Cerca nel blog

Collaboratori smartiani

Labels

Copyright by Adele Iasimone e Laura Solla. Powered by Blogger.

Featured Posts

Social Networks

About us

Recent Posts

Video of the Day

Flickr Images

Like us on Facebook

Most Trending

Popular Posts

Visualizzazione post con etichetta luoghi. Mostra tutti i post

Luoghi smartiani:Tasselli di storia: la Cappella di Nostra Signora di Bonaria in Quartu Sant'Elena

Facciata della Basilica di Sant'Elena Imperatrice e della adiacente Cappella di N.S. di Bonaria,  Quartu Sant'Elena
Basilica di Sant'Elena Imperatrice e Cappella di N.S. di Bonaria,
Quartu Sant'Elena

Piazzale della Basilica di Sant'Elena Imperatrice. Su questa terra il sole, anche ai primi di gennaio, stempera la pelle e ha insinuato il tepore in tutte quelle persone che, dopo la celebrazione della festività dell'Epifania, si sono fermate a salutarsi, a dare senso a quella piazza che, pur centrale, ha perso la sua funzione comunitaria e sembra ogni tanto riprendersela.


Questa mattina, su quel piazzale, mi sono fatta attrarre da un portone che per anni ho visto chiuso, che nella mia infanzia era chiuso. Così oggi a quella porta aperta non ho potuto resistere.
Tornata per le feste nella mia terra natia, a Quartu Sant'Elena, cittadina in provincia di Cagliari, mi soffermo ad osservare la facciata di questo spazio architettonico, tendente, nella sua semplicità, al barocco spagnolo sull'isola. Mi domando se potesse essere questo il primo impianto dell'adiacente Basilica di Sant'Elena, cresce la curiosità, mi avvicino, osservo il pavimento, ed entro.

Avanzo fino ad arrivare a curiosare nella seconda cappella laterale sulla sinistra: due statue policrome sopra un mobilio in legno dipinto sulle tonalità del verde. Osservo le decorazioni della tunica, cerco di fissarle nella mia mente per creare dei collegamenti ad altre opere locali.

Incuriosita, mi faccio raccontare di più da un confratello.



Statue lignee policrome rappresentanti la Buona Morte e la Buona Sorte, fine XVII secolo
Buona Morte e Buona Sorte, fine XVII secolo

Si tratta di due statuine gemelle, di matrice spagnola e risalenti alla fine del XVII secolo. Rappresentano la Buona Morte e la Buona Sorte, un culto affermatosi a Saragozza nel 1681 dopo la peste. Le due Madonnine con bambino in braccio sono speculari, ma nella prima il Bambino ha tra le mani un teschio, nella seconda, mancante di un braccio, non si osservano segni particolari. 
Un riferimento al dolore per chi ha perso qualcuno, per chi lotta nella sofferenza, per chi prega di non ammalarsi, per chi forse supplica, infettato, di morire o di salvarsi rimettendosi alla volontà della Sorte, perché quale uomo non ha paura all'incombere dell'ignota morte? 


Statua policroma di N.S. di Bonaria,
Quartu Sant'Elena
Mi giro verso il fondo dell'unica navata: una grande statua lignea policroma svetta all'interno di una pala lignea. La Sardegna è notoriamente devota alla Madonna di Bonaria: così la parrocchia di Sant'Elena Imperatrice volle seguire questa tradizione e, si dice seconda città in Sardegna, commissionò ad un artista della scuola napoletana una statua che, eseguita nel 1872 arrivò nell'isola all'inizio dell'anno successivo, e dopo la sua benedizione a Cagliari, fu portata a Quartu Sant'Elena tra folle festanti... arrivò d'oltremare "vestita" di tunica e manto, ma su quest'isola ricevette un velo bianco, corona e navicella, poiché lei è la protettrice dei naviganti.
La struttura in legno che ospita la statua non rispecchia oggi le sue dimensioni e forme originali poiché questa non era la sua collocazione, e la sua altezza supera quella della cappella. Le parti restanti sono state conservate, ed ora una parte della storia delle tradizioni religiose della cittadina è ancora accessibile, tutti i sabati e tutte le domeniche.

All'interno della cappella di Nostra Signora di Bonaria vi erano inoltre un forziere del '600, ligneo e rivestito di metallo, un Cristo in croce portato in processione, della stessa epoca, la cui croce è stata sostituita, un antico stendardo della confraternita, due troni lignei che fino a qualche decennio fa si trovavano in Basilica, una croce moderna con i simboli del martirio, forse ripresa dalle piccole croci con gli stessi simboli appesi in alcune strade della città e che vorrei andare ad osservare, e la croce de "su scravamentu", una tradizione antica, in uso fino a meno di un secolo fa in Quartu, rivisitazione della deposizione di Cristo.

Quanto è affascinante farsi raccontare ciò che è ormai dimenticato, nell'oblio di ciò che troppo spesso è considerato solo un fardello legato a pesanti tradizioni religiose snobbate e surclassate da nuove correnti di pensiero, da nuovi stili di vita, ma come dimenticare che questa è la nostra storia? Lo è anche quando in essa non ci riconosciamo più e ce autodiserediamo.

Incalzo sul confratello: "Ma questo può essere un primo impianto della Basilica di Sant'Elena Imperatrice?"
Il piccolo edificio, noto come Ex oratorio delle anime, è stato costruito tra il 1754 ed il 1755: ad aula unica con volta a botte, presentava un transetto, due cappelle sulla destra ed una sulla sinistra. All'esterno, i muri perimetrali sono sovrastati da una cornice dentellata. In facciata, sopra il portone si apre una finestrella ottagonale, si conclude con una cornice modanata, e centralmente un semplice campanile a vela. 
Nel 1818-25 la seconda cappella a destra ed il braccio del transetto furono demoliti nella ricostruzione dell'attuale Basilica a favore di una nuova cappella.
La consacrazione della cappella avvenne nel 1761 per decreto vescovile: si trattava della cappella cimiteriale, ma perse la sua funzione quando fu inaugurato l'attuale cimitero della città, intorno alla chiesa di San Pietro in Monte nella seconda metà del XIX secolo. Qualche anno dopo la cappella fu affidata alla confraternita di Nostra Signora di Bonaria che, rinata, se ne occupa tuttora. 
Il mio dubbio è stato fugato, la Basilica, come avveniva in passato ed avviene tuttora, è costruita su fondamenta antiche, ma questa cappella pare nata con altre funzioni.

Così la storia e l'arte isolana sono giunte a me inaspettate, come un bel regalo di fine festività, come un tassello di memoria da tramandare, come un prezioso libricino di racconti, come un filo da snodare nel viaggio in questa isola che troppo spesso non si vede abbastanza.

Luoghi: Comacchio, l'isola che non c'è


In un assolato Ferragosto che per fortuna poco ha ceduto all'afa mi dirigo a Comacchio, piccola cittadina in provincia di Ferrara che rappresenta il comune più importante del Delta del Po. 
Pensando a cosa potevo sapere e/o immaginare di quel luogo, nella mia mente ho vagheggiato tante definizioni.

Somiglia a Venezia, ma NON è Venezia, 
Affaccia sul mare, ma NON ha l'acqua salata
Si trova sul Delta del fiume Po, ma l'acqua NON è dolce
E' l'unione di tante isole, ma NON è un'isola
Si trova in Emilia ma NON è Emilia
Sembra Veneto, ma NON è Veneto
Le barche NON le chiamano barche, ma le chiamano comacine.

Tutti questi NON mi hanno ispirato per cercare la peculiarità di questa terra sospesa tra il fiume e il mare, tra la terraferma e l'isola, tra storia recente ed origini antiche. 
Furono gli etruschi a darle i natali, sfruttando le acque che cingevano le originarie 13 isole che componevano la valle, tanto vicine da diventare una sola. Il sito archeologico di Spina racconta le origini etrusche di Comacchio, le quali tra i cittadini di oggi sono motivo di vanto (si pensa che addirittura il nome derivi da un termine etrusco che significa "accumulo di dossi").
Trepponti

Fu poi dominata in gran parte da poteri pontifici che le hanno dato l'aspetto di oggi, in particolar modo nei due monumenti che caratterizzano la città: il duomo di san Cassiano, dell'VIII secolo ma ricostruito più volte nei secoli a venire e il Trepponti, struttura architettonica davvero unica che tiene uniti cinque canali al quale si accede tramite cinque scale. Ai lati ci sono due torri che riprendono il cappello cardinalizio, simbolo appunto della dominazione papale. Era la porta d'ingresso alla città e fu realizzata nel 1634 da Luca Danesi sotto la commissione del cardinale G.Battista Pallotta. I materiali utilizzati che si intrecciano di continuo nelle architetture di Comacchio sono il cotto e la pietra d'Istria. Il cotto veniva realizzato sfruttando l'argilla naturale tipica delle zone, ma che in questa regione era talmente malleabile da non richiedere tanto lavoro e l'origine salmastra le dava la possibilità di indurirsi facilmente; mentre la pietra d'Istria veniva trasportata lungo i canali e la laguna, i cui collegamenti giungevano sino a Ferrara.
I palazzi sono quasi tutti in pietra d'Istria ed hanno architetture inusuali quasi a voler reinterpretare forme che ricordano altri usi. Ad esempio, l'ex ospedale san Camillo che ricorda in facciata l'ingresso di un tempio o di una chiesa medievale, edificato tra il 1778 e il 1784 per volere del cardinale Francesco Carafa.
E poi c'è il cibo, quell'inconfondibile profumo che si diffonde in tutti i vicoli della città. Piatto tipico è l'anguilla, pesce che loro catturano mentre migra in mare per la riproduzione. Da qui nasce la sua coltivazione che è diventata addirittura presidio slowfood.
E infine il vino, cabernet e trebbiano che prendono il nome di vini del bosco Eliceo, doc delle valli di Comacchio che si distinguono per il loro sapore a metà strada tra l'argillosità dei terreni e il sale delle acque. Sapore inconfondibile che ben si adatta ad ammorbidire la grassezza dell'anguilla e dei primi piatti corposi.
Dopo un excursus così vario che ha ripercorso il cammino che ho compiuto (sempre con un compagno di avventura), cosa traiamo di Comacchio? E cosa lo rende un luogo così particolare da meritare una visita?
Particolare: canale e ponte

Beh, proprio la specificità dell'ambiguità. Comacchio ha la fortuna di non avere una caratterizzazione; la si può vivere come città marittima o fluviale, di terra o di acqua, di cultura e di commerci. Non ha definizioni e non ne cerca; nei palazzi, nei canali e nei volti dei cittadini c'è questo stato di confine, questa profonda ambivalenza che ne caratterizza gli animi. Visitarla almeno una volta nella vita ci da il sapore della scoperta e dell'interpretazione. Ognuno può renderla sua e conservarne un pezzetto della sua anima millenaria.




Torquato Tasso nella Gerusalemme Liberata la definisce così:

 « Come il pesce colà dove impaluda / ne i seni di Comacchio il nostro mare, / fugge da l'onda impetuosa e cruda / cercando in placide acque ove riparare, / e vien che da se stesso ei si rinchiuda / in palustre prigion né può tornare, / che quel serraglio è con mirabil uso / sempre a l'entrare aperto, a l'uscir chiuso. » 


Ed io mi associo a lui intendendo così quell'"Uscir chiuso": a Comacchio entri pensando che sia un luogo che ha un po' tutto e non è niente. Ne esci però mutato lasciando chiusi nelle sue mura tutti quei pregiudizi iniziali. E questo cambiamento di opinioni ti farà ritornare, perché hai chiuso un pezzetto di te tra queste valli.

Citazione T. Tasso sulle scale dei Trep
ponti







- Copyright © sm-Art People Plot - Powered by Blogger