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Luoghi smartiani: l'Appia Antica a Roma. Regina viarum, regina del mio cuore




E con le stesse scarpe camminare 
per diverse strade 

o con diverse scarpe 

su una strada sola 

(F.De Gregori- Sempre e per sempre)






Comincio il mio post su Roma con una citazione sulle strade che definirei metaforica, poetica e magica, scritta per amore da un compositore che Roma ce l'ha nelle vene. E come non associare al cammino e all'amore il mio percorso sulla via Appia? 
Una domenica d'autunno, col sole che solo Roma sa offrirti nella sua eternità, zaino in spalla, pc in borsa e via sulla metro verso una nuova scoperta. Ricordo ancora quando lessi dell'iniziativa "Appiaappiedi"(per info http://www.beniculturali.it/mibac/export/MiBAC/sitoMiBAC/Contenuti/MibacUnif/Eventi/visualizza_asset.html_2091929368.html) e pensai "Chissà se riuscirò ad andare?!". Alla fine,  grazie a varie coincidenze, eccomi qui a contemplare le meraviglie di una via, definita per la sua importanza regina viarum, che ha unito popoli di ogni provenienza, ha favorito scambi commerciali e rotte di fuga per chi nei secoli aveva bisogno di viaggiare.


Si parte da villa dei Quintili, maestosa residenza costruita nel II secolo d.C dai consoli Sesto Quintilio Condiano e Sesto Quintilio Valerio Massimo. Davanti a me uno spettacolo che da solo vale il prezzo del biglietto (per info http://www.parcoappiaantica.it/it/index.asp ). Il monumento si trova su una leggera altura, all'altezza di un luogo simbolico per la storia di Roma; qui infatti vi erano i tumuli degli Orazi e dei Curiazi. Tutt'intorno, i monti Tiburtini e le stupende colline intorno a Roma che, nonostante la leggera foschia, sono lì a farti sognare le gite fuori porta di imperatori e consoli romani, nonché di importanti famiglie nobiliari del medioevo. 


Villa dei Quintili 



In quel momento, con un balzo temporale notevole, mi è venuto in mente Goethe e il suo "Viaggio in Italia". Si tratta di un libro che ho letto molti anni fa e ricordo le sue descrizioni di Roma e la sottolineatura di quel paesaggio brullo che da un lato gli faceva rabbia per la disattenzione nei confronti del patrimonio e dall'altro lo entusiasmava perché lo metteva a diretto contatto con la storia e con il tempo. Ed io mi sono sentita una moderna protagonista di un anacronistico gran tour, percorrendo la strada che unisce la mia vita alla mia passione. Sono nata, infatti, proprio in un paese che sorge a ridosso della via Appia che, costruita a partire dal 312 a.C., collega Roma a Capua e poi a Brindisi. Nei secoli è stata teatro e simbolo di numerosi eventi: lungo il suo percorso furono crocifissi i ribelli guidati da Spartaco, divenne il punto di imbarco di Federico II per la Terra Santa e per anni è stata la via dei Crociati. 
Come poteva non incuriosire chi, come me, vive di cultura e di arte? 
Guidata dalle viuzzole tracciate dai turisti che mi hanno preceduto, comincio il mio cammino. Visito gli ambienti della villa e ne scruto con occhio attento i particolari. Cotto, ceramiche, marmi e mille strati sovrapposti di materiali misti ne rivelano la storia e ne fissano il tempo e i secoli e poco importa se tutt'intorno ci sono i nuovi quartieri residenziali. Il cuore pulsante di quel paesaggio a metà strada tra ieri e oggi è lei e nessuno può inficiarla da questo ruolo. 


villa dei Quintili- interni

Continuo a camminare alla ricerca del basolato che rende celeberrima questa strada. Lo sento scorrere sotto i miei piedi mentre gli occhi si voltano a destra e a sinistra per cogliere i battiti di quel parco. Arte e natura sembrano aver trovato il connubio perfetto. Tutto si muove per disegnare una trama che ognuno poi tesse di proprie emozioni. Camminarci è il segreto per appropriarsi della voce dell'Appia. Nulla è più eloquente di quei blocchi di pietra uno ad uno compositi per sostenere carri, cavalli, bici e i nostri passi. Non sono regolari le pietre, scolpite dai segni indelebili dell'uomo e del suo passaggio. Famiglie, bambini, innamorati, gente solitaria o moderni sognatori come me sono i protagonisti di questa messa in scena. Non i rumori della città, non la frenesia del contemporaneo. Tutto scorre lento e infinitamente pieno, mentre incroci sguardi e raccogli sorrisi.
via Appia-percorso

Prima di raggiungere Campo di Bove e il Mausoleo di Cecilia Metella sento che è arrivato il momento di fermarmi. Ho bisogno di fissare nella mente quel momento. Cerco un appoggio fortuito su un muretto che affaccia su un campo incolto e con dell sterpaglie. Davanti a me qualche cippo e qualche lastra tombale (provo a tradurre dal latino, ormai dimenticato, ma alla fine rinuncio: ho altro a cui pensare). Ed è lì, come in ogni spettacolo che si rispetti, che avviene la "catarsi". 
Prendo il mio tablet e racconto la mia storia sulla via Appia, scritta qualche tempo fa per un concorso. La racconto a me stessa in realtà e a quella parte di me che vorrebbe restare lì, in quel pezzo di storia. Rileggersi è come viversi, cedendo una parte di se stessi al mondo senza pretendere nulla in cambio se non inspiegabili emozioni che solo tu puoi canalizzare nella tua anima. Saranno passati 20minuti mentre aspettavo il resto della compagnia e quando ho rialzato lo sguardo (interrotta da una telefonata... avrei dovuto spegnere lo smartphone) la strada mi sembrava un po' più mia e riprendere il cammino mi suscitava attesa, quasi come se dopo quel rito, meritassi una sorpresa.
Ed essa è arrivata qualche metro oltre (forse più): arrivo al campo di Bove, termine del mio percorso, a pochi passi dal Mausoleo di Cecilia Metella e la torre Caetani ed, eccola, si erge la chiesa di s.Nicola. Ne riconosco subito i tratti. Quelle forme fanno parte di me e scandiscono ogni volta la misura dei miei battiti. E' un esempio di gotico cistercense, stile che è rarissimo a Roma e in generale in Italia, che risale ai primi anni del 1300. La chiesa è senza tetto, le pareti sono ritmate da monofore archiacute e contrafforti esterni, in tipico stile borgognone, e la facciata, a forma di capanna e affiancata da un campanile, è meravigliosamente semplice nella sua maestà. 
Chiesa di san Nicola

