culturale (che parte dalle istituzioni) che possa determinarne la rinascita, in competenze applicate al proprio settore di afferenza, al coinvolgimento del territorio per rafforzarne l’identità e tramandarne le tradizioni. Quelle tradizioni che stanno strette a molti, viste come retrograda reminiscenza di un passato da superare, vanno riviste come scrigno della nostra identità.
La Cultura da preservare con un’innovazione di processo, perché viva nel suo tempo, perché non rimanga a guardare il vortice delle evoluzioni Web, ma possa arrivare alle persone attraverso i processi Web, mobile e sociali che stanno rimodellando le nostre vite.
Come possiamo smuovere un settore così "vincolato"?
Con un viaggio fatto di persone, di territori, di racconti.
Insieme condividere e tutelare la nostra cultura e la nostra identità con l'aiuto delle tecnologie che non possono più essere svincolate dalla nostra vita.
Le idee non mancano, ma le possibilità a volte sì.
Partiamo insieme per un nuovo viaggio, concediamoci una possibilità di trasformazione.
"Il vero viaggio di scoperta consiste
non nel trovare nuovi paesaggi
ma nell'avere occhi nuovi"
non nel trovare nuovi paesaggi
ma nell'avere occhi nuovi"
M. Proust
Author : Unknown
Sul sentiero di Tùkè...
E poi ti trovi ancora qui, aggrappato all'energia che solo lavorare alla realizzazione di un qualcosa di davvero tuo può dare... qualunque giorno sia, qualunque ora sia, qualunque grado di stanchezza abbia raggiunto.
Oscilli tra buonumore e dubbio, dall'essere positivo alla consapevolezza che sarai sempre svantaggiato davanti a chi ha qualcosa di più concreto, più agganci, più fondi... ma anche le nonne, con la loro esperienza di vita, ti dicono che "un giorno, il tuo impegno e il tuo merito verranno riconosciuti".
Musica alle orecchie, invito la creatività a stare con me per creare una nuova formula, una vera formula, per spiegare come questo mondo Tùkè ha delle radici in un qualcosa di lontano e forte nel tempo...
Un'entità gentile guida me e i miei pensieri su un sentiero bianco...
"Non avere timore, tu che vai a curiosare in questa agorà,
ma non sfidare i cittadini della Cultura...
buona sorte e creatività sono dalla loro parte!
Le loro armi possono essere taglienti,
ma sono solo parole,
vogliono solo scortarti
in un mondo di immagini e bellezza,
ricordarti che dalle parole nasce il confronto,
un cammino sulle torri della Conoscenza..."
... come un matematico riscrivo le origini.
Author : Unknown
Democrazia: l'importante è partecipare
Ecco perché sono qui, in terza fila, taccuino alla mano,
all’incontro proposto dal Gruppo dello Zuccherificio per la V edizione del grido
della farfalla, il festival dell’informazione libera, in questi giorni a Ravenna... in ascolto dei signori romagnoli: GdZ, vi siete presi dei complimenti. “Il
grido della farfalla sembra un’esclamazione di guerra” dicono. Ed io aspetto,
consapevole di aver segnato questo appuntamento in agenda senza troppo badare a
chi interverrà perché il grido dell’incontro mi ha condotto qui.
#gdf2013. Leggo l’hashtag e maledico lo smartphone in
carica. O forse è meglio così, libera di ascoltare. Nonostante la serata fresca, Piazza San Francesco è suggestiva come sempre e mi penso qui,
nel 1300, in questa piazza in cui sento le persone, i cittadini, parlare a bassa
voce…
Ospiti il giornalista Luca de Biase e il professore
Gianfranco Pasquino che apre il dibattito riportandoci all’origine etimologica
delle parole “politiche” che usiamo.
Democrazia: dal greco demos, popolo, e cratos, potere.
I cittadini esprimono il proprio potere attraverso elezioni libere e periodiche, ma i cittadini hanno le risorse, intese come modo e tempo di informarsi, per votare?
Quali doveri hanno i cittadini? Diritto e dovere civico di
votare, diritto di scegliere i propri politici, “e come direbbero in
Inghilterra, di cacciare i governanti” dice Pasquino. “Se il potere al popolo
non c’è, sicuramente non esiste la democrazia. Con, da e per il popolo, diceva
Lincoln”.
In quali modalità il popolo esprime la propria
partecipazione?
“La risposta ce la da ancora una volta la Costituzione” dice ancora Pasquino.
Articolo 1. Come popolo siamo depositari della sovranità. "Andiamo all’articolo 49", prosegue il prof, "che è male interpretato, non è
l’articolo dei partiti”. Si parla di libera associazione. Tutti i cittadini
hanno il diritto di associarsi liberamente in partiti, per concorrere col metodo democratico a determinare la politica nazionale. Il
valore delle parole: concorrere implica partecipazione e competizione.
Quindi il primo luogo sono i partiti. “Per quanto oggi non
ci convincano, senza non esiste democrazia”.
