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Missioni smartiane: Progetto GITA: ultimo atto
Tutto pronto per l'evento conclusivo del Progetto GITA!
Oggi saremo a Rimini a presentare come team sm-Art People il progetto Tùkè.
Presenteremo con uno storytelling la nostra storia, le nostre aspettative, i nostri sogni nel cassetto.
Il percorso GITA è giunto dopo qualche anno di maturazione del team e della nostra visione della Cultura, a seguito di diverse esperienze:
- il Business Game University, un progetto per la promozione della cultura d'impresa dedicato alle scuole superiori, sperimentato per la prima volta con noi nella facoltà di Beni Culturali dell'Alma Mater Studiorum, a Ravenna
- Spinner ICC Imprese Creative e Culturali, un percorso formativo in cui ci siamo messe alla prova per l'elaborazione del Business Model
- tanti interlocutori, tanti convegni, conferenze, presentazioni, per poi giungere alla selezione GITA!
GITA concretizza il lavoro di questi ultimi anni: siamo finalmente consapevoli delle nostre potenzialità, di ciò che sappiamo fare, di ciò che possiamo offrire.
Abbiamo messo a punto un piano economico sostenibile, abbiamo un piano operativo con tempi stretti, tante belle idee, tante belle emozioni che vogliamo raccontarvi oggi da Rimini attraverso i post della nostra pagina!
Video di presentazione Tùkè su YouTube
Ancora una cosa manca nel nostro bagaglio: il sito in fase di costruzione che speriamo di avere online entro una settimana.. che dire? Tutto tutto non siamo riuscite a completare, ma ci sentiamo sulla buona strada!
A presto smartiani!
Seguite le nostre avventure...
Author : Unknown
Artisti smartiani:Stand #withSyria
“The greatest crimes in the world
but by people following the rules.
It's people who follow orders that drop bombs and massacre villages”
Un borderliner del
suo tempo, che con azioni intrise della sua arte si riprende il suo “ruolo” di
artista, il coraggio di prendere una posizione forte, il coraggio di
denunciare.
Qualche mese fa Bansky ha dichiarato guerrilla a New York, ora collabora con il dj britannico Idris Elba
per la realizzazione di un video per denunciare la situazione siriaca che va
ormai avanti da 3 anni.
Nel labirinto delle comunicazioni dove far sentire la propria
voce è sempre più difficile, in questo mondo che intimorisce le grida più
profonde, in un tempo in cui gli artisti perdono la loro direzione e troppo
spesso tacciono, nascosti dietro il velo liquido dei caratteri dei monitor,
bisognerebbe riprendersi il coraggio di
esporsi con la propria voce.
Lui lo fa.
Author : Unknown
Tag :
#withSyria,
arte,
Bansky,
citazione,
Idris Elba,
no alla guerra,
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Siria,
video,
withSyria,
Riflessioni smartiane: Strategia Paese, strategia Cultura
Stamattina "Una strategia per la Cultura. Una strategia per il Paese", la presentazione del rapporto Federculture 2013 alla Camera dei Deputati, ha confermato lo stentato incedere di questo nostro Paese, e più niente stupisce.
I dati salienti, così tristemente prevedibili, rimbalzano sul Web, dipingono un settore culturale allo stremo, ma ciò che continua a sconcertarmi è il perseverare nel non programmare a lungo termine.
Il nostro paese è davvero in allarme? O ci fingiamo allarmati?
Nel 2013:
- il 57% della popolazione non ha letto neanche un libro
- lo Stato investe in cultura appena lo 0,2% del PIL
- l’indice di partecipazione culturale nazionale scende all’8%, nelle retrovie rispetto alla media europea del 18%.
Percentuali quale ritratto del presente. Un quadro di stanchezza, che ad affacciarvisi si cambia spesso direzione…
Quale futuro?
Il mondo culturale è in fermento per la sua emancipazione, per il riconoscimento delle professioni culturali, ma i dati ne ritraggono la prigionia tra le sbarre di scarse strategie per tappare i buchi a breve termine, come una toppa su un pantalone vecchio, senza ripensamenti sul riutilizzo della bella stoffa a disposizione.
Il rapporto Federculture denuncia il taglio della spesa media delle famiglie per le attività culturali: da dove parte questo allontanamento dalla cultura? Sono i cittadini a non sentirne l’esigenza? Siamo noi del settore a voler tenere il “tesoro” per noi? È sempre lo stato a non fare abbastanza?
Numeri alla mano, alla cassa del MiBACT arriva lo 0,2% del PIL italiano, 1,5 miliardi di euro che diventeranno 1,4 nel triennio 2014-16, nonostante l'aggiunta al ministero della competenza sul turismo. I Comuni, per la congiuntura negativa attuale e per i vincoli del patto di stabilità sono costretti a tagliare i fondi sulle politiche culturali.
Il risultato è che nel decennio 2003-2013 altri 500 milioni di euro sono stati bloccati e ridestinati.
Per anni il sistema culturale ha cercato di organizzare e razionalizzare le proprie procedure, attività, fino a ritrovarsi assuefatto ai finanziamenti statali, incapace di aumentare la propria produttività e di innovarsi, vincolato alle proprie trame burocratiche e oziose. Eppure non sono contraria. Ritengo semplicemente che lo Stato italiano non possa più ignorare la produzione culturale e creativa poiché riesce a produrre un valore di 75,5 miliardi di euro (il 5,4% del PIL) e a dare lavoro a 1,4 miliardi di persone.
Ma come investire in Cultura se lo stato e un italiano su due ne sono completamente disinteressati?
Ma come investire in Cultura se lo stato e un italiano su due ne sono completamente disinteressati?
Quali prospettive stiamo costruendo in una realtà in cui all’interno delle scuole turistiche e di moda si tagliano gli insegnamenti di arte? Tagliamo laddove l’Europa ha individuato dei settori strategici. In Francia, dal 2008, l’insegnamento della storia dell’arte è obbligatorio, a partire dalla scuola primaria, in tutti gli indirizzi scolastici.
E come sopperire al gap digitale? (Solo il 3% dei musei ha applicazioni smartphone e tablet, solo il 6% ha audioguide e/o dispositivi digitali per le visite, solo il 13% ha un catalogo accessibile).
Io non ho tutte le risposte a questa matassa di domande, ma vorrei una possibilità per contribuire al cambiamento.