E' la risposta della storia alla mia prosa. I miei studi, la mia tesi e le mie ipotesi di ricerca (svanite ahimè per il sistema "meritocratico" dei dottorati e per mie varie colpe) sono sempre partiti da qui. E qui ritorna il mio cuore ogni volta. Mi volto, prendo il biglietto e chiudo la giornata visitando il mausoleo di Cecilia Metella e la torre della potente famiglia Caetani, che nel 1299 aveva ricevuto in dono proprio il mausoleo da papa Bonifacio VIII, iniziando così i suoi traffici commerciali.
Non dimentichiamo che la sera prima, appena dopo il tramonto, avevo già dato un saluto alla via Appia, visitandone l'inizio: l'Arco di Druso, la porta s.Sebastiano, nonché il parco da cui si può ammirare il Sepolcro degli Scipioni. 
Vi chiederete: perché parlare di strade? Perché raccontarvi di questa gita? Le domande sorgono spontanee e la risposta altrettanto. 
Tornando alla citazione nell'incipit, il segreto per essere una smart people è la consapevolezza di camminare con le stesse scarpe della storia, cariche di passione, nelle vie più diverse e nello stesso tempo di camminare con scarpe diverse, ossia insieme a chi come te vive di cultura, su una stessa strada: quella della conoscenza di chi ci ha preceduto e di se stessi. 
L'invito è a non fermarvi mai, a scoprire sempre nuove rotte per la cultura che siano a Roma, come in questo caso, o in qualunque altro posto del mondo. 

Bansky: Better Out Than In, cartoline dalle strade di New York

"Alcune persone diventano dei poliziotti 
perché vogliono far diventare il mondo un posto migliore. 
Alcune diventano vandali 
perché vogliono far diventare il mondo un posto migliore da vedere"

Bansky è un writer inglese, nato a Bristol nel 1974, da anni si aggira per le città con i suoi attacchi di guerrilla urbana ed è tornato all'opera, in Bansky style, a New York.



1 Ottobre: Manhattan


Sul suo sito compare l'annuncio:
"For the next month Banksy will be attempting to host 
an entire show on the streets of New York"
"Nel prossimo mese Bansky cercherà di ospitare 
un intero spettacolo per le vie di New York"


Bansky è ufficialmente tornato con tanto di numero verde per la fruizione dello spettacolo da parte dei suoi fan!

"Better Out than In" si ispira forse alla citazione di Cezanne


"All the pictures painted inside, in the studio, 
will never be as good as those done outside" 

"Tutte le immagini dipinte all'interno di uno studio 

non saranno mai come quelle dipinte all'esterno" 


Ogni giorno, per tutto il mese, sul sito vengono postate le sue nuove opere e relativi numeri di telefono e audioguide.

L'immagine rappresentativa dell'apertura del sipario newyorkese di Bansky è sparita: la vita di quel ragazzetto che a piedi nudi libera la bomboletta dal suo divieto, è durata 24 ore. 
Precario equilibrio sulla schiena di un amico, precaria la vita dell'opera, ma la bomboletta spray è liberata dalla sua gabbia chiamata "Graffiti is a crime".
Un gruppo di writers chiamato Smart Crew aveva modificato l'insegna "Graffiti is a Crime" in "Street Art is a Crime" e nella notte, il tutto è stato ricoperto da un velo bianco.

"Davanti a te vedrai un dipinto spray dell'artista. O forse no. Probabilmente è già stato coperto" annuncia l'audioguida.
Realismo? Ironia? Profezia? Parte dello spettacolo dell'artista?

Il secondo atto si apre nel West Side, con una provocatoria argomentazione metropolitana sulla varietà.. degli "accenti"!




Bansky scrive "Questo è il mio accento newyorkese... di solito scrivo così", e noi, subissati dall'arte visiva, non possiamo che cogliere il suono differente di questa scritta, semplice e diretta. Quanti accenti sono presenti nella nostra vita? Come li traduciamo in scrittura? Mostrami i tuoi scritti e scoprirò chi sei!
Genialità o vandalismo? 
Qui le opinioni si dividono in due poli opposti, ma le sue opere sono state venduta con gran successo anche da Sotheby's, e lo spettacolo newyorkese è ormai in scena.

Nella nostra quotidianità siamo presi di mira da battaglie di comunicazione visive ricche di colpi scena. Tra televisione, cartelli pubblicitari, volantini e Web difficilmente riusciamo a tirare le fila di questa complessa evoluzione delle immagini, ma un giorno queste correnti avranno un nome, e probabilmente quello di Bansky rimarrà: amante dell'anonimato, della rivisitazione della città, degli "spettacoli" effimeri, del vandalismo in stile Robin Hood.

Una volta un saggio disse: 
Non esistono uomini perfetti, esistono soltanto intenzioni perfette

La poesia del buongiorno. The poem of the morning

Mentre lavoriamo al Caffè Letterario, un libro sulle poesie di Emily Dickinson attira la nostra attenzione.
Così pensiamo di condividere con voi questo pensiero che noi riportiamo al nostro mondo, alla nostra realtà, al nostro sogno, alla nostra speranza che quella "luce" del sole splenda sul Deserto della crisi culturale del nostro secolo: ottimismo all'orizzonte!

Buon sabato lettori!