Luca de Biase viene interrogato sulla democrazia debole e
risponde con una ricerca dell’ONU in materia di analfabetismo funzionale. A un
campione di cittadini dei diversi paesi del mondo viene chiesto di leggere un
testo e vengono poi sottoposti a delle domande per valutarne l'alfabetizzazione. Si tratta di capire la capacità di leggere e comprendere un
testo. L’Italia riporta un poco vantabile 47%
di analfabeti funzionali (il Messico 48%, la Germania 15%).
Potersi informare significa anche avere le capacità di
scegliere cosa leggere, o si rientra nella democrazia debole. "I mezzi di
comunicazione soffrono di distorsione", aggiunge il giornalista. Il Censis
riporta come nel 2009 il 55% della popolazione, prima delle elezioni, si sia
informata esclusivamente attraverso i telegiornali. Nel 2007/2008 non ci fu una
crescita del numero di crimini in Italia, ma la concentrazione dei servizi
televisivi sul tema, ha portato la criminalità a diventare la prima
preoccupazione degli italiani.
Pasquino parla di deficit democratico inteso come “mancanza
di qualcosa” alla democrazia ed alle istituzioni: può accadere se queste non
rappresentano il paese, se vi è un governo di minoranza, se i cittadini sono
poco partecipi. Rincara la dose: “in Italia la qualità della democrazia è
mediamente insoddisfacente”. Chi deve spiegare come funziona? Le informazioni
non girano e non arrivano da chi dovrebbe sapere di più, i partiti non sono i
maggiori depositari di queste conoscenze.
Ma è anche importante chiedersi: dove guardiamo la
televisione, quando e con chi? Quanto ne è influenzata la nostra percezione
delle notizie e la nostra rielaborazione?
“Si può essere ricchi e ignoranti per una sola generazione.
Alla seconda si può essere ignoranti, ma non ricchi”.
Bobbio scriveva che la democrazia è “segno delle promesse
non mantenute” nel suo libro Il futuro della democrazia edito per la prima
volta nel 1984. Commenta Pasquino per Bobbio, suo maestro: “ho chiesto troppo
alla democrazia. Dovrei essere meno esigente. La democrazia non può mantenere
tutte le promesse, ma deve farle perché i cittadini mirino a raggiungerle".
A entrambi gli ospiti sono state chieste le cause dello
scetticismo dei cittadini verso la politica e le istituzioni e del conseguente
allontanamento.
Pasquino invita a non nasconderci dietro false scuse: si
tratta di cattiva politica, “per quanto l’astensionismo non aiuti e
l’allontanarsene sia controproducente” aggiunge.
Luca de Biase torna sul concetto del referendum invitando a
riflettere sul come venga usato a strumento del NO violando il segreto (chi va
a votare, voterà sì, no?) e ai cittadini viene insegnato a mettere da parte il
diritto/dovere del voto.
La politica si deve conquistare la partecipazione dei
cittadini.
Qual è la responsabilità dei partiti nell’allontanamento dei
cittadini? “I partiti sono deboli, e si indeboliscono quando diventano
autoreferenziali e non danno senso di continuità, anche cambiando spesso nome, pensiero,
e non essendo presenti sul territorio. I partiti devono saper spiegare la
politica a tutti. Il più antico partito d’Europa è stato fondato nel 1864: è il partito
democratico tedesco, e si chiama ancora così”. Pulsione, competenza e continuità sono gli elementi vincenti di un partito: parola di Pasquini.
I nostri strumenti democratici sono superati?
Il Web può forse aiutare, ma la politica è passione e
confronto tra le persone.
A fine serata, mi sento più cittadina e più ricca, con qualche domanda nella
testa: ma se i partiti non sono depositari di competenza e conoscenza della
politica e della costituzione, chi può/deve insegnarla al popolo? Come
invertire questa rotta dell’ignoranza politica funzionale? Potranno un giorno i
nostri politici entrare ed uscire di scena per poi tornare alla propria
professionalità? Come arrivare a questo? Bisogna forse ripartire dalla scuola
per la rinascita del senso civico e della partecipazione democratica con un
qualcosa di più programmatico, più snello ed accattivante di qualche ora rubata
ad altri insegnamenti ?
Author : Unknown
Venerdì 17: coincidenze o superstizione?
Paura del 17?
Da dove nasce questa e vera e propria fobia?
Si tratta di una superstizione tutta italiana scaturita da una serie di leggende e dall'influenza della smorfia napoletana.
Nell'antica Grecia i pitagorici ritenevano che il numero 17 dovesse essere eliminato in quanto si trova tra due numeri perfetti: il 16 e il 18, che rappresentavano le formule dei quadrilateri.
Passando alla tradizione biblica il numero 17 è legato al diluvio universale raccontato nella Genesi (7, 11).
La pioggia iniziò a cadere il 17° giorno del secondo mese..
e come dimenticare che Gesù muore di venerdì?
Nell'antica Roma sulle tombe dei defunti si trova la parola latina "VIXI" (ho vissuto): indovinate qual è il suo valore numerico!
E' l'anagramma del 17!
Tornando in territorio prettamente italiano, la smorfia napoletana attribuisce al 17 la disgrazia.
Vi diamo uno spiraglio positivo.. in ebraico le lettere tav (9) + vaw (6) + bet (2) compongono la parola "tov", che significa buono.