Senza cultura questo paese non può crescere. Laura Boldrini, presidente della Camera, sottolinea come «in tempi di crisi, spendere per cultura non è uno spreco»… ma deve trovare obiettivi a lungo termine, senso pratico, buon senso.
“Il costo della incultura per una società è maggiore del costo della cultura” scriveva Garcia Lorca, come il costo di ricostruzione è maggiore di quello di manutenzione, ma noi viviamo in bilico tra il giorno della disfatta e quello del salvataggio miracoloso: salveremo veliero ed equipaggio?
Author : Unknown
Tag :
2013,
Cultura,
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strategia cultura,
Luoghi smartiani:Tasselli di storia: la Cappella di Nostra Signora di Bonaria in Quartu Sant'Elena
![]() |
Basilica di Sant'Elena Imperatrice e Cappella di N.S. di Bonaria, Quartu Sant'Elena |
Piazzale della Basilica di Sant'Elena Imperatrice. Su questa terra il sole, anche ai primi di gennaio, stempera la pelle e ha insinuato il tepore in tutte quelle persone che, dopo la celebrazione della festività dell'Epifania, si sono fermate a salutarsi, a dare senso a quella piazza che, pur centrale, ha perso la sua funzione comunitaria e sembra ogni tanto riprendersela.
Questa mattina, su quel piazzale, mi sono fatta attrarre da un portone che per anni ho visto chiuso, che nella mia infanzia era chiuso. Così oggi a quella porta aperta non ho potuto resistere.
Tornata per le feste nella mia terra natia, a Quartu Sant'Elena, cittadina in provincia di Cagliari, mi soffermo ad osservare la facciata di questo spazio architettonico, tendente, nella sua semplicità, al barocco spagnolo sull'isola. Mi domando se potesse essere questo il primo impianto dell'adiacente Basilica di Sant'Elena, cresce la curiosità, mi avvicino, osservo il pavimento, ed entro.
Avanzo fino ad arrivare a curiosare nella seconda cappella laterale sulla sinistra: due statue policrome sopra un mobilio in legno dipinto sulle tonalità del verde. Osservo le decorazioni della tunica, cerco di fissarle nella mia mente per creare dei collegamenti ad altre opere locali.
Incuriosita, mi faccio raccontare di più da un confratello.
![]() |
Buona Morte e Buona Sorte, fine XVII secolo |
Si tratta di due statuine gemelle, di matrice spagnola e risalenti alla fine del XVII secolo. Rappresentano la Buona Morte e la Buona Sorte, un culto affermatosi a Saragozza nel 1681 dopo la peste. Le due Madonnine con bambino in braccio sono speculari, ma nella prima il Bambino ha tra le mani un teschio, nella seconda, mancante di un braccio, non si osservano segni particolari.
Un riferimento al dolore per chi ha perso qualcuno, per chi lotta nella sofferenza, per chi prega di non ammalarsi, per chi forse supplica, infettato, di morire o di salvarsi rimettendosi alla volontà della Sorte, perché quale uomo non ha paura all'incombere dell'ignota morte?
![]() |
Statua policroma di N.S. di Bonaria, Quartu Sant'Elena |
La struttura in legno che ospita la statua non rispecchia oggi le sue dimensioni e forme originali poiché questa non era la sua collocazione, e la sua altezza supera quella della cappella. Le parti restanti sono state conservate, ed ora una parte della storia delle tradizioni religiose della cittadina è ancora accessibile, tutti i sabati e tutte le domeniche.
All'interno della cappella di Nostra Signora di Bonaria vi erano inoltre un forziere del '600, ligneo e rivestito di metallo, un Cristo in croce portato in processione, della stessa epoca, la cui croce è stata sostituita, un antico stendardo della confraternita, due troni lignei che fino a qualche decennio fa si trovavano in Basilica, una croce moderna con i simboli del martirio, forse ripresa dalle piccole croci con gli stessi simboli appesi in alcune strade della città e che vorrei andare ad osservare, e la croce de "su scravamentu", una tradizione antica, in uso fino a meno di un secolo fa in Quartu, rivisitazione della deposizione di Cristo.
Quanto è affascinante farsi raccontare ciò che è ormai dimenticato, nell'oblio di ciò che troppo spesso è considerato solo un fardello legato a pesanti tradizioni religiose snobbate e surclassate da nuove correnti di pensiero, da nuovi stili di vita, ma come dimenticare che questa è la nostra storia? Lo è anche quando in essa non ci riconosciamo più e ce autodiserediamo.
Incalzo sul confratello: "Ma questo può essere un primo impianto della Basilica di Sant'Elena Imperatrice?"
Il piccolo edificio, noto come Ex oratorio delle anime, è stato costruito tra il 1754 ed il 1755: ad aula unica con volta a botte, presentava un transetto, due cappelle sulla destra ed una sulla sinistra. All'esterno, i muri perimetrali sono sovrastati da una cornice dentellata. In facciata, sopra il portone si apre una finestrella ottagonale, si conclude con una cornice modanata, e centralmente un semplice campanile a vela.
Il piccolo edificio, noto come Ex oratorio delle anime, è stato costruito tra il 1754 ed il 1755: ad aula unica con volta a botte, presentava un transetto, due cappelle sulla destra ed una sulla sinistra. All'esterno, i muri perimetrali sono sovrastati da una cornice dentellata. In facciata, sopra il portone si apre una finestrella ottagonale, si conclude con una cornice modanata, e centralmente un semplice campanile a vela.
Nel 1818-25 la seconda cappella a destra ed il braccio del transetto furono demoliti nella ricostruzione dell'attuale Basilica a favore di una nuova cappella.
La consacrazione della cappella avvenne nel 1761 per decreto vescovile: si trattava della cappella cimiteriale, ma perse la sua funzione quando fu inaugurato l'attuale cimitero della città, intorno alla chiesa di San Pietro in Monte nella seconda metà del XIX secolo. Qualche anno dopo la cappella fu affidata alla confraternita di Nostra Signora di Bonaria che, rinata, se ne occupa tuttora.
Il mio dubbio è stato fugato, la Basilica, come avveniva in passato ed avviene tuttora, è costruita su fondamenta antiche, ma questa cappella pare nata con altre funzioni.
Così la storia e l'arte isolana sono giunte a me inaspettate, come un bel regalo di fine festività, come un tassello di memoria da tramandare, come un prezioso libricino di racconti, come un filo da snodare nel viaggio in questa isola che troppo spesso non si vede abbastanza.