"Se non avessi mai visto il sole
avrei sopportato l'ombra - 
Ma la luce ha reso il mio Deserto
ancora più selvaggio.
(1782)

                             
Deserto, dal sito http://www.colonialvoyage.com/artista/deserto.html

We're working in Cafè Letterario, a cafè in Ravenna, and from a shelf of books Emily Dickinson's poetry attracted our attention.
We want to share with you this little thought transferred to our world, our reality, our dream, our wish about that "light" so that it could bright over the wild desert of the cultural crisis of our century: optimistic horizon!

Nice saturday to you all!

Had I not seen the Sun
I could have borne the shade
But Light a newer Wilderness
My Wilderness has made - 
(1782)

Movite, nun te fermare... dalla Liguria al Salento

Ci sono serate che ti lasciano impressa un'impronta di magia ... il luogo, le persone, l'evento o cosa? Difficile dare risposta eppure quando mi capitano la sola cosa che penso è: "Vivere di tutto questo è tutto quello che voglio". E il "tutto questo" si concretizza in una parola: cultura. 
Ho ancora addosso quella musica, come fosse un profumo in una sinestesia di emozioni. E ve ne voglio parlare perché le cose belle si raccontano così da poterle rivivere ogni volta che si vuole. Siamo diventate sm-Art people proprio per questo!
Un paesino, Forlimpopoli (FC), una manifestazione, il XIX festival di Musica Popolare, due gruppi, "I liguriani" e "Canzoniere grecanico salentino"e un luogo, la Rocca, fuori medievale e dentro intrisa di quel Novecento col suo fardello di guerre, gravi, pesanti e sanguinarie. Un vecchio cinema occupa un'ala della corte e i volti di Clint Eastwood, Sofia Loren, Audrey Hepburn e Sean Connery impressi sui manifesti degli anni '50 chiedono a gran voce di essere ascoltati e il barista su in un angoletto, mentre fuori suonano le zampogne liguri, guarda le partite di calcio ("L'inter vince, ma pure il Milan però", mi dice, dopo la mia domanda indagatrice un po' per gufare). 
Sì perché noi italiani siamo così: ci giriamo intorno e la meraviglia delle bellezze che ci circondano non la cogliamo oppure l'abbiamo talmente immagazzinata che, appunto, non ci sorprende. Io, però, sono quell'italiano che ancora si emoziona ascoltando le musiche di questa mia nazione e non mi interessa se sono più a nord della mia latitudine natale o non sono il mio sud. 
Nella cornice di questo evento culturale, mentre le disseminate feste del Pd, trascinate da ragioni che non ci sono più, producono incessantemente un gran cumulo di parole, rinnovo quello spirito che mi ha fatto scegliere la cultura come scopo della mia vita e nonostante le difficoltà e le angosce non riesco farne a meno, a rassegnarmi alla sconfitta. La musica mi trascina, il ritmo lo sento scorrere nelle vene e poco importa se quel passaggio non lo so fare bene: siamo nati per ballare, per farci trasportare e per assaporare il clima gradevole di una notte di fine estate. 

Perché non vivere di tutto questo? Tutto ci appartiene e porta alla ricchezza, prima interiore e poi esteriore. Conservare quel che siamo in modo semplice, senza sotterfugi. 
La platea era piena: le persone si uniscono quando a richiamarli è la melodia dell'anima e tutti con una gran voglia di ballare, anche se poi molti si limitavano a battere il piede dalla sedia su cui erano seduti o ad accompagnare con le mani il battito delle percussioni.
Senza parole, senza discorsi artificiali e senza perorare quella o l'altra causa, si saltella a ritmo di pizzica in memoria di quelle donne che al diavolo ci credevano davvero e a quelle spose che attendevano il matrimonio per lasciarsi prendere dal "focu d'amore".
Si balla per gioco, si balla per amore, si balla per dimenticare e le grida, i testi e la voce che accompagnano quei movimenti sono un invito alla vita, a non mollare mai perchè "ci te fermi è na malencunia". 
E allora: "Ausate, movite, tira ca tira nun te fermare; movite, minate, la voce è forte, falla sentire". 
Ed eccola la mia voce, il mio movimento. Racchiudo quel momento in queste parole perché qualcuno possa sentire il grido di questo mondo che si sta perdendo. 
Siamo la musica che ascoltiamo, l'arte che vediamo, i libri che leggiamo, non il frutto di un congegno meccanico.
Resistiamo affinché tutto questo non possa mai morire o semplicemente affievolire il suo canto, oscurare i propri colori e sbiadire le pagine della poesia. 

Luoghi: Comacchio, l'isola che non c'è


In un assolato Ferragosto che per fortuna poco ha ceduto all'afa mi dirigo a Comacchio, piccola cittadina in provincia di Ferrara che rappresenta il comune più importante del Delta del Po. 
Pensando a cosa potevo sapere e/o immaginare di quel luogo, nella mia mente ho vagheggiato tante definizioni.

Somiglia a Venezia, ma NON è Venezia, 
Affaccia sul mare, ma NON ha l'acqua salata
Si trova sul Delta del fiume Po, ma l'acqua NON è dolce
E' l'unione di tante isole, ma NON è un'isola
Si trova in Emilia ma NON è Emilia
Sembra Veneto, ma NON è Veneto
Le barche NON le chiamano barche, ma le chiamano comacine.