In Italia però continueremo a sentir parlare di eptakaideicafobia!
Da dove nasce questa e vera e propria fobia?
Si tratta di una superstizione tutta italiana scaturita da una serie di leggende e dall'influenza della smorfia napoletana.
Nell'antica Grecia i pitagorici ritenevano che il numero 17 dovesse essere eliminato in quanto si trova tra due numeri perfetti: il 16 e il 18, che rappresentavano le formule dei quadrilateri.
Passando alla tradizione biblica il numero 17 è legato al diluvio universale raccontato nella Genesi (7, 11).
La pioggia iniziò a cadere il 17° giorno del secondo mese..
e come dimenticare che Gesù muore di venerdì?
Nell'antica Roma sulle tombe dei defunti si trova la parola latina "VIXI" (ho vissuto): indovinate qual è il suo valore numerico!
E' l'anagramma del 17!
Tornando in territorio prettamente italiano, la smorfia napoletana attribuisce al 17 la disgrazia.
Vi diamo uno spiraglio positivo.. in ebraico le lettere tav (9) + vaw (6) + bet (2) compongono la parola "tov", che significa buono.
In Italia però continueremo a sentir parlare di eptakaideicafobia!
Author : Unknown
Petizione: Claudio Abbado senatore a vita!
"Ho proposto una petizione per sostenere la nomina di Claudio Abbado a Senatore a vita.
Sottoscrivetela anche voi: insieme potremo restituire alla Cultura un ruolo primario in questo Paese!"
Così si legge in un post su facebook di Ilaria Borletti Buitoni, il nostro sottosegretario MIBAC.
Io non voglio entrare nel merito della storia e del percorso di questo illustre direttore d'orchestra italiano: Claudio Abbado ancora dirige è fra i promotori del progetto per la costruzione di un Auditorium a Bologna costruito da Renzo Piano che sarà sede dell'Orchestra Mozart di Abbado e che il 4 Maggio scorso ha diretto gratuitamente il suo concerto a Firenze, al teatro comunale, nonostante la mancanza di fondi.
Ma quello che mi risulta veramente incredibile è percepire tutto questo solo come un modo per cercare consensi sul proprio operato a partire da queste personalità. Il sottosegretario, con i problemi attuali del settore culturale, è impegnato ad aprire petizioni come questa o a scrivere un post sul sostegno all'Unicef così asettico da avvicinarsi ad una comunicato stampa. Ma dov'è l'amore per il nostro patrimonio? I dirigenti del settore veramente non hanno due parole da spendere riguardo alla bellezza in agonia che ci osserva silenziosa quando camminiamo per i nostri centri storici, le nostre strade romane, i parchi naturali?
E vogliamo credere che con un senatore a vita ottantenne in più la Cultura verrà messa in primo piano?
Ma con quali occhi e con quale coraggio mostrare questo "attivismo" ai giovani?
Davanti a questo sono disarmata.
Un post che mostra come le nostre scommesse verranno rimandate a un fiorente domani!
Caro sottosegretario,
ti definisci un'imprenditrice del terzo settore.
Mostraci allora la tua lungimiranza. Noi giovani abbiamo bisogno di credere che una possibilità per noi e per le nostre passioni ci sia, e che siate voi a darcela.
Invece qui ci sentiamo soli e ignorati. Cerchiamo lavoro in un ambito che non è quello culturale perché a mala pena un italiano su due crede nella Cultura. I più forti, faticosamente, cercano una via per rincorrere sogni e conoscenza, considerati pazzi e visionari, o illusi, ma ancora convinti del proprio valore e dell'apporto che si potrebbe dare a questo meraviglioso quanto decadente paese.
Ma come siamo arrivati fino a questo punto?
Chi mai è rimasto indifferente alla bellezza, all'arte, alle città, ai paesaggi?
Eppure il coltello affonda doloroso quando i giovani che han studiato in ambito culturale si pentono delle scelte fatte.. rimpiangere di aver scelto la bellezza e la cultura in un paese come questo è un atto di disperazione.
Mi appello al silenzio per la cucitura delle ferite.
Author : Unknown
La legge della resistenza. Per l'Aquila, per l'Italia
"L'Aquila 05 maggio", qualche giorno dopo. Ho preferito non scrivere dal treno mentre lo scorrere delle carrozze e il loro scivolare lungo i binari mi accompagnavano nel turbinio di emozioni che mi riportava indietro. Ho deciso di ponderare con calma queste parole e capire bene cosa ha significato quel luogo e quell'incontro.
Tutto comincia con una mattinata di pioggia. Si parte verso l'Aquila con grande attesa per questa prima volta degli storici dell'arte. Sotto la fontana luminosa siamo in tanti: poco alla volta quegli ombrelli, piccole cupole variegate, diventano un enorme cappello e si parte tutti insieme con il ministro Massimo Bray, Salvatore Settis e Tomaso Montanari, tra gli organizzatori dell'evento.
Ricordo con nettezza due immagini della giornata che sintetizzano lo spirito che mi accompagna da quando sono tornata. La prima fa proprio riferimento alla passeggiata silenziosa. E' stato un attimo... mi sono voltata indietro ed ho visto una fiumana di gente affollare un vicolo del percorso. Ho pensato: "Siamo tanti" e mi sono sentita felice. Ho avvertito come un brivido lungo la schiena che mi faceva sentire straordinariamente forte.