Il mio dubbio è stato fugato, la Basilica, come avveniva in passato ed avviene tuttora, è costruita su fondamenta antiche, ma questa cappella pare nata con altre funzioni.
Così la storia e l'arte isolana sono giunte a me inaspettate, come un bel regalo di fine festività, come un tassello di memoria da tramandare, come un prezioso libricino di racconti, come un filo da snodare nel viaggio in questa isola che troppo spesso non si vede abbastanza.
Author : Unknown
Missioni smartiane: Regali a Palazzo: cronaca di un'avventura smartiana
Quando insegui un sogno, il segreto per non soccombere alla fatica, alle negatività e alla rassegnazione è chiudere gli occhi e lasciarsi andare. Facile, direste voi, eppure è così difficile abbassare le palpebre e sognare quando nella vita sembra che ti manchino appigli e soprattutto che la tua serenità sia continuamente minata dal demone interiore della ricerca di se stessi.

Parto: 60minuti e avrei rivisto Bologna. Che effetto mi avrebbe fatto? Una città che ho amato dal primo momento, uno scrigno di cultura che ti accoglie tra le sue braccia dandoti quello che ha di più prezioso: la sua storia.
Arrivo: Bologna è già in stazione. Luogo di storia d'Italia, snodo ferroviario, cuore pulsante della città.
Esco dalla stazione: autobus, taxi, semaforo. La triade che ti accoglie e che ti dice: "Bentornata".
All'improvviso so che sono lì per un motivo: a Bologna tutti vengono per un motivo. Studio, sport, economia, cultura, musica. Io ero lì per inseguire il mio sogno e lo avrei fatto dalle stanze di Palazzo Re Enzo, tra il Nettuno e la chiesa di san Petronio, nella celeberrima piazza maggiore, fissata nell'eterno di una canzone "Piazza Grande" che risuona nella mia testa ogni volta che la varco.
Guidata dai portici di via Indipendenza (nome più evocativo non poteva esserci per il corso principale della città) mi dirigo alla sede dell'esposizione. Uno sguardo alle torri, un saluto alla Piazza e si entra in scena.
Guidata dai portici di via Indipendenza (nome più evocativo non poteva esserci per il corso principale della città) mi dirigo alla sede dell'esposizione. Uno sguardo alle torri, un saluto alla Piazza e si entra in scena.
Un tavolo, due sedie, un pannello bianco pronti ad aspettarmi nel luogo assegnatomi.
Come rendere Tùkè, un cultural social network, tangibile? Di che materia sono fatti i "web dream"? Queste le domande di fronte a quello spazio vuoto. Mano in borsa: pc, pennarelli, post-it, fogli A4 bianchi. E io, smartiana DOC, con tutta la mia buona volontà. Ne viene fuori un collage colorato, semplice e in fieri come un'opera di Boccioni.
Arrivano le autorità. Giacche, cravatte, tailleur e tubini sfilano davanti ai miei occhi. Dietro di loro telecamere e fotocamere pronte a riprendere e a scattare. Mi alzo in piedi, davanti a me un signore con lo sguardo curioso. Non ho idea di chi sia, scoprirò poi che si tratta del presidente regionale di CNA. Spiego il mio progetto, distinguendo bene cosa intendo per cultura e giustificando la mia presenza dato che il campo d'azione include anche l'artigianato artistico. Rincaro la dose sottolineando che questo è il primo strumento che si occupa specificatamente della cultura e che è davvero singolare che in uno stato che fa dell'artigianato e della cultura il proprio "core business" non ci sia neanche un'associazione di categoria per le professioni legate alla cultura, né un settore in CNA per le professioni web e la creatività digitale.
Silenzio di tomba. Risposta: "Non molli questo progetto, la passione che leggo nei suoi occhi la porterà lontano". Eccolo! E' il momento in di abbassare le palpebre e sognare. Per un attimo lo faccio e lo sento vivo il mio sogno, ne avverto la prepotenza nel mio animo. Una stretta di mano e si torna alla realtà.
Silenzio di tomba. Risposta: "Non molli questo progetto, la passione che leggo nei suoi occhi la porterà lontano". Eccolo! E' il momento in di abbassare le palpebre e sognare. Per un attimo lo faccio e lo sento vivo il mio sogno, ne avverto la prepotenza nel mio animo. Una stretta di mano e si torna alla realtà.
Intorno a me vestiti cuciti da mani esperte, bomboniere realizzate con fantasia ed eleganza, fragranze mescolate ricordando gli odori dei viaggi e armi di altri tempi restaurate e riprodotte artigianalmente.
Primo passo: cos'è Tùkè in tutta questa materialità? E' l'unione, lo strumento che può dare valore a queste attività immettendole nel Web! Ed ecco che mi ritrovo a presentami come promotrice della loro attività. Prima di tutto collaborazione.
Secondo passo: come posso allora farmi conoscere e dare io valore a quello che faccio, considerati gli sguardi alienati che provengono dagli "umarell" (non me ne vogliano i bolognesi per il dialetto magari scritto sbagliato), ossia i vecchietti, che transitano davanti al banchetto? Basta dire "strumento di valorizzazione sul Web" e subito salta su un bolognese doc che dice "e lo leggevo sul Carlino due giorni fa che il futuro è il Web. Sei il futuro, dunque, signorina?".
Bella domanda. Non so se sono il futuro perché il futuro è qualcosa che in questo momento non mi è permesso minimamente di valutare né di mettere in conto. Viviamo in un continuo presente fatto di scelte, sbagliate, controcorrente o forzate. Questi i pensieri che attraversano la mia mente in quel momento.
Al vecchietto però rispondo così. "Spero di essere il futuro, un futuro accessibile a tutti gli amanti della cultura".
Risposta: "In bocca al lupo".
E crepi sto lupo, crepi finalmente! :)
Author : Unknown
Curiosità smartiane: Natale in casa sm-Art People: rilfessioni e scoperte
Partono le ricerche...
In questa data si celebra nella tradizione religiosa cristiana il dogma dell'Immacolata Concezione, uno dei dogmi più dibattuti della storia delle religioni e riconosciuto dal cristianesimo solo nell'Ottocento.
Eppure San Francesco d'Assisi aveva dedicato al tema una parte della Preghiera a Maria, composta intorno al 1223.