Tutti questi NON mi hanno ispirato per cercare la peculiarità di questa terra sospesa tra il fiume e il mare, tra la terraferma e l'isola, tra storia recente ed origini antiche. 
Furono gli etruschi a darle i natali, sfruttando le acque che cingevano le originarie 13 isole che componevano la valle, tanto vicine da diventare una sola. Il sito archeologico di Spina racconta le origini etrusche di Comacchio, le quali tra i cittadini di oggi sono motivo di vanto (si pensa che addirittura il nome derivi da un termine etrusco che significa "accumulo di dossi").
Trepponti

Fu poi dominata in gran parte da poteri pontifici che le hanno dato l'aspetto di oggi, in particolar modo nei due monumenti che caratterizzano la città: il duomo di san Cassiano, dell'VIII secolo ma ricostruito più volte nei secoli a venire e il Trepponti, struttura architettonica davvero unica che tiene uniti cinque canali al quale si accede tramite cinque scale. Ai lati ci sono due torri che riprendono il cappello cardinalizio, simbolo appunto della dominazione papale. Era la porta d'ingresso alla città e fu realizzata nel 1634 da Luca Danesi sotto la commissione del cardinale G.Battista Pallotta. I materiali utilizzati che si intrecciano di continuo nelle architetture di Comacchio sono il cotto e la pietra d'Istria. Il cotto veniva realizzato sfruttando l'argilla naturale tipica delle zone, ma che in questa regione era talmente malleabile da non richiedere tanto lavoro e l'origine salmastra le dava la possibilità di indurirsi facilmente; mentre la pietra d'Istria veniva trasportata lungo i canali e la laguna, i cui collegamenti giungevano sino a Ferrara.
I palazzi sono quasi tutti in pietra d'Istria ed hanno architetture inusuali quasi a voler reinterpretare forme che ricordano altri usi. Ad esempio, l'ex ospedale san Camillo che ricorda in facciata l'ingresso di un tempio o di una chiesa medievale, edificato tra il 1778 e il 1784 per volere del cardinale Francesco Carafa.
E poi c'è il cibo, quell'inconfondibile profumo che si diffonde in tutti i vicoli della città. Piatto tipico è l'anguilla, pesce che loro catturano mentre migra in mare per la riproduzione. Da qui nasce la sua coltivazione che è diventata addirittura presidio slowfood.
E infine il vino, cabernet e trebbiano che prendono il nome di vini del bosco Eliceo, doc delle valli di Comacchio che si distinguono per il loro sapore a metà strada tra l'argillosità dei terreni e il sale delle acque. Sapore inconfondibile che ben si adatta ad ammorbidire la grassezza dell'anguilla e dei primi piatti corposi.
Dopo un excursus così vario che ha ripercorso il cammino che ho compiuto (sempre con un compagno di avventura), cosa traiamo di Comacchio? E cosa lo rende un luogo così particolare da meritare una visita?
Particolare: canale e ponte

Beh, proprio la specificità dell'ambiguità. Comacchio ha la fortuna di non avere una caratterizzazione; la si può vivere come città marittima o fluviale, di terra o di acqua, di cultura e di commerci. Non ha definizioni e non ne cerca; nei palazzi, nei canali e nei volti dei cittadini c'è questo stato di confine, questa profonda ambivalenza che ne caratterizza gli animi. Visitarla almeno una volta nella vita ci da il sapore della scoperta e dell'interpretazione. Ognuno può renderla sua e conservarne un pezzetto della sua anima millenaria.




Torquato Tasso nella Gerusalemme Liberata la definisce così:

 « Come il pesce colà dove impaluda / ne i seni di Comacchio il nostro mare, / fugge da l'onda impetuosa e cruda / cercando in placide acque ove riparare, / e vien che da se stesso ei si rinchiuda / in palustre prigion né può tornare, / che quel serraglio è con mirabil uso / sempre a l'entrare aperto, a l'uscir chiuso. » 


Ed io mi associo a lui intendendo così quell'"Uscir chiuso": a Comacchio entri pensando che sia un luogo che ha un po' tutto e non è niente. Ne esci però mutato lasciando chiusi nelle sue mura tutti quei pregiudizi iniziali. E questo cambiamento di opinioni ti farà ritornare, perché hai chiuso un pezzetto di te tra queste valli.

Citazione T. Tasso sulle scale dei Trep
ponti







Ferragosto: la Cultura in vacanza

15 agosto, Is Arutas.
Destinazione mare, Cabras, provincia di Oristano.
Mi trovo in una spiaggia affollatissima, che si estende per qualche centinaio di metri, come una baia tra due basse scogliere. La bellezza del mare d'estate incanta: una brezza leggera si alza dal mare, l'acqua è fredda, ma il suo colore verde acqua, così cristallino, ha un richiamo fortissimo. Camminando sulla riva, le onde travolgono le gambe, e i piedi affondano in quella sabbia, formata da granelli di quarzo tondeggianti, più piccoli dei chicchi di riso, perlopiù bianchi, ma anche con sfumature verdi, rosa, aranciate.
E ti ritrovi a pensare alla Cultura. Ti domandi come ti possa venire in mente pensare alla cultura quando intorno a te vedi collina, spiaggia, rocce, mare, un chiosco di legno oltre la spiaggia, e macchine, ombrelloni, persone.
Niente case a vista qui intorno. Niente costruzioni di comfort. Solo il brullo, verde, paesaggio sardo brunito dal calore del sole, e appiattito dal vento.


Arrivati alla fine della spiaggia incontriamo la scogliera, perlopiù scura e dall'aspetto ruvido e spugnoso.
Alla domanda: "Di che roccia si tratta?" nella mia mente si riaccendono le lezioni di petrografia.
E rientriamo così, in una giornata di mare, nelle C sm-Art People: Curiosare.
Sono forse in un ambiente di interesse culturale? Sono in un'area marina protetta, onorata di poterci spendere la mia giornata in costume, ospite di un paesaggio speciale.


Forse è bene proprio qui parlare di Cultura.
Per Cultura preservare i luoghi così come la Natura e il tempo ce li tramandano;
per Cultura realizzare che anche una bellezza di questo tipo è un bene del nostro territorio;
per Cultura ricordarci di non lasciare rimasugli in spiaggia;
per Cultura non portarsi via la sabbia;
per Cultura parlare di beni paesaggistici e ambientali riconosciuti nel Codice dei Beni Culturali;
per Cultura pensare a tutto questo come una risorsa, ma non come un luogo da sfruttamento selvaggio.

Cammino in direzione opposta. Torno indietro pensando che sia quasi un miracolo una non colonizzazione della zona: e dovrebbe restare così. Stiamo diventando così incapaci di camminare, di meravigliarci, di lasciare un angolo della Terra così come la Natura lo preserva fino a noi. E che qui il lato selvaggio della natura viene ancora risparmiato.