La seconda appartiene a qualche momento dopo. Siamo in Piazza Duomo: mentre la folla si dirada a causa della pioggia che ritorna dopo una parentesi di pallido sole, resta al centro un cane, solo, grosso e triste. Sembra quasi non accorgersi della gente che gli gira intorno e se sta lì, come se fosse ormai un rito quotidiano, ad aspettare che un altro giorno tramonti sulla città.
Fanno riflettere queste due immagini e sono il simbolo di ciò che è stata la giornata e ciò che ha significato essere a l'Aquila. Gli storici dell'arte hanno compiuto un atto di forza e di coraggio. Senza la minima esitazione hanno espresso con vigore ciò che pensano della gestione della cultura nel nostro paese e di come la negligenza che l'accompagna si sia ripercossa sull'Aquila, martire di un modus che è diventato prassi. A questa città abbiamo rubato l'anima. A quel centro storico gli abbiamo tolto la vita. Quello che lo stato ha compiuto è un omicidio premeditato, studiato a tavolino a colpi di mendaci new town.
Eppure noi abbiamo cominciato da qui, dalle macerie, dal silenzio, dalla fissità che avvolge quelle case distrutte, dall'odore di storia che ancora trasuda da quei brandelli di navate ed absidi nude davanti alla crudeltà di un sistema corrotto, avvelenato, sanguinario.
La cultura, la storia, il patrimonio non si costruiscono nella teca di un museo, nelle piazze deserte, nelle chiese pericolanti e vuote, nell'ignoranza del passato e nell'indifferenza verso il futuro. La cultura, la storia e il patrimonio sono il passeggiare nelle piazze, il suono delle campane, il fruire dei palazzi storici, la frequentazione delle chiese, il tocco del marmo e della pietra, la conoscenza del passato e la lungimiranza per il futuro.
Parafrasando Settis, bisogna avere una vista bifronte che sia rivolta al passato in virtù del futuro. E chi può rispondere a quest'esigenza? Gli storici dell'arte, senza dubbio. E lo devono fare rinunciando ad essere al servizio di becere esigenze di mercato che non fanno altro che porre la cultura al pubblico ludibrio, facendola scivolare nel business del divertimento e dello svago senza alcun fondamento scientifico e tecnico. Solo partendo da queste considerazioni si può ricostruire l'Aquila affidandola come primo punto ai propri cittadini che la vollero bella e piena di cultura sin dalla fondazione. E solo riconoscendo alla cultura un ruolo fondamentale per la tutela e la salvaguardia della democrazia si può ricominciare al fine di uscire da questa lunga notte che accompagna i beni culturali ormai da anni.
Come il cane randagio che resiste alla solitudine del terremoto non abbandonando il proprio luogo, così io resisto nella mia strenua battaglia al riconoscimento della cultura. Resisto appellandomi a quella legge non scritta della resistenza che mi consente di resistere alle corruzioni del tempo e dello spazio, alle tentazioni della logica consumistica per cui non c'è bisogno di salvaguardare, tutelare e conservare. E dopo l'Aquila lo farò con più forza perché so che non sono sola.
Parafrasando Settis, bisogna avere una vista bifronte che sia rivolta al passato in virtù del futuro. E chi può rispondere a quest'esigenza? Gli storici dell'arte, senza dubbio. E lo devono fare rinunciando ad essere al servizio di becere esigenze di mercato che non fanno altro che porre la cultura al pubblico ludibrio, facendola scivolare nel business del divertimento e dello svago senza alcun fondamento scientifico e tecnico. Solo partendo da queste considerazioni si può ricostruire l'Aquila affidandola come primo punto ai propri cittadini che la vollero bella e piena di cultura sin dalla fondazione. E solo riconoscendo alla cultura un ruolo fondamentale per la tutela e la salvaguardia della democrazia si può ricominciare al fine di uscire da questa lunga notte che accompagna i beni culturali ormai da anni.
Come il cane randagio che resiste alla solitudine del terremoto non abbandonando il proprio luogo, così io resisto nella mia strenua battaglia al riconoscimento della cultura. Resisto appellandomi a quella legge non scritta della resistenza che mi consente di resistere alle corruzioni del tempo e dello spazio, alle tentazioni della logica consumistica per cui non c'è bisogno di salvaguardare, tutelare e conservare. E dopo l'Aquila lo farò con più forza perché so che non sono sola.
La speranza è che questa sia davvero solo la prima di una lunga serie di incontri per la salvaguardia del nostro passato e per la tutela del nostro futuro.
Grazie l'Aquila 05 maggio.
Grazie l'Aquila 05 maggio.
Author : Unknown
Vita lunga ai social media...
Vita lunga ai social media e alle professioni culturali che finalmente possono dire la propria!
Non sono contraria al volontariato culturale, anzi.. ma voglio essere libera di sceglierlo e non esser obbligata per l'aver studiato un settore mal gestito da chi non lo considera una risorsa, ma un ripiego per chi non ha trovato posizione migliore!