"tu in cui fu ed è
ogni pienezza di grazia e ogni bene"
Vogliamo brevemente soffermarci sui fraintendimenti legati a questo "mistero": la bolla papale del 1854 Ineffabilis Deus di Pio IX sancisce come la persona di Maria sia esente dal peccato originale che ogni uomo, nella concezione cristiana, ha in sé dalla nascita.
Maria è stata scelta come corpo immacolato, la theotokos, letteralmente dal greco "colei che genera Dio", inteso come grembo scelto per il concepimento di Gesù.
Era lei l'essere speciale, la piena di grazia, un'alta elevazione del corpo della donna.
Tale dogma è stato per decenni confuso con il concepimento verginale di Gesù da parte di Maria, che in realtà andrebbe a scontrarsi col primo comando che lo spirito di Dio da ad Adamo ed Eva: "Siate fecondi e moltiplicatevi" (Gen 1,22).

La provenienza è tedesca e risale al XVI secolo, mentre nella tradizione cristiana l'ufficializzazione dell'albero di Natale è avvenuta solo col pontificato di Giovanni Paolo II, il primo papa ad allestire l'albero di Natale in piazza S. Pietro, in Vaticano, nel 2007. Ci viene da pensare che la storia ci è passata sotto gli occhi... e noi probabilmente non ce ne siamo accorti!
Passando dal sacro al profano, quest'anno nelle nostre copertine natalizie ci ispiriamo ad un artista americano, Ed Ruote, che ha simpaticamente rivisitato quadri famosi aggiungendovi un intruso...
Le opere saranno esposte al Bahdeebahdu di Philadelphia, e noi le riportiamo al Web!

Author : Unknown
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Author : Unknown
Luoghi smartiani: l'Appia Antica a Roma. Regina viarum, regina del mio cuore
E con le stesse scarpe camminare
per diverse strade
o con diverse scarpe
su una strada sola
(F.De Gregori- Sempre e per sempre)
Comincio il mio post su Roma con una citazione sulle strade che definirei metaforica, poetica e magica, scritta per amore da un compositore che Roma ce l'ha nelle vene. E come non associare al cammino e all'amore il mio percorso sulla via Appia?
Una domenica d'autunno, col sole che solo Roma sa offrirti nella sua eternità, zaino in spalla, pc in borsa e via sulla metro verso una nuova scoperta. Ricordo ancora quando lessi dell'iniziativa "Appiaappiedi"(per info http://www.beniculturali.it/mibac/export/MiBAC/sitoMiBAC/Contenuti/MibacUnif/Eventi/visualizza_asset.html_2091929368.html) e pensai "Chissà se riuscirò ad andare?!". Alla fine, grazie a varie coincidenze, eccomi qui a contemplare le meraviglie di una via, definita per la sua importanza regina viarum, che ha unito popoli di ogni provenienza, ha favorito scambi commerciali e rotte di fuga per chi nei secoli aveva bisogno di viaggiare.
Si parte da villa dei Quintili, maestosa residenza costruita nel II secolo d.C dai consoli Sesto Quintilio Condiano e Sesto Quintilio Valerio Massimo. Davanti a me uno spettacolo che da solo vale il prezzo del biglietto (per info http://www.parcoappiaantica.it/it/index.asp ). Il monumento si trova su una leggera altura, all'altezza di un luogo simbolico per la storia di Roma; qui infatti vi erano i tumuli degli Orazi e dei Curiazi. Tutt'intorno, i monti Tiburtini e le stupende colline intorno a Roma che, nonostante la leggera foschia, sono lì a farti sognare le gite fuori porta di imperatori e consoli romani, nonché di importanti famiglie nobiliari del medioevo.
In quel momento, con un balzo temporale notevole, mi è venuto in mente Goethe e il suo "Viaggio in Italia". Si tratta di un libro che ho letto molti anni fa e ricordo le sue descrizioni di Roma e la sottolineatura di quel paesaggio brullo che da un lato gli faceva rabbia per la disattenzione nei confronti del patrimonio e dall'altro lo entusiasmava perché lo metteva a diretto contatto con la storia e con il tempo. Ed io mi sono sentita una moderna protagonista di un anacronistico gran tour, percorrendo la strada che unisce la mia vita alla mia passione. Sono nata, infatti, proprio in un paese che sorge a ridosso della via Appia che, costruita a partire dal 312 a.C., collega Roma a Capua e poi a Brindisi. Nei secoli è stata teatro e simbolo di numerosi eventi: lungo il suo percorso furono crocifissi i ribelli guidati da Spartaco, divenne il punto di imbarco di Federico II per la Terra Santa e per anni è stata la via dei Crociati.
Come poteva non incuriosire chi, come me, vive di cultura e di arte?
![]() |
Villa dei Quintili |
In quel momento, con un balzo temporale notevole, mi è venuto in mente Goethe e il suo "Viaggio in Italia". Si tratta di un libro che ho letto molti anni fa e ricordo le sue descrizioni di Roma e la sottolineatura di quel paesaggio brullo che da un lato gli faceva rabbia per la disattenzione nei confronti del patrimonio e dall'altro lo entusiasmava perché lo metteva a diretto contatto con la storia e con il tempo. Ed io mi sono sentita una moderna protagonista di un anacronistico gran tour, percorrendo la strada che unisce la mia vita alla mia passione. Sono nata, infatti, proprio in un paese che sorge a ridosso della via Appia che, costruita a partire dal 312 a.C., collega Roma a Capua e poi a Brindisi. Nei secoli è stata teatro e simbolo di numerosi eventi: lungo il suo percorso furono crocifissi i ribelli guidati da Spartaco, divenne il punto di imbarco di Federico II per la Terra Santa e per anni è stata la via dei Crociati.
Come poteva non incuriosire chi, come me, vive di cultura e di arte?
Guidata dalle viuzzole tracciate dai turisti che mi hanno preceduto, comincio il mio cammino. Visito gli ambienti della villa e ne scruto con occhio attento i particolari. Cotto, ceramiche, marmi e mille strati sovrapposti di materiali misti ne rivelano la storia e ne fissano il tempo e i secoli e poco importa se tutt'intorno ci sono i nuovi quartieri residenziali. Il cuore pulsante di quel paesaggio a metà strada tra ieri e oggi è lei e nessuno può inficiarla da questo ruolo.