Mi immergo in quel mare, ne respiro l'essenza. Quando esco dall'acqua mi siedo per cercare il rumore di quei chicchi di quarzo che scorrono nelle mie mani

e ne osservo lo scivolare tra le mie dita.
Percepisco il cambiamento della luce, tutto sembra aranciato, sollevo lo sguardo, e mentre i toni caldi oscurano il blu del cielo, è già tramonto.


Is Arutas al calar del sole

Il richiamo delle "Canne al vento"

Questa sera sono tornata all'Ex Convento dei Cappuccini di Quartu Sant'Elena in occasione della manifestazione estiva Quartu Colora l'Estate 2013.
Devo dirmi stupita di trovare tante iniziative gratuite per la città che andranno avanti per oltre un mese, in orario serale, in belle location quali parchi, o luoghi di interesse storico quale il chiostro, salvo non comprendere l'incapacità di sponsorizzare fortemente l'iniziativa. 
Caro Comune, hai una pagina Facebook creata appositamente per la rassegna nel 2012: davvero è possibile che ad oggi tu abbia raggiunto 620 cittadini, che corrispondono allo 0.9% scarso della tua popolazione residente? Perché comunicare dell'iniziativa che inizia l'11 agosto solo due giorni prima? 
Caro Comune, i cittadini, che sono bravi a lamentarsi sui social, hanno però bisogno di sentirsi coccolati, di vederti presente e premuroso, ricco di iniziative. Spero che tu possa cogliere le loro esigenze, che nonostante tutto, hanno risposto al richiamo di Grazia Deledda.
L'associazione Figli d'Arte Medas ha proposto una lettura di "Canne al vento", capolavoro della scrittrice sarda, Grazia Deledda, nata a Nuoro nel 1871, che vinse il Nobel per la Letteratura nel 1926.
Con la rassegna nella rassegna "Geografie letterarie - Viaggio in Sardegna attraverso le pagine dei libri", il pubblico è stato portato in viaggio nella Sardegna di un secolo e mezzo fa attraverso la voce narrante di Gianluca Medas, accompagnato dalla musica dal vivo di Andrea Congia.



"Tutto il giorno Efix, il servo delle dame Pintor, aveva lavorato a rinforzare l’argine primitivo da lui stesso costruito un po’ per volta a furia d’anni e di fatica, giù in fondo al poderetto lungo il fiume: e al cader della sera contemplava la sua opera dall’alto, seduto davanti alla capanna sotto il ciglione glauco di canne a mezza costa sulla bianca “Collina dei Colombi”.

Eccolo tutto ai suoi piedi, silenzioso e qua e là scintillante d’acque nel crepuscolo, il poderetto che Efix considerava più suo che delle sue padrone: trent’anni di possesso e di lavoro lo han fatto ben suo, e le siepi di fichi d’India che lo chiudono dall’alto in basso come due muri grigi serpeggianti di scaglione in scaglione dalla collina al fiume, gli sembrano i confini del mondo."

Inizia così il viaggio degli attenti spettatori, guidati dal suono del racconto, fino al poderetto e al fiume, uno sfondo torrido, ma agitato dal vento, animato da spiriti e allo stesso tempo fatalmente umano. La Sardegna descritta dalla Deledda ha il sapore della vita di un piccolo paese, lontano dalla frenesia del progresso, immerso nei ritmi ancestrali della terra e della festa. Forse questa atmosfera non è poi così lontana dai piccoli centri disseminati nelle varie regioni del territorio italiano... 

Ben presto ci accorgiamo che le dame Pintor, Ruth, Ester e Noemi, un tempo simbolo del paese, ora nobili in decadenza, oltre alla loro condizione sociale, assistono al declino della propria giovinezza e della propria vitalità. E con loro, Efix il loro servo, e Giacinto il loro nipote, entriamo nel vortice della debolezza umana...

ed esco da questa atmosfera con le parole di colui che si è definito un vecchio narratore:
nell'era delle comunicazioni, non siamo più capaci di esprimere le nostre emozioni, e la bellezza sta lì, nella loro completezza. 
Ricerchiamo la bellezza delle parole, del loro suono, della sensazione che vogliamo suscitare. 
E mentre mi stendo per riposare, il mio pensiero torna a quel libro dalla sovracoperta color arancio e blu, letto e ri-letto, come se ancora mi mancasse una parte della sua essenza.
Nella sua lettura mi sono sentita parte viva di questa terra che porto dentro di me, che chiudendo gli occhi posso respirare, che porto nei miei tratti e nei miei atteggiamenti come i personaggi del libro. 
Il romanzo lascia un che di polveroso, un senso di inesorabile scorrimento del tempo, un senso quasi di impotenza all'incessante avanzare della decadenza.. ma noi oggi, riunendoci in un chiostro ad ascoltare una vecchia storia, ci siamo fatti attirare dall'incantesimo del racconto nella sua forma più tradizionale.
Quasi cento persone erano lì stasera. Come chiamare questo richiamo?
Io lo chiamerei il richiamo della bellezza, della riscoperta delle piccole cose, della piazza affollata solo per sentire una storia che potrete vivere leggendo il romanzo alla fine di una torrida estate.

"Sì, siamo esattamente come le canne al vento. 
Noi siamo le canne e la sorte il vento".
Ester "Sì, va bene, ma perché questa sorte?"
Efix: "E perché il vento? Solo Dio lo sa"