Questo l'articolo in cui si sottolinea come in pochissimo tempo sono state sollevate centinaia di lamentele per la ricerca di volontari, da parte del MiBAC, per la notte dei musei prevista il 18 maggio.
Beh, poter esprimere la propria disapprovazione non significa avere il potere di cambiare qualcosa, ma quando sul nostro fronte ci sarà l'unione, allora sì, la community avrà una massa critica importante.
E da qui la mia mente viaggia in mille direzioni...
Perché, ancora una volta, non usare le professionalità del settore?
Perché chiedere a dei giovani di laurearsi e specializzarsi nella conoscenza del nostro patrimonio per usarli come volontari?
Perché non coinvolgere anche e sopratutto loro dandogli un riconoscimento?
E perché non fare lo sforzo anche solo di donare un qualcosa di simbolico perché questi giovani, che già devono dirottare il proprio percorso lavorativo da ciò per cui hanno studiato, non sentano di aver buttato via delle energie in una laurea?
Perché gran parte delle iniziative del settore Cultura devono campare sull'attività del volontariato?
Quando crederemo nel valore della NOSTRA eredità?
Author : Unknown
Direzione l'Aquila... (RI)cominciamo dalla cultura
L'Aquila 05 Maggio. "Bello come titolo" pensai la prima volta che lo lessi. Segnai in agenda con scetticismo, ma conservai un briciolo di innata speranza che contraddistingue chi lavora sfogliando pagine ricche di storie, espressioni della natura e schizzi d'umanità. Di chi parlo?
Degli storici dell'arte. Siamo una categoria poco nota... di quelli che ci mettono davanti ad un dipinto e noi ne disquisiamo per ore, di quelli che frequentiamo una facoltà facile, di quelli che sono fuori dal percorso lavorativo perché con la cultura non si mangia e di quelli che sono lontani, lontanissimi da chi con giacca e cravatta aggiunge tre/quattro lettere al suo titolo di dottore.
E menomale direi perché alla fine noi siamo quelli che "non essere nella categoria è quello che ci piace". Noi non ci esaltiamo di un titolo o di un riconoscimento... noi i titoli li diamo, i riconoscimenti e le attribuzioni preferiamo farli noi e dietro tutto ciò, cari amici, c'è un mondo governato da un unico e imprescindibile desiderio: la conoscenza. Osservare, commentare, valutare, studiare e alla fine elaborare sono solo alcuni dei nostri verbi che compongono una formula unica, un'equazione frutto di una logica tutta nostra, non dettata.
Siamo creatori visionari e progettiamo meccanismi strani facendo puzzle tra eventi, iconografie e personaggi.
Per una volta, però, domani saremo tutti insieme. E osserveremo. E commenteremo. E valuteremo. E studieremo. E, poi, alla fine elaboreremo. Cosa elaboreranno tanti storici dell'arte? Cosa ci aspettiamo? Ognuno lì con la sua formula, con la propria equazione pronto a cambiare il mondo, o meglio per la prima volta a condividerlo. Non lo faremo, però, in lussuosi e patinati hotel; nè in splendide cornici da palazzi
reali; ma a l'Aquila tra le macerie, in una città di cui vogliamo tirare fuori l'anima che è lì fremente in attesa di essere rinvigorita.Ci piacciono le sfide impossibili, i percorsi non standardizzati. Partiamo perdenti, ma abbiamo un messaggio: cambiare si può, con la cultura.
Ci saranno i big, come Salvatore Settis, la mia grande compagna di viaggio con la quale condivido e perfeziono la mia formula, le nuove sognatrici a me tanto care e, infine, ci sarò io, con il mio fagotto, salita su un regionale stracolmo, cambiando su un intercity in tariffa rigorosamente supereconomy ed una valigia, sempre quella, piena di sogni e la solita intramontabile speranza.

Author : Unknown
Invasioni Digitali a Ravenna: TAMO, sei stata invasa!
Amanti dei social media di ogni tipo.. continuano le Invasioni Digitali!
Nate dalla proposta di Fabrizio Todisco, in tutta Italia, dal 20 al 28 Aprile, stanno avendo luogo oltre 250 incursioni per valorizzare il patrimonio laddove le nostre ieratiche istituzioni e la lungimiranza di molti direttori museali non arrivano.
Incursori armati di profili social potranno catturare immagini e suoni e diffonderli sul Web!
Attivisti dei social, instagramers, blogger... Parola d'ordine: #invasionidigitali!
20 Aprile: ecco la mia invasione a #Ravenna!
Ore 15.30: gli invasori, armi alla mano, sono pronti al check-in!
Tamo, siamo pronti all'attacco!
Ci accoglie Paolo, che ci farà da guida in "Tutta l'Avventura del MOsaico" e che ci catturerà con tecnica e aneddoti!
Riscopriamo le forme del mosaico, la raffinatezza dei giochi di luce, come questi ci restituiscano cromie differenti, ma ci ricordiamo anche che questi tappeti di tessera nascondono messaggi "dimenticati"...

Eppure i più complessi motivi decorativi nascono da qui: piccoli cubetti di vetro colorato che prendono forma e vita sotto le mani dell'artista mosaicista..