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villa dei Quintili- interni |
Continuo a camminare alla ricerca del basolato che rende celeberrima questa strada. Lo sento scorrere sotto i miei piedi mentre gli occhi si voltano a destra e a sinistra per cogliere i battiti di quel parco. Arte e natura sembrano aver trovato il connubio perfetto. Tutto si muove per disegnare una trama che ognuno poi tesse di proprie emozioni. Camminarci è il segreto per appropriarsi della voce dell'Appia. Nulla è più eloquente di quei blocchi di pietra uno ad uno compositi per sostenere carri, cavalli, bici e i nostri passi. Non sono regolari le pietre, scolpite dai segni indelebili dell'uomo e del suo passaggio. Famiglie, bambini, innamorati, gente solitaria o moderni sognatori come me sono i protagonisti di questa messa in scena. Non i rumori della città, non la frenesia del contemporaneo. Tutto scorre lento e infinitamente pieno, mentre incroci sguardi e raccogli sorrisi.
Prima di raggiungere Campo di Bove e il Mausoleo di Cecilia Metella sento che è arrivato il momento di fermarmi. Ho bisogno di fissare nella mente quel momento. Cerco un appoggio fortuito su un muretto che affaccia su un campo incolto e con dell sterpaglie. Davanti a me qualche cippo e qualche lastra tombale (provo a tradurre dal latino, ormai dimenticato, ma alla fine rinuncio: ho altro a cui pensare). Ed è lì, come in ogni spettacolo che si rispetti, che avviene la "catarsi".
Prendo il mio tablet e racconto la mia storia sulla via Appia, scritta qualche tempo fa per un concorso. La racconto a me stessa in realtà e a quella parte di me che vorrebbe restare lì, in quel pezzo di storia. Rileggersi è come viversi, cedendo una parte di se stessi al mondo senza pretendere nulla in cambio se non inspiegabili emozioni che solo tu puoi canalizzare nella tua anima. Saranno passati 20minuti mentre aspettavo il resto della compagnia e quando ho rialzato lo sguardo (interrotta da una telefonata... avrei dovuto spegnere lo smartphone) la strada mi sembrava un po' più mia e riprendere il cammino mi suscitava attesa, quasi come se dopo quel rito, meritassi una sorpresa.
Ed essa è arrivata qualche metro oltre (forse più): arrivo al campo di Bove, termine del mio percorso, a pochi passi dal Mausoleo di Cecilia Metella e la torre Caetani ed, eccola, si erge la chiesa di s.Nicola. Ne riconosco subito i tratti. Quelle forme fanno parte di me e scandiscono ogni volta la misura dei miei battiti. E' un esempio di gotico cistercense, stile che è rarissimo a Roma e in generale in Italia, che risale ai primi anni del 1300. La chiesa è senza tetto, le pareti sono ritmate da monofore archiacute e contrafforti esterni, in tipico stile borgognone, e la facciata, a forma di capanna e affiancata da un campanile, è meravigliosamente semplice nella sua maestà.
E' la risposta della storia alla mia prosa. I miei studi, la mia tesi e le mie ipotesi di ricerca (svanite ahimè per il sistema "meritocratico" dei dottorati e per mie varie colpe) sono sempre partiti da qui. E qui ritorna il mio cuore ogni volta. Mi volto, prendo il biglietto e chiudo la giornata visitando il mausoleo di Cecilia Metella e la torre della potente famiglia Caetani, che nel 1299 aveva ricevuto in dono proprio il mausoleo da papa Bonifacio VIII, iniziando così i suoi traffici commerciali.
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via Appia-percorso |
Prima di raggiungere Campo di Bove e il Mausoleo di Cecilia Metella sento che è arrivato il momento di fermarmi. Ho bisogno di fissare nella mente quel momento. Cerco un appoggio fortuito su un muretto che affaccia su un campo incolto e con dell sterpaglie. Davanti a me qualche cippo e qualche lastra tombale (provo a tradurre dal latino, ormai dimenticato, ma alla fine rinuncio: ho altro a cui pensare). Ed è lì, come in ogni spettacolo che si rispetti, che avviene la "catarsi".
Prendo il mio tablet e racconto la mia storia sulla via Appia, scritta qualche tempo fa per un concorso. La racconto a me stessa in realtà e a quella parte di me che vorrebbe restare lì, in quel pezzo di storia. Rileggersi è come viversi, cedendo una parte di se stessi al mondo senza pretendere nulla in cambio se non inspiegabili emozioni che solo tu puoi canalizzare nella tua anima. Saranno passati 20minuti mentre aspettavo il resto della compagnia e quando ho rialzato lo sguardo (interrotta da una telefonata... avrei dovuto spegnere lo smartphone) la strada mi sembrava un po' più mia e riprendere il cammino mi suscitava attesa, quasi come se dopo quel rito, meritassi una sorpresa.
Ed essa è arrivata qualche metro oltre (forse più): arrivo al campo di Bove, termine del mio percorso, a pochi passi dal Mausoleo di Cecilia Metella e la torre Caetani ed, eccola, si erge la chiesa di s.Nicola. Ne riconosco subito i tratti. Quelle forme fanno parte di me e scandiscono ogni volta la misura dei miei battiti. E' un esempio di gotico cistercense, stile che è rarissimo a Roma e in generale in Italia, che risale ai primi anni del 1300. La chiesa è senza tetto, le pareti sono ritmate da monofore archiacute e contrafforti esterni, in tipico stile borgognone, e la facciata, a forma di capanna e affiancata da un campanile, è meravigliosamente semplice nella sua maestà.
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Chiesa di san Nicola |
E' la risposta della storia alla mia prosa. I miei studi, la mia tesi e le mie ipotesi di ricerca (svanite ahimè per il sistema "meritocratico" dei dottorati e per mie varie colpe) sono sempre partiti da qui. E qui ritorna il mio cuore ogni volta. Mi volto, prendo il biglietto e chiudo la giornata visitando il mausoleo di Cecilia Metella e la torre della potente famiglia Caetani, che nel 1299 aveva ricevuto in dono proprio il mausoleo da papa Bonifacio VIII, iniziando così i suoi traffici commerciali.
Non dimentichiamo che la sera prima, appena dopo il tramonto, avevo già dato un saluto alla via Appia, visitandone l'inizio: l'Arco di Druso, la porta s.Sebastiano, nonché il parco da cui si può ammirare il Sepolcro degli Scipioni.
Vi chiederete: perché parlare di strade? Perché raccontarvi di questa gita? Le domande sorgono spontanee e la risposta altrettanto.