Luoghi: Sulle orme di Spartaco



Inauguro la mia rubrica "Luoghi" tornando con la mente a circa un mese fa. Era il 09 di luglio e nell'assolata Campania decido di dedicarmi alla visita dell'anfiteatro di S.Maria Capua Vetere, attuale denominazione della città romana di Capua, definita da Cicerone "La seconda Roma". Era famosa in tutto l'impero per la bellezza dei luoghi, il clima gradevole e per la presenza delle scuole di gladiatori, tenute da nobili possidenti, i lanisti. 
Da qui nasce la fama di questo luogo legato ad un personaggio, Spartaco, che attuò la rivolta degli schiavi che (concedetemi la licenza di spaziare tra le gesta greche e romane) "infiniti lutti addusse" ai romani  tra il 73 e il 71 a.C. Il sito vanta però altri primati che in questo breve mio intervento vorrei sottolineare compiendo una visita per parole ed immagini che vi faccia ripercorrere i bei momenti di un luogo magico. Si comincia dal piazzale che si affaccia sul sito. Da qui si ammira l'anfiteatro del I secolo d.C., i resti della necropoli del IV secolo a.C e le fondamenta dell'anfiteatro di età repubblicana (130-90 a.C) che vanta il primato di essere l'unico teatro stabile al mondo conosciuto di quell'epoca, in concorrenza con quello più famoso di Pompei eretto nel 70 a.C. 
Già da questa panoramica si percepisce la sacralità del luogo, dedicato fin dagli inizi a riti di commemorazione funebre che furono all'origine della tradizione gladiatoria. Lo spettacolo si ha però oltrepassando la soglia d'ingresso (per noi, io e mia sorella, umili visitatrici di una calda estate, sbarrata all'inizio da una transenna che in autogestione abbiamo dovuto spostare). 

Arena

Davanti ai vostri occhi si dischiude la grandezza di Capua. L'anfiteatro "imperiale", costruito nel I secolo d.C., è secondo per grandezza solo al Colosseo ed ha un sistema di gestione degli ingressi e una caratterizzazione architettonica da fare invidia ad osannati architetti ed ingegneri contemporanei. Il sistema di accesso degli spettatori era regolato da un ricco gioco di archi e pilastri collegati da corde e/o transenne. Ogni settore era distinto con chiavi d'arco raffiguranti divinità, tra le quali Giunone, Minerva e la personificazione del fiume Volturno  visibili in tutta la loro bellezza nel museo dei gladiatori al lato dell'anfiteatro dove, tra l'altro, vi sono resti delle transenne divisorie con temi animaleschi, ricostruzioni di armi e corazze dei gladiatori e un plastico che riproduce l'anfiteatro nella sua interezza. Doveva essere un'opera straordinaria con decorazioni in marmo alternate a cavea e arena in pietra. 
Per saggiare una piccola parte di quella che era la magnificenza del luogo, dall'arena basta voltarsi verso est: davanti a voi si profila la facciata originaria costruita su quattro livelli in cui si riconoscono teste di divinità all'incrocio degli archi e finissime colonnine doriche. 
Facciata lato est 
Queste facciate davano accesso diretto all'arena e se vi ponete al centro di essa potete ammirare i 4 ingressi principali e la maniacale divisione di posti e spazi facilmente distinguibili grazie all'alternanza di materiali e all'abile gioco architettonico. Prima di entrare nel cuore della visita vi indico un ultimo dettaglio: sul lato nord sono visibili i resti di una chiesa insediata nel IV/V secolo d.C. della quale resta l'altare e residui di affreschi, purtroppo non visitabili da vicino per la presenza di transenne che la escludono dal percorso di visita. 
Arena lato nord









Il miracolo vero e proprio accade, però, accedendo ai sotterranei suddivisi in nove corridoi lunghissimi dove si può ammirare lo spectaculum (la macchina da spettacolo) che consentiva ai gladiatori di accedere all'arena e cominciare i loro combattimenti, mentre in corrispondenza dei lati dell'arena vi erano le aperture per consentire l'accesso degli animali, protagonisti della venationes, i giochi che prevedevano il combattimento tra animali o dei gladiatori con gli animali (di solito belve catturate nella campagne di guerra in Africa).
Sotterranei
La visita ai sotterranei è un'esperienza unica a mio avviso che unisce l'interesse per la conoscenza di queste mirabolanti strutture architettoniche al sentire, seppur lontano nel tempo, dell'eco di quella gloria fugace che ebbero quegli schiavi di fronte allo spettacolo che offrivano ai romani. Vi è, poi, un sistema idrico di gestione delle acque detergenti che venivano spruzzate sulla folla quando la calura e la spossatezza di intere giornate sulle gradinate si facevano sentire. Il sistema di diffusione delle acque, tuttora funzionante, è il fiore all'occhiello dell'ingegneria romana, famosa nel mondo per gli acquedotti, i progetti fognari e il convoglio delle acque.

Sotterranei

Il sito dell'anfiteatro campano è un luogo che resta nel cuore perché è sorprendente come si avverta la romanità in una città non vicinissima alla capitale. Conserva, sebbene rimanga inserita in un contesto ormai ultramoderno, quel sapore quasi mitologico che caratterizza la storia romana.
Gli scavi di questi luoghi sono cominciati nel lontano 1726 e nei secoli hanno subito diverse sospensioni e riprese (io stessa nel lontano 2002 feci un tirocinio presso lo scavo). Attualmente è gestito da un'azienda privata che ha investito in collaborazione con il ministero nel progetto di recupero dell'area realizzando un punto ristoro e servizi di accesso al sito.
Devo però sottolineare delle mancanze che interrompono il filo magico della visita: le foto vi dimostreranno l'incuria a cui è sottoposto l'anfiteatro, senza considerare il totale abbandono delle strutture, dato che non abbiamo avvistato nessun custode all'interno del sito. Aggiungerei l'assenza di personale qualificato che possa offrire informazioni ai turisti che arrivano al luogo. La biglietteria e il punto ristoro sono un tutt'uno; il bookshop allestito nelle sale del bar (dove ho comprato una breve guida, datata e davvero scarna) non risponde ad una precisa selezione di testi che potrebbero completare la visita.
Un'opera di salvaguardia è stata comunque compiuta e diamo atto di impegno negli ultimi anni anche da parte del comune che sta realizzando una serie di iniziative volte a sponsorizzare e valorizzare il sito. A tal proposito vi segnalo l'iniziativa "Invadeteci sotto il cielo di Spartaco" i cui dettagli sono a questo link
La strada però è lunga. Si potrebbe prendere spunto proprio da Spartaco: coraggio nelle scelte, nella costanza e nell'attenzione ad un progetto condiviso di promozione del territorio, compartecipato con istituzioni e cittadini. 