Ore 17. Gli invasori dichiarano la loro missione compiuta!
Muovo gli ultimi passi tra questi antichi mosaici, scatto le ultime foto... tra resti e arrivederci condivido gli ultimi pezzi del mio puzzle.
Commenti?
Un'iniziativa bella, semplice, di grandissima risonanza in un paese che percepiamo totalmente paralizzato... non arrendiamoci a questo!
Diamo voce alle persone comuni, la Cultura la facciamo noi!

Seguite le invasioni su: www.invasionidigitali.it e sui social network con l'ashtag #invasionidigitali
Vi rimando anche a due articoli che credo rendano l'idea dello spirito delle Invasioni Digitali!
Lettera aperta ad un direttore di museo di Jim Richardson
#invasionidigitali: cartoline di primavera dall'Italia di Alessandra Farabegoli
Author : Unknown
Eredita una fortuna, ma la butta via
Se ereditassi una fortuna, la butteresti via?
Se avessi un Raffaello, lo regaleresti?
Se ti portassero via il Colosseo, saresti contento?
A gran voce molti direbbero di no, eppure un italiano su due non riconosce il valore del suo patrimonio e lo cataloga come rudere o preferirebbe portarlo via perché del resto, lo sanno tutti, con la cultura non si mangia. E allora perché preoccuparci di preservarla?
Rileggiamo drammaticamente alcuni passi del rapporto 2012 preparato per conto della Commissione Europea dalla Eenc, la Rete europea degli esperti sulla cultura, che dimostra quanto l'Italia se ne freghi di investire su un ambito riconosciuto cruciale volano di sviluppo in tutta Europa.
E a quasi un anno da questo rapporto, nel clima di insicurezza politica in cui viviamo, nessuno parla di piani di sviluppo strutturali per l'economia e per il nostro patrimonio.
Stiamo perdendo la nostra identità?
L'Europa ci chiede di custodire quell'identità che ci rende riconoscibili in tutto il mondo perché noi siamo gli eredi delle civiltà che hanno reso grande l'Europa per secoli.
Il rapporto è stato commissionato da Bruxelles per la programmazione UE 2014-20, la quale si fonda su una ferma convinzione: la cultura è una priorità perché vale tanto, anche in termini economici.
La cultura e le attività creative "costituiscono ormai il 3,3% del pil Ue (contro il 2,6% del 2006) e il 3% dell’occupazione. Un potenziale particolarmente elevato per l’Italia, che si vanta di ospitare il 70% dei beni artistici mondiali". Si legge nel rapporto: "se vi fosse un serio tentativo di dare alla cultura la giusta priorità nell’agenda politica del paese, vi potrebbe essere una seria possibilità che i settori culturali e creativi diano un importante contributo nel ridisegnare la tanto agognata formula per una nuova crescita per l’Italia". E invece che si fa?
L'ITALIA CONTINUA A TAGLIARE (-35% tra il 2008 il 2011, per arrivare allo 0,2% del pil)!
Il danno non solo materiale, ma anche di immagine, può essere devastante. Come conseguenza, tale identità potrebbe morire se non si farà qualcosa per impedirlo.
Ad essere guasto è il sistema: dalla politica alle persone. E chi ne paga le conseguenze sono i giovani: sfiduciati, demotivati, fuorviati anche nella scelta del proprio percorso formativo. Le università culturali chiudono e chi si specializza nel settore culturale è costretto ad andare all'estero, dove la professione "culturale" è ricercata e appartiene ad un business redditizio.
Nella nostra quotidianità associare il termine business alla cultura è visto come una speculazione e non come una risorsa. Siamo ancorati a sistemi educativi che ci mostrano l'arte e la cultura come ozium, e passatempo gratuito; eppure in passato i grandi artisti e gli uomini di cultura erano pagati e posti ai vertici della scala sociale.
Forse è ora che cominciamo a guardare i nostri riconoscimenti da esterni, mettendo da parte lamentele e pregiudizi e dandoci una possibilità cogliendo il monito che l'Europa da troppo ci lancia. E' una sfida. La cogliamo?
Il tempo sta scadendo: ci lasceremo sfuggire anche quest' occasione?
Author : Unknown
Tag :
crescita,
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patrimonio,
patrimonio artistico,
politica,
politiche culturali,
rapporto,
UE,
sm-Art People's first birthday on Facebook!
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Artists, creatives, keen in Culture.. sm-Artians!
Play with your creativity and send us your sm-Art People's cover!!
Subject: "Culture is... "
Send us your pictures at smartpeoplemail@gmail.com !
Don't forget your sign, name and whatever you'd like to add to the picture!
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A lot of creativity to everybody!
Author : Unknown
Un anno con sm-Art People!
Nel mese di Aprile 2013 la nostra pagina Facebook compie un anno!
Volete farci gli auguri con la vostra creatività?
Artisti e creativi, o anche solo amanti della Cultura, insomma sm-Artiani..
mettetevi in gioco creando la nostra copertina sm-Art People!
Tema: "Per me Cultura è... "
Inviateci le vostre immagini alla mail smartpeoplemail@gmail.com !