Tornando alla citazione nell'incipit, il segreto per essere una smart people è la consapevolezza di camminare con le stesse scarpe della storia, cariche di passione, nelle vie più diverse e nello stesso tempo di camminare con scarpe diverse, ossia insieme a chi come te vive di cultura, su una stessa strada: quella della conoscenza di chi ci ha preceduto e di se stessi.
L'invito è a non fermarvi mai, a scoprire sempre nuove rotte per la cultura che siano a Roma, come in questo caso, o in qualunque altro posto del mondo.
Vi chiederete: perché parlare di strade? Perché raccontarvi di questa gita? Le domande sorgono spontanee e la risposta altrettanto.
Tornando alla citazione nell'incipit, il segreto per essere una smart people è la consapevolezza di camminare con le stesse scarpe della storia, cariche di passione, nelle vie più diverse e nello stesso tempo di camminare con scarpe diverse, ossia insieme a chi come te vive di cultura, su una stessa strada: quella della conoscenza di chi ci ha preceduto e di se stessi.
L'invito è a non fermarvi mai, a scoprire sempre nuove rotte per la cultura che siano a Roma, come in questo caso, o in qualunque altro posto del mondo.
Author : Unknown
Bansky: Better Out Than In, cartoline dalle strade di New York
"Alcune persone diventano dei poliziotti
perché vogliono far diventare il mondo un posto migliore.
Alcune diventano vandali
perché vogliono far diventare il mondo un posto migliore da vedere"
Bansky è un writer inglese, nato a Bristol nel 1974, da anni si aggira per le città con i suoi attacchi di guerrilla urbana ed è tornato all'opera, in Bansky style, a New York.
1 Ottobre: Manhattan
Sul suo sito compare l'annuncio:
"For the next month Banksy will be attempting to host
an entire show on the streets of New York"
"Nel prossimo mese Bansky cercherà di ospitare
un intero spettacolo per le vie di New York"
Bansky è ufficialmente tornato con tanto di numero verde per la fruizione dello spettacolo da parte dei suoi fan!
"Better Out than In" si ispira forse alla citazione di Cezanne
"All the pictures painted inside, in the studio,
will never be as good as those done outside"
"Tutte le immagini dipinte all'interno di uno studio
non saranno mai come quelle dipinte all'esterno"
Ogni giorno, per tutto il mese, sul sito vengono postate le sue nuove opere e relativi numeri di telefono e audioguide.
L'immagine rappresentativa dell'apertura del sipario newyorkese di Bansky è sparita: la vita di quel ragazzetto che a piedi nudi libera la bomboletta dal suo divieto, è durata 24 ore.
Precario equilibrio sulla schiena di un amico, precaria la vita dell'opera, ma la bomboletta spray è liberata dalla sua gabbia chiamata "Graffiti is a crime".
Un gruppo di writers chiamato Smart Crew aveva modificato l'insegna "Graffiti is a Crime" in "Street Art is a Crime" e nella notte, il tutto è stato ricoperto da un velo bianco.
"Davanti a te vedrai un dipinto spray dell'artista. O forse no. Probabilmente è già stato coperto" annuncia l'audioguida.
Realismo? Ironia? Profezia? Parte dello spettacolo dell'artista?
Il secondo atto si apre nel West Side, con una provocatoria argomentazione metropolitana sulla varietà.. degli "accenti"!
Bansky scrive "Questo è il mio accento newyorkese... di solito scrivo così", e noi, subissati dall'arte visiva, non possiamo che cogliere il suono differente di questa scritta, semplice e diretta. Quanti accenti sono presenti nella nostra vita? Come li traduciamo in scrittura? Mostrami i tuoi scritti e scoprirò chi sei!
Genialità o vandalismo?
Qui le opinioni si dividono in due poli opposti, ma le sue opere sono state venduta con gran successo anche da Sotheby's, e lo spettacolo newyorkese è ormai in scena.
Nella nostra quotidianità siamo presi di mira da battaglie di comunicazione visive ricche di colpi scena. Tra televisione, cartelli pubblicitari, volantini e Web difficilmente riusciamo a tirare le fila di questa complessa evoluzione delle immagini, ma un giorno queste correnti avranno un nome, e probabilmente quello di Bansky rimarrà: amante dell'anonimato, della rivisitazione della città, degli "spettacoli" effimeri, del vandalismo in stile Robin Hood.
Una volta un saggio disse:
Non esistono uomini perfetti, esistono soltanto intenzioni perfette
Author : Unknown
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La poesia del buongiorno. The poem of the morning
Mentre lavoriamo al Caffè Letterario, un libro sulle poesie di Emily Dickinson attira la nostra attenzione.
Così pensiamo di condividere con voi questo pensiero che noi riportiamo al nostro mondo, alla nostra realtà, al nostro sogno, alla nostra speranza che quella "luce" del sole splenda sul Deserto della crisi culturale del nostro secolo: ottimismo all'orizzonte!
"Se non avessi mai visto il sole
avrei sopportato l'ombra -
Ma la luce ha reso il mio Deserto
ancora più selvaggio.
(1782)
Deserto, dal sito http://www.colonialvoyage.com/artista/deserto.html |
We're working in Cafè Letterario, a cafè in Ravenna, and from a shelf of books Emily Dickinson's poetry attracted our attention.
We want to share with you this little thought transferred to our world, our reality, our dream, our wish about that "light" so that it could bright over the wild desert of the cultural crisis of our century: optimistic horizon!
Nice saturday to you all!
Had I not seen the Sun
I could have borne the shade
But Light a newer Wilderness
My Wilderness has made -
(1782)
Author : Unknown
Movite, nun te fermare... dalla Liguria al Salento
Ci sono serate che ti lasciano impressa un'impronta di magia ... il luogo, le persone, l'evento o cosa? Difficile dare risposta eppure quando mi capitano la sola cosa che penso è: "Vivere di tutto questo è tutto quello che voglio". E il "tutto questo" si concretizza in una parola: cultura.
Ho ancora addosso quella musica, come fosse un profumo in una sinestesia di emozioni. E ve ne voglio parlare perché le cose belle si raccontano così da poterle rivivere ogni volta che si vuole. Siamo diventate sm-Art people proprio per questo!