Orari di apertura: dal martedì alla domenica dalle 09:00 fino ad un'ora prima del tramonto.

Valore Cultura ad andamento lento



Roma 02 agosto 2013. Data storica per la cultura; dopo circa 30 anni di silenzio, dal Mibac il ministro dei beni culturali e del turismo Massimo Bray presenta un decreto dal titolo emblematico: "Valore Cultura". 
Due termini che accostati sembrano una bomba ad orologeria pronta a scoppiare al primo tocco. E in un certo senso la bomba c'è. Dopo anni di peregrinazioni e tribolazioni il Mibac, ridotto ormai ad un fantasma, come l'araba fenice sembra risorgere dalle proprie ceneri, sebbene lo faccia a piccoli passi. 
Il decreto, le cui slide potere consultare qui, presenta novità incoraggianti volte ad inaugurare un percorso caratterizzato da trasparenza e fiducia in un settore che finalmente deve prendersi la rivincita da anni di dimenticatoio e porsi come risorsa fondamentale per la rinascita del paese. Vanno riconosciute al ministro Bray l'attenzione, l'impegno e la partecipazione alla costruzione di un nuovo corso per la cultura e gli interventi mirati a rilanciare il sud ne rivelano le radicate competenze e la profonda conoscenza del settore e delle sue risorse. 
Voglio dargli fiducia nel progetto Pompei semplicemente perché non abbiamo scelta vista l'incombenza del commissariamento europeo e auspico che questo diventi un incipit florido per il futuro dei nostri siti archeologici che da questo progetto possano trarre linfa per alimentare buoni prassi di gestione e conservazione. 
Trovo, inoltre, meraviglioso il provvedimento dedicato alla lirica, alla musica e ai teatri che finalmente possono respirare e ritornare in auge con il loro ruolo cruciale di portare alta la tradizione lirico musicale in tutto il mondo. 
Chiudiamo in bellezza con le note positive facendo riferimento al ritorno al Ministero degli incassi provenienti dalla vendita dei biglietti. Per quale assurdo e incomprensibile motivo nel 2008 vennero destinati alle casse statali? Si trattava di una norma becera che non rendeva giustizia agli sforzi del ministero e ai contributi dei visitatori che quei luoghi avevano apprezzato. 
Veniamo, però, ai nodi del decreto che non cambiano la situazione delle assunzioni e dell'inserimento di professioni specializzate nell'ambito della gestione, conservazione e valorizzazione del patrimonio artistico-culturale. 
Per il progetto Pompei, oltre al direttore dei lavori, sono previste  cinque figure professionali: una giuridica, una economica, una architettonica, una urbanistica e una infrastrutturale. In un sito archeologico non sarebbe più logico prevedere archeologi, restauratori e conservatori per la messa a punto del progetto? Per anni Pompei è stata gestita da economi, architetti e ingegneri. Risultato? Debiti, mancanza di trasparenza e crolli. Di certo il problema non sta nelle qualifiche, ma credo sia assolutamente necessario il riconoscimento professionale per gli addetti ai lavori. Si tratta di figure specializzate ed assolutamente in grado di gestire pianificazioni di questo tipo. 
Altra questione è quella del tirocinio: 500 laureati under 35 per inventariare, catalogare e digitalizzare il patrimonio. Vorreste dirmi che per digitalizzare il patrimonio basti un tirocinio di un anno? Perché ancora una volta illudere 500 persone? E perché proporre qualcosa di già visto? Culturaitalia ed Europeana non bastano come esempi a testimoniare lo scempio in cui versano questi progetti?
Su questo avrei una proposta: perché non pensare ad un progetto nazionale di "Cultura Digitale"? Dividere i lavori per regioni ed istituire organi stabili e competenti per la gestione delle risorse multimediali. Internet e i digital content sono la nuova frontiera. O vogliamo ancora restare chiusi nei nostri musei.... chiusi? Bisogna investire sulla forza lavoro di tutta una fascia di persone che è pronta per cominciare questa rivoluzione. Siamo stati formati per questo ed è giunto il momento di darci un'occasione. Ho trovato molto interessante a tal proposito il post del professor Giuliano Volpe che appunto analizza la questione del digitale non come "un gioco da ragazzi" e mette sul piatto una concreta buona prassi da cui prendere spunto. Si dovrebbe cominciare da qui invece di proporre tirocini senza sbocco. 
L'ultima riflessione, last but don't least, la rivolgo all'idea del "Polo museale di Napoli e Caserta" e lo faccio con una punta di affetto essendo casertana. Conosco bene la situazione del territorio ed, ahimè, conosco l'incuria e l'abbandono in cui versano siti archeologici, medievali e settecenteschi che dalla Reggia distano pochi chilometri. Mi chiedo allora: perché accostare la Reggia (e San Leucio) a Napoli senza considerare l'importanza e la vastità di un territorio cardine della cultura contadina, artigiana e culturale dell'intera nazione? L'alto casertano è la regione che diede alla Campania l'appellativo di felix in epoca romana e la denominazione "Terra di lavoro" con la quale da secoli viene passata alle cronache le è stata attribuita proprio per la ricchezza di terre, coltivazioni e cultura: dai templi delle Matres Matutae alla grandezza di Capua; dalla scuola napoletana del Solimena alla bellezza della Reggia di Carditello. Non meriterebbe da sola una sovrintendenza per il rilancio di una terra abbandonata a se stessa?
Chiudo il post con mille interrogativi sperando in esaudienti risposte e confronti. 
Ringrazio il ministro e gli auguro buon lavoro, ma credo che bisognerebbe stare attenti a questi "dettagli". Sono le piccole cose che fanno le rivoluzioni e queste mie riflessioni vogliono solo essere uno sfogo di idee confidando in una futura direzione in questo senso. 
"Rome wasn't built in a day" cantava qualcuno; bisogna, però, cominciare da buone fondamenta per entrare nel mito.
Ad maiora, Bray.

