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Giuseppe Garibaldi è mai stato a Teano?



Oggi la storia celebra "Lo Storico Incontro" tra Giuseppe Garibaldi e Vittorio Emanuele II, avvenuto il 26 Ottobre del 1860.
L'episodio sancisce la fine della Spedizione dei Mille, avviando il processo di unificazione nazionale.


P.Aldi "Incontro tra Giuseppe Garibaldi e Vittorio Emanuele II" Palazzo Pubblico, Siena

I manuali per lungo tempo hanno collocato l'evento a Teano, piccolo centro in provincia di Caserta, nella regione Campania, ma la disputa sul reale luogo dell'incontro e sul passaggio del Generale nella cittadina sono ancora oggetto di discussione, soprattutto a livello locale. 
Per quanto riguarda il primo punto, già la Treccani si è espressa in merito nel 2011, a seguito di numerose segnalazioni e di rivalutazioni dei documenti che indicavano chiaramente luoghi prossimi a Teano, ma che appartenevano al comune di Vairano Patenora. La famosa Taverna della Catena, si trova, infatti, al quadrivio di Caianello che appartiene proprio al comune sopra citato. 

La voce TEANO della rinomata enciclopedia riporta quanto segue: 

La cittadina è stata a lungo considerata come il comune nel cui territorio il 26 ottobre 1860 ebbe luogo l’incontro nel corso del quale Garibaldi salutò Vittorio Emanuele II re d’Italia e gli consegnò il Regno meridionale che aveva quasi completamente conquistato. Accolta dalle cronache del tempo e passata poi in molti manuali di storia, la notizia, in assenza di una relazione ufficiale delle autorità militari, è stata poi messa fortemente in dubbio dagli storici sulla base delle testimonianze di alcuni dei personaggi che assistettero all’evento e che indicarono come punto dell’incontro il quadrivio di Taverna della Catena nel comune di Vairano Patenora, essendo peraltro vero che a Teano i due protagonisti si dettero il saluto di commiato, dopo aver cavalcato affiancati sin lì. Tale tesi, espressa nel 1909 da un generale (G. Del Bono) dell’Ufficio storico dello Stato Maggiore Esercito, benché contestata nel 1911 da uno studioso locale (V. Boragine) col sostegno di un altro ufficiale dello Stato Maggiore, è oggi ritenuta la più fondata e ha in questi ultimi anni ricevuto il conforto di ulteriori e bene documentate ricerche (G. Di Muccio, 1960; A. Panarello, 2002; C. Antuono, 2011)
Sul secondo punto, ossia dimostrare che il Generale Giuseppe Garibaldi abbia, successivamente all'incontro, anche sostato a Teano insieme al re, ci si batte ancora, tra smentite e conferme.
Un episodio, però, ha solleticato la nostra curiosità: la pubblicazione di un testo dal titolo sicuramente perentorio. Il libro s'intitola: "Garibaldi non fu mai a Teano".
L'autore, il dottor Carlo Antuono, è tra gli studiosi che hanno contribuito  alla correzione della voce dell'Enