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Così il San Carlo di Napoli divenne il teatro più bello d’Europa

L'incendio del Teatro San Carlo di Napoli del 1817 di Salvatore Pergola.
13 febbraio. Il teatro San Carlo di Napoli, il più antico teatro d’opera ancora attivo in Europa e nel mondo, durante una prova costumi di duecento anni fa andò a fuoco. 
Così, nel 1817, l’intero salone settecentesco voluto per il teatro da Re Carlo di Borbone e fondato nel 1737, venne perduto. Le fiamme avevano ridotto il salone principale e il palcoscenico in cumuli di macerie che per giorni fumarono oltre le cime della città. Lo sfortunato evento colpì l’immaginario di diversi pittori tra cui Salvatore Fergola e Luigi Gentile.
L'incendio del Teatro San Carlo di Napoli del 1817 di Luigi Gentile.
 L’incendio aveva colpito la vetrina stessa del prestigio della monarchia: far rinascere il teatro nella sua bellezza era l’unica strada percorribile. A dieci giorni dall’incendio, Ferdinando IV di Borbone ordinò la sua ricostruzione con un decreto regio
“nel più breve tempo possibile e nella stessa forma e decorazione”.
La ricostruzione fu complessa per l’ingenza dei danni: per sessanta giorni 400 uomini si occuparono solo di spostare le rovine. 
Artigiani da tutto il regno vennero chiamati per completare il progetto dall’architetto toscano Antonio Niccolini mentre Giuseppe Cammarano dipingeva il velario del soffitto con la rappresentazione di Apollo che presenta a Minerva i più grandi poeti del mondo, le Ore, le Muse e il trionfo di Partenope, la ninfa che dà nome alla città.
In quell’anno gli spettacoli non si fermarono grazie all’organizzazione di Domenico Barbaja, che oltre ad occuparsi dell’impresa di costruzione, gestiva i Regi Teatri di San Carlo, del Fondo, dei Fiorentini e le loro sale da gioco.
Niccolini, d’altra parte, riprogettò il teatro tenendo conto di alcuni fattori che egli riteneva facessero torto alla sua bellezza e modificandoli. Tra questi 
“l’ignobilità del Proscenio, la soverchia altezza risultante sulla moltiplicità degli ordini e da’ finti colonnati rappresentati nel soffitto, la disposizione della Platea ed i Parapetti de’Palchi i quali eccedendo in altezza nascondevano di troppo le persone sedute”.
Ricollocò il lampadario non al centro della sala, ma verso il fondo, perché la luce non intaccasse l’illusione della scena. Così egli rese il nuovo teatro una sala unica al mondo, ponendo la sua attenzione ai dettagli ed alle persone, tenendo conto nel suo lavoro anche dei colori degli abiti, generalmente dai toni tra il blu, l’oro e l’argento, 
“perché i vari colori delle vesti, e degli abbigliamenti degli Spettatori avessero un campo semplice ove poter brillare.”
Il teatro San Carlo di Napoli (foto: Wikipedia)
Eppure, dopo solo un anno, il 12 gennaio 1817, nel giorno del compleanno dell’Imperatore Ferdinando IV, il nuovo San Carlo venne inaugurato. Henry Beyle, lo scrittore francese noto come Stendhal, presente all’inaugurazione del 1817, scrive:
Gli occhi sono abbagliati, l'anima rapita. […] Questa sala, ricostruita in trecento giorni, è come un colpo di Stato. Essa garantisce al re, meglio della legge più perfetta, il favore popolare. […]Non c'è nulla, in tutta Europa, che non dico si avvicini a questo teatro, ma ne dia la più pallida idea.

E raccontava ai suoi lettori d’oltralpe la magnificenza dello spettacolo di apertura, Il Sogno di Partenope, melodramma scritto da Giovanni Simone Mayr su libretto di Urbano Lampredi. Qui, per onorare il sovrano e la ricostruzione del teatro, si metteva in scena proprio l’incendio che lo aveva distrutta. Ma una nuvola che cadeva dal cielo tra Partenope, Apollo e Minerva faceva capire agli spettatori che era stato tutto un sogno. Mentre si compiva il ballo La virtù premiata coreografato da Salvatore Viganò, il teatro era lì, più reale e più splendente che mai, trionfante di oro, seta e cristalli.

Il teatro San Carlo di Napoli (foto: Wikipedia)

Arte sotto la luna

Arte è tutto ciò che smuove la nostra anima e ci fa sentire un'emozione, un battito, un brivido, attrazione.. tutto ciò che per un attimo ci sospende dalla vita "quaggiù sulla terra".
Come dare una definizione all'arte, di qualunque ambito essa sia?
La definizione di un bene culturale è spesso così asettica da farci dimenticare l'emozione e l'ammirazione che esso può provocare. 
E sotto arte e artisti oggi scrivo ripensando all'incontro con la compagnia dell'Odin Teatret, a Ravenna con lo spettacolo "Le grandi città sotto la luna". Uno spettacolo musicale, avvolgente, che ci accompagna in ricordi di esilio, stragi e soprusi del XX secolo, noi che iniziamo a sentircene estranei, noi beffati dal sole e dalla luna che ignorano malinconia e consolazione. Ma in questo spettacolo non ci sentiamo schiaffeggiati dall'aspetto più crudo delle realtà portate in scena: siamo solo cullati dalla musica, accompagnati dagli attori in un viaggio per immagini non volgari ed equilibrate. E anche quando trovate un senso, lasciatevi guidare e seguite gli attori sotto la luna. 

L'Odin Teatret l'anno prossimo compirà 50 anni di attività, "una leggenda di cui ognuno può fare quello che vuole, appropriarsene, trasformarla" dice Eugenio Barba, un teatro che si è fatto guidare dalla poesia, che "non da buone risposte, ma pone buone domande".

"La conoscenza di un qualcosa, lo corrode per impregnarlo di sé, di paure, di emozioni, di fatica" dice anche il regista nel raccontare il come nasce un percorso di ricerca e crescita. 
E nonostante i nostri mondi siano così lontani, nonostante le mie domande e le mie ricerche si riferiscano a un mondo "tecnologico" in continua evoluzione e virtualizzazione della realtà, quasi un allontanarsi dalla ricerca interiore... io sto costruendo un futuro, e vorrei farlo come se srotolassi una poesia. Voglio portare sulla "scena" le mie idee, i miei valori, la mia fatica e la mia inventiva in un progetto chiamato Tùkè, in una continua lotta perché la Cultura venga salvaguardata e valorizzata. 

"[...] fate attenzione, c'è una luce nascosta nei poeti. 
Cercate di percepirla per nutrire quel grano di follia
 che ognuno porta dentro di sé, 
e senza il quale è imprudente vivere" 
(Garcìa Lorca)

Ritornare a teatro

Finalmente, dopo tanto tempo, andrò a teatro.
Ieri ne sono stata tentata, ma mi sono fatta sfuggire l'occasione.
Oggi, no. Ho il mio biglietto, e mi gusto l'arrivo al teatro.
Vorrei essere certa di vedere uno spettacolo che mi piacerà.
Vorrei sapere di uscire dal teatro soddisfatta di esserci andata.
Eppure non voglio sapere più del titolo di ciò che andrò a vedere.
Non voglio leggere la presentazione dello spettacolo se non quando arriverò in sala, al mio posto.
Non voglio farmi illusioni coi testi che ci propinano prima dello spettacolo.
Arriverò al teatro, sentirò il chiacchiericcio delle persone, consegnerò il mio biglietto alla maschera di sala, entrerò nella polverosa e pastellata platea, mi siederò al mio posto, imprecherò per il dovermi contorcere per vedere per bene il palco e troverò sistemazione.
Spererò di distrarmi da tutto ciò che è la mia vita quotidiana, di tuffarmi in un mondo che solo per qualche ora sarà vivo anche per me sul palco.

Alla fine, probabilmente insoddisfatta dello spettacolo, rientrerò nella fredde strade della città, guarderò il cielo, mi chiederò dove sono finite le stelle... e mi farò travolgere dal proseguimento della serata.

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