Un paesino, Forlimpopoli (FC), una manifestazione, il XIX festival di Musica Popolare, due gruppi, "I liguriani" e "Canzoniere grecanico salentino"e un luogo, la Rocca, fuori medievale e dentro intrisa di quel Novecento col suo fardello di guerre, gravi, pesanti e sanguinarie. Un vecchio cinema occupa un'ala della corte e i volti di Clint Eastwood, Sofia Loren, Audrey Hepburn e Sean Connery impressi sui manifesti degli anni '50 chiedono a gran voce di essere ascoltati e il barista su in un angoletto, mentre fuori suonano le zampogne liguri, guarda le partite di calcio ("L'inter vince, ma pure il Milan però", mi dice, dopo la mia domanda indagatrice un po' per gufare).
Sì perché noi italiani siamo così: ci giriamo intorno e la meraviglia delle bellezze che ci circondano non la cogliamo oppure l'abbiamo talmente immagazzinata che, appunto, non ci sorprende. Io, però, sono quell'italiano che ancora si emoziona ascoltando le musiche di questa mia nazione e non mi interessa se sono più a nord della mia latitudine natale o non sono il mio sud.
Nella cornice di questo evento culturale, mentre le disseminate feste del Pd, trascinate da ragioni che non ci sono più, producono incessantemente un gran cumulo di parole, rinnovo quello spirito che mi ha fatto scegliere la cultura come scopo della mia vita e nonostante le difficoltà e le angosce non riesco farne a meno, a rassegnarmi alla sconfitta. La musica mi trascina, il ritmo lo sento scorrere nelle vene e poco importa se quel passaggio non lo so fare bene: siamo nati per ballare, per farci trasportare e per assaporare il clima gradevole di una notte di fine estate.
Perché non vivere di tutto questo? Tutto ci appartiene e porta alla ricchezza, prima interiore e poi esteriore. Conservare quel che siamo in modo semplice, senza sotterfugi.
La platea era piena: le persone si uniscono quando a richiamarli è la melodia dell'anima e tutti con una gran voglia di ballare, anche se poi molti si limitavano a battere il piede dalla sedia su cui erano seduti o ad accompagnare con le mani il battito delle percussioni.
Senza parole, senza discorsi artificiali e senza perorare quella o l'altra causa, si saltella a ritmo di pizzica in memoria di quelle donne che al diavolo ci credevano davvero e a quelle spose che attendevano il matrimonio per lasciarsi prendere dal "focu d'amore".
Si balla per gioco, si balla per amore, si balla per dimenticare e le grida, i testi e la voce che accompagnano quei movimenti sono un invito alla vita, a non mollare mai perchè "ci te fermi è na malencunia".
Si balla per gioco, si balla per amore, si balla per dimenticare e le grida, i testi e la voce che accompagnano quei movimenti sono un invito alla vita, a non mollare mai perchè "ci te fermi è na malencunia".
E allora: "Ausate, movite, tira ca tira nun te fermare; movite, minate, la voce è forte, falla sentire".
Ed eccola la mia voce, il mio movimento. Racchiudo quel momento in queste parole perché qualcuno possa sentire il grido di questo mondo che si sta perdendo.
Siamo la musica che ascoltiamo, l'arte che vediamo, i libri che leggiamo, non il frutto di un congegno meccanico.
Resistiamo affinché tutto questo non possa mai morire o semplicemente affievolire il suo canto, oscurare i propri colori e sbiadire le pagine della poesia.
Resistiamo affinché tutto questo non possa mai morire o semplicemente affievolire il suo canto, oscurare i propri colori e sbiadire le pagine della poesia.
Author : Unknown
Luoghi: Comacchio, l'isola che non c'è
In un assolato Ferragosto che per fortuna poco ha ceduto all'afa mi dirigo a Comacchio, piccola cittadina in provincia di Ferrara che rappresenta il comune più importante del Delta del Po.
Pensando a cosa potevo sapere e/o immaginare di quel luogo, nella mia mente ho vagheggiato tante definizioni.
Somiglia a Venezia, ma NON è Venezia,
Affaccia sul mare, ma NON ha l'acqua salata
Si trova sul Delta del fiume Po, ma l'acqua NON è dolce
E' l'unione di tante isole, ma NON è un'isola
Si trova in Emilia ma NON è Emilia
Sembra Veneto, ma NON è Veneto
Le barche NON le chiamano barche, ma le chiamano comacine.
Tutti questi NON mi hanno ispirato per cercare la peculiarità di questa terra sospesa tra il fiume e il mare, tra la terraferma e l'isola, tra storia recente ed origini antiche.
Furono gli etruschi a darle i natali, sfruttando le acque che cingevano le originarie 13 isole che componevano la valle, tanto vicine da diventare una sola. Il sito archeologico di Spina racconta le origini etrusche di Comacchio, le quali tra i cittadini di oggi sono motivo di vanto (si pensa che addirittura il nome derivi da un termine etrusco che significa "accumulo di dossi").
Trepponti |
Fu poi dominata in gran parte da poteri pontifici che le hanno dato l'aspetto di oggi, in particolar modo nei due monumenti che caratterizzano la città: il duomo di san Cassiano, dell'VIII secolo ma ricostruito più volte nei secoli a venire e il Trepponti, struttura architettonica davvero unica che tiene uniti cinque canali al quale si accede tramite cinque scale. Ai lati ci sono due torri che riprendono il cappello cardinalizio, simbolo appunto della dominazione papale. Era la porta d'ingresso alla città e fu realizzata nel 1634 da Luca Danesi sotto la commissione del cardinale G.Battista Pallotta. I materiali utilizzati che si intrecciano di continuo nelle architetture di Comacchio sono il cotto e la pietra d'Istria. Il cotto veniva realizzato sfruttando l'argilla naturale tipica delle zone, ma che in questa regione era talmente malleabile da non richiedere tanto lavoro e l'origine salmastra le dava la possibilità di indurirsi facilmente; mentre la pietra d'Istria veniva trasportata lungo i canali e la laguna, i cui collegamenti giungevano sino a Ferrara.
I palazzi sono quasi tutti in pietra d'Istria ed hanno architetture inusuali quasi a voler reinterpretare forme che ricordano altri usi. Ad esempio, l'ex ospedale san Camillo che ricorda in facciata l'ingresso di un tempio o di una chiesa medievale, edificato tra il 1778 e il 1784 per volere del cardinale Francesco Carafa.
E poi c'è il cibo, quell'inconfondibile profumo che si diffonde in tutti i vicoli della città. Piatto tipico è l'anguilla, pesce che loro catturano mentre migra in mare per la riproduzione. Da qui nasce la sua coltivazione che è diventata addirittura presidio slowfood.