La notte delle creature genera mostri... di riflessione


Lunedì 22 luglio 2013 è andata in scena a Ravenna in Piazza del Popolo "La notte delle creature", spettacolo en plein air di acrobati, tessutisti e danzatori, organizzato dal Comune di Ravenna e dall'Accademia Perduta/ Romagna Teatri. Il tutto per festeggiare la ricorrenza più importante della città: il festeggiamento del patrono, s.Apollinare. Spettacolo superbo e accattivante che ci ha tenuti incollati al palco per un'ora e 30 circa. 
Subito dopo, per completare il tutto, ho assistito a "Il cielo dorato a S. Apollinare Nuovo", installazione di video mapping architetturale a cura di Andrea Bernabini che ha omaggiato gli 8 siti Unesco della città con immagini di mosaici e giochi geometrici a ritmo di musiche celestiali.
Al di là delle performance o delle qualità tecniche, sceniche e fisiche degli artisti, e oltre la bellezza del video proiettato sulle architetture, quello che mi è rimasto della serata sono state delle domande, scaturite dall'impressionante fiumana di gente che si è accalcata per assistere agli spettacoli. 
Perché tutta questa gente? Perché tutti interessati alla cultura, all'arte e alla storia della città?
Senza dubbio da ravennate acquisita e conoscitrice di molte altre realtà fuori dalla città, riconosco a Ravenna la particolarità di fare della cultura e dell'arte il leit motiv della loro vita cittadina. C'è, però, qualcosa di diverso; un'attenzione che prescinde questa predisposizione. 

Queste domande le rivolgo anche a voi lettori sperando in una risposta illuminante. 
Quello che invece mi sono risposta io è che non potrei vivere senza. E non potrei vivere rischiando che questo scompaia. Sembra blasfemo eppure il nostro patrimonio è sempre più in balia della noncuranza e dell'indifferenza delle istituzioni, capaci di ergerlo ad orpello nelle sale istituzionali e nelle stesse, girando le spalle, condannarlo a morte certa. Sarò catastrofica eppure non posso esimermi dal dichiararlo. 
Ho scelto la strada difficile della cultura, dove o sei volontario o non hai possibilità di accesso. Eppure non tornerei mai indietro, non cambierei mai rotta perché se c'è qualcosa che mi fa sentire vivo è questo ripercorrere il passato con occhi sempre nuovi e moderni, rivivendolo alla luce di quello che adesso è la nostra arte.
La rabbia che ti sale quando scopri che ci sono uffici che dovrebbero essere riempiti, luoghi culturali da valorizzare, tutelare e conservare, beni culturali da rimettere in sesto, opere che necessitano di restauri,  è indescrivibile. Dove siamo tutti quando la cultura si spegne? 
La calca assiepata per s. Apollinare Nuovo perché non riconosce il valore di questo inestimabile patrimonio e si impegna a preservarlo? La cultura è il frutto della mente delle persone, di una determinata società che ha fatto in modo di conservarla nel tempo. 


Un uomo che metaforicamente conquista la Luna volteggiando nel cielo, moderni atleti che ricordano quelli olimpionici fissati nel marmo di Fidia che sfidano la forza di gravità, lotta perenne tra bene e male, il bianco e il nero dell'anima e poi i versi di Dante sono solo un breve sunto di quello che accade in una piazza gremita, carica di simboli eterni di storia di uomini che l'hanno resa grande. 
Calato il sipario, però, si torna alle nostre vite attendendo chissà quando un momento così. Solo il mio pensiero resta lì a cercare di capire come posso far in modo che lo spettacolo non finisca mai e che il mito del nostro passato e l'arte del nostro presente siano reali e vissuti generando ricchezza, sia essa spirituale o materiale. 
Il tempo mi darà risposte o rassegnazione? 
Nescio, sed fieri sentio et excrucior. 






Il Cielo Dorato di Sant'Apollinare Nuovo

Da qualche giorno e fino a stasera, sulla facciata della Basilica di Sant'Apollinare Nuovo, a partire dalle 22, è possibile vedere Visioni di Eterno 2013, un progetto di Video mapping architetturale 3D, ideato dall'artista Andrea Bernabini per la città di Ravenna.
Terminata la Notte delle Creature ho avuto il piacere di assistere alla folla di persone che desideravano entrare nello spazio antistante la Basilica per vedere questa installazione di luce. E questo non è solo festa, è Cultura, è ciò che un evento legato alla storia e all'arte può smuovere in una sfumatura moderna, supportata dalle nostre tecnologie.



Parte la visione, la musica, compare un ingranaggio che smaterializza la Basilica per poi illuminarla e decorarla di inconsueto. I mosaici scorrevano sulle superfici murarie come se queste non potessero scalfirle coi loro pieni e vuoti...



Fino a quando il fluido del tempo sembrerà portare via queste visioni per portarci sul piano architettonico, come un gioco di montaggio e smontaggio di pezzi costruttivi differenti.




La visione continua nella smaterializzazione del campanile, nel pensiero di una donna, nell'alchimia di medaglioni mosaicati che risalgono in un cilindro come bolle in un acquario.






Ma la Basillica stessa richiama la sua essenza spirituale con un suono ed una visione d'organo, una panoramica dei mosaici dedicati a Sant'Apollinare, fino a quando la visione lascia spazio ad uno scrigno di ingranaggi astrali che ci riportano al nostro tempo.






Il progetto è in collaborazione con l'Assessorato al Turismo e alla Cultura del Comune che prevede le proiezioni di mapping architetturale sugli otto monumenti Unesco della città.


Di seguito potete vedere il mapping architetturale 3D sul Mausoleo di Teodorico, realizzato nel 2012.




Il cielo Dorato di Sant’Apollinare Nuovo
Installazione Video mapping architetturale 3D
Director: Andrea Bernabini N.E.O. Visual Project Ravenna
Visual 3D:  Sara Caliumi, Roberto Costantino, Prospectika
Sound design:  Davide Lavia
Consulenza storica Giovanni Gardini
Produzione Servizio Turismo e Attività Culturali del Comune di Ravenna
Con i finanziamenti della Legge 77/06

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