Non dimenticate di inserire la vostra "firma", di specificare il vostro nome o il vostro nome d'arte, e qualunque definizione o descrizione volete accompagni l'immagine!
Tanta creatività a tutti!
Author : Unknown
Potere della rete, potere della cultura
Comincia dalla tecnologia la rivoluzione della cultura!
Finora solo parole, false speranze e miti retorici.
Italia paese di poeti, navigatori e santi... e penisola della cultura. E poi i poeti li dimentichiamo, i navigatori li abbiamo fatti naufragare e i santi, beh quelli li ricordiamo nelle ricorrenze di paese.
E la cultura? Che posto diamo alla cultura? Che ruolo gli conferiamo? Che valore?
Domande a cui tutti sappiamo rispondere con frasi fatte, del tipo: "La cultura è il petrolio della nostra nazione", "La miniera sotto i nostri piedi", "La risorsa per uscire dalla crisi"; però poi tutto resta fermo e nessuna proposta e/o novità proviene nè dall'alto degli uffici dirigenziali nè dal basso di chi tutti i giorni voltando lo sguardo ammira un Bernini, una cattedrale di sapienti maestri medievali, una scultura del Giambologna etc.. in un vorticoso pout pouri di passato, presente e futuro.
Stavolta, però, un "basso", Fabrizio Todisco, lancia una sfida ed ecco... le INVASIONI DIGITALI (http://www.invasionidigitali.it/index.php)
Di cosa si tratta? Semplice: scegli un luogo della tua città, scrivi agli organizzatori, sviluppi un programma, fai la copertina e via.. condividere, sponsorizzare e perchè no... spammare!
E tutto questo accade nella rete e nella rete ecco subito i partner, i sostenitori, i seguaci, i partecipanti.
Sono centinaia gli appuntamenti in tutta Italia. Tutti coinvolti in questa invasione perchè la cultura è di tutti e ognuno potrà collaborare con foto, articoli, pensieri. Sarà un po' come vedere Tùkè per noi. Un Tùkè dagli smartphone! Le smartpeople saranno a Ravenna e daranno il loro contributo perché esserci è fondamentale. Invaderemo il Complesso di S. Nicolò, appuntamento ore 15:00 p.zza del Popolo.
Per noi è un inizio: la cultura si muove ed è rapida, forte e digitale!
Potere della rete? Potere della cultura?
Ai post l'ardua sentenza! :)
Author : Unknown
Decreto Valore Cultura: abbiamo la Cultura, le diamo Valore?
Ieri sera i primi articoli sull'approvazione del Decreto Valore Cultura, le cui disposizioni trovate qui.
Non appena è arrivata la comunicazione dell'approvazione, abbiamo in molti pensato che possa cambiare qualcosa in questo settore incompreso, come un genius loci dimenticato, come un pittore maledetto che non trova mecenate illuminato, come una di quelle opere che abbiamo in cantina e di cui ci ricordiamo quando a qualcuno viene in mente che potremmo cederla per un pò di soldi e per la quale si risveglia la nostra possessione.
E abbiamo pensato anche che il nome del decreto, che mette insieme le parole Valore e Cultura, con quelle lettere iniziali maiuscole, fosse l'inizio di un cambiamento.
Pubblico la notizia sui social network, e mi riservo di lasciare il tutto sedimentare per una notte, perché a leggere alcuni punti, un pò di senso di impotenza riaffiora, quella sensazione che attanaglia la nostra sfera emotiva e che non ci permette neanche di tirare fuori la rabbia, è lì, perché (mi permetto di usare il noi) noi, giovani che diventano adulti nella statica cecità della governance italiana, nella Cultura ci credevamo, e in molti ci crediamo ancora, abbiamo studiato, ci siamo specializzati, perdiamo ancora il nostro tempo libero dietro questa chimera, e non vogliamo arrenderci a credere che la Cultura italiana debba essere destinata a spegnersi, come ferita a morte, sul ciglio della strada della noncuranza.
Voglio analizzare stamattina i principali punti del decreto, suddivisi per Grandi Progetti, Valore Cinema Spettacolo e Valore Risorse.
Valore Grandi Progetti. Vi sono Disposizioni per la tutela, il restauro e la valorizzazione del patrimonio culturale italiano. La prima urgenza è Pompei, quel sito archeologico che negli ultimi anni è stato scenario di figure miserrime per la nostra nazione, quel sito il cui simbolo non sono più le bellezze ma i crolli continui, quel sito che ha ricevuto milioni di fondi pubblici ed europei svaniti nel nulla, è ora al centro di nuovi ingenti finanziamenti. Io mi sento indignata e pretendo che su questi investimenti ci sia trasparenza, e se gli obiettivi non verranno raggiunti con la qualità del lavoro, che qualcuno ne paghi le conseguenze, perché significa lavoro di scarsa qualità.