I palazzi sono quasi tutti in pietra d'Istria ed hanno architetture inusuali quasi a voler reinterpretare forme che ricordano altri usi. Ad esempio, l'ex ospedale san Camillo che ricorda in facciata l'ingresso di un tempio o di una chiesa medievale, edificato tra il 1778 e il 1784 per volere del cardinale Francesco Carafa.
E poi c'è il cibo, quell'inconfondibile profumo che si diffonde in tutti i vicoli della città. Piatto tipico è l'anguilla, pesce che loro catturano mentre migra in mare per la riproduzione. Da qui nasce la sua coltivazione che è diventata addirittura presidio slowfood.
E infine il vino, cabernet e trebbiano che prendono il nome di vini del bosco Eliceo, doc delle valli di Comacchio che si distinguono per il loro sapore a metà strada tra l'argillosità dei terreni e il sale delle acque. Sapore inconfondibile che ben si adatta ad ammorbidire la grassezza dell'anguilla e dei primi piatti corposi.
Dopo un excursus così vario che ha ripercorso il cammino che ho compiuto (sempre con un compagno di avventura), cosa traiamo di Comacchio? E cosa lo rende un luogo così particolare da meritare una visita?
Beh, proprio la specificità dell'ambiguità. Comacchio ha la fortuna di non avere una caratterizzazione; la si può vivere come città marittima o fluviale, di terra o di acqua, di cultura e di commerci. Non ha definizioni e non ne cerca; nei palazzi, nei canali e nei volti dei cittadini c'è questo stato di confine, questa profonda ambivalenza che ne caratterizza gli animi. Visitarla almeno una volta nella vita ci da il sapore della scoperta e dell'interpretazione. Ognuno può renderla sua e conservarne un pezzetto della sua anima millenaria.
Torquato Tasso nella Gerusalemme Liberata la definisce così:
Dopo un excursus così vario che ha ripercorso il cammino che ho compiuto (sempre con un compagno di avventura), cosa traiamo di Comacchio? E cosa lo rende un luogo così particolare da meritare una visita?
Particolare: canale e ponte |
Beh, proprio la specificità dell'ambiguità. Comacchio ha la fortuna di non avere una caratterizzazione; la si può vivere come città marittima o fluviale, di terra o di acqua, di cultura e di commerci. Non ha definizioni e non ne cerca; nei palazzi, nei canali e nei volti dei cittadini c'è questo stato di confine, questa profonda ambivalenza che ne caratterizza gli animi. Visitarla almeno una volta nella vita ci da il sapore della scoperta e dell'interpretazione. Ognuno può renderla sua e conservarne un pezzetto della sua anima millenaria.
Torquato Tasso nella Gerusalemme Liberata la definisce così:
« Come il pesce colà dove impaluda / ne i seni di Comacchio il nostro mare, / fugge da l'onda impetuosa e cruda / cercando in placide acque ove riparare, / e vien che da se stesso ei si rinchiuda / in palustre prigion né può tornare, / che quel serraglio è con mirabil uso / sempre a l'entrare aperto, a l'uscir chiuso. »
Ed io mi associo a lui intendendo così quell'"Uscir chiuso": a Comacchio entri pensando che sia un luogo che ha un po' tutto e non è niente. Ne esci però mutato lasciando chiusi nelle sue mura tutti quei pregiudizi iniziali. E questo cambiamento di opinioni ti farà ritornare, perché hai chiuso un pezzetto di te tra queste valli.
Author : Unknown
Ferragosto: la Cultura in vacanza
15 agosto, Is Arutas.
Destinazione mare, Cabras, provincia di Oristano.
Mi trovo in una spiaggia affollatissima, che si estende per qualche centinaio di metri, come una baia tra due basse scogliere. La bellezza del mare d'estate incanta: una brezza leggera si alza dal mare, l'acqua è fredda, ma il suo colore verde acqua, così cristallino, ha un richiamo fortissimo. Camminando sulla riva, le onde travolgono le gambe, e i piedi affondano in quella sabbia, formata da granelli di quarzo tondeggianti, più piccoli dei chicchi di riso, perlopiù bianchi, ma anche con sfumature verdi, rosa, aranciate.
E ti ritrovi a pensare alla Cultura. Ti domandi come ti possa venire in mente pensare alla cultura quando intorno a te vedi collina, spiaggia, rocce, mare, un chiosco di legno oltre la spiaggia, e macchine, ombrelloni, persone.
Niente case a vista qui intorno. Niente costruzioni di comfort. Solo il brullo, verde, paesaggio sardo brunito dal calore del sole, e appiattito dal vento.
Arrivati alla fine della spiaggia incontriamo la scogliera, perlopiù scura e dall'aspetto ruvido e spugnoso.
Alla domanda: "Di che roccia si tratta?" nella mia mente si riaccendono le lezioni di petrografia.
E rientriamo così, in una giornata di mare, nelle C sm-Art People: Curiosare.
Sono forse in un ambiente di interesse culturale? Sono in un'area marina protetta, onorata di poterci spendere la mia giornata in costume, ospite di un paesaggio speciale.
Forse è bene proprio qui parlare di Cultura.
Per Cultura preservare i luoghi così come la Natura e il tempo ce li tramandano;
per Cultura realizzare che anche una bellezza di questo tipo è un bene del nostro territorio;
per Cultura ricordarci di non lasciare rimasugli in spiaggia;
per Cultura non portarsi via la sabbia;
per Cultura parlare di beni paesaggistici e ambientali riconosciuti nel Codice dei Beni Culturali;
per Cultura pensare a tutto questo come una risorsa, ma non come un luogo da sfruttamento selvaggio.
Cammino in direzione opposta. Torno indietro pensando che sia quasi un miracolo una non colonizzazione della zona: e dovrebbe restare così. Stiamo diventando così incapaci di camminare, di meravigliarci, di lasciare un angolo della Terra così come la Natura lo preserva fino a noi. E che qui il lato selvaggio della natura viene ancora risparmiato.
Mi immergo in quel mare, ne respiro l'essenza. Quando esco dall'acqua mi siedo per cercare il rumore di quei chicchi di quarzo che scorrono nelle mie mani
e ne osservo lo scivolare tra le mie dita.
Percepisco il cambiamento della luce, tutto sembra aranciato, sollevo lo sguardo, e mentre i toni caldi oscurano il blu del cielo, è già tramonto.
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Is Arutas al calar del sole |
Author : Unknown