Sono stati decretate le idee vincitrici delle "99 Ideas - Pompei". Quando sono andata a leggere di cosa si trattasse mi sono trovata davanti progetti, spesso fumosi, che si traducevano in organizzazione del sito e promozione di eventi e programmi di vario tipo. Mi chiedo come sia possibile che in uno scenario del genere tutto questo non fosse già proposto da chi si occupava di gestire il sito, non fosse ordinaria amministrazione. Mi sono sentita ferita nel leggere in questa iniziativa delle proposte che sono alla base di una buona gestione guidata dal buon senso e dal senso pratico. Perché permettiamo che la maggioranza dei nostri siti arranchi in questo modo? Perché ci lamentiamo dei pochi visitatori senza creare attrattiva intorno ai nostri beni? Chi dovrebbe guidare i curiosi se non una scintilla innescata da chi il patrimonio lo gestisce?
Sarà istituita a Pompei la figura del Direttore generale che dovrà occuparsi della gestione del sito, e vi scrivo la mia profezia: dovrà avere competenze economiche e manageriali, quindi, chiunque speri che quel posto possa essere lasciato ad una persona con competenze in primis culturali o archeologiche, ed in secundis economiche, lasci le sue speranze.
Confido nel fatto che prima o poi i dirigenti del Ministero vengano informati del fatto che ci sono professionisti culturali che studiano management.
Riponiamo le speranze nei suoi collaboratori, un massimo di 20 persone provenienti dall'amministrazione statale, e 5 esperti in materia giuridica, economica, architettonica, urbanistica ed infrastrutturale.
Gli assunti nelle nostre PA hanno una media di 50 anni, quindi lascio a voi immaginare quanto mi aspetti da queste persone, a cui non voglio togliere niente, ma a cui non si possono chiedere le energie di giovani che hanno studiato con il sogno di lavorare in un parco archeologico di importanza nazionale, con un futuro incerto e gran desiderio di trovare un lavoro per ciò che han studiato.
Ma possiamo contare sugli esperti! Dal come scorrono le competenze è chiaro che quelle relative alla materia stretta del sito vengano dopo a quelle giuridiche ed economiche. Ricordiamo inoltre che il sito sta cadendo a pezzi.. dove sono i diagnosti, i restauratori, i conservatori e gli archeologi?
Chi ha le competenze tra queste figure per salvaguardare e monitorare questo ambiente così vasto ed eterogeneo per materiali presenti?
Vado oltre pensando sia incredibile l'istituzione di una nuova Soprintendenza: quelle esistenti spesso non funzionano, e piuttosto che dare uno scossone a queste realtà, ne creiamo una nuova con gli stessi identici meccanismi perché si occupi di Pompei, Ercolano e Stabia, come se queste realtà non potessero essere gestite come macro poli museali. Di cosa si occuperà questa Soprintendenza? Chi saranno i suoi dipendenti?
Troviamo sbandierato poi l'inserimento dei giovani.. con un tirocinio di 12 mesi!
Ci prendete in giro, vero? Diteci che i tirocini sono volti all'assunzione, perché io vorrei vedermi finalmente scritto su un decreto che voi i giovani li volete stabilizzare, non dargli il contentino di un anno per poi ributtarli in mezzo alla strada. Senza considerare che con il lavoro di costruzione di un sistema museale all'avanguardia, è necessaria una programmazione ed un lavoro continuativo che non può essere fatto dai tecnici nominati precedentemente, né da un via vai di tirocinanti che non hanno alle spalle una struttura organizzativa solida e funzionante. Stiamo davvero investendo al meglio le risorse?
Io non sono contraria al tirocinio, ma è un'occasione di formazione che non deve sostituirsi al lavoro di un'equipe specializzata, ma darle valore aggiunto. Fondare un lavoro di salvataggio su tirocini rischia di andare a finire in un volontariato culturale "elevato" a un gradino superiore, che fa quel che può per tenere a galla una barca alla deriva.
E poi leggo finalmente qualcosa che mi piace: gli introiti derivanti dai biglietti e dal merchandising dei beni culturali, non verranno regalati allo stato in una onestissima percentuale del 75%, ma verranno riassegnati interamente dal MiBAC, con la speranza di una programmazione di ricrescita nazionale, con attenzione anche alle piccole realtà che mai ricevono un soldo.
Alcuni spazi statali e demaniali saranno affidati ad artisti under 35 sulla base di concordi pubblici. Ora, io non voglio rovinare la piazza agli artisti, ma non potrebbe succedere che anche non-artisti abbiamo qualcosa da proporre? E perché solo under 35?
Apriamo poi una campagna straordinaria di inventariazione e digitalizzazione! Qui non si tratta di lanciare campagne psichedeliche, ma di renderle attualizzabili con fondi o con del personale che abbia le competenze per digitalizzare al meglio. E qui taccio.
Riforma delle fondazioni lirico-sinfoniche: ma dove abbiamo trovato 75 milioni di euro?!
Cambia le governance: istituito il pareggio di bilancio e per evitare sprechi e finanziamenti a pioggia, i fondi saranno distribuiti in base alle attività svolte e rendicontate.
E infine, finalmente, un privato può decidere di destinare il proprio denaro alla Cultura con agevolazioni fiscali: fino a cinquemila euro le donazioni non avranno oneri amministrativi a carico del privato che può decidere dove destinarli.
"Eppur si muove" disse Galileo osservando il cielo, ed io, nonostante un pò di amaro, metterò a mente che un minimo passo è forse meglio di non farne affatto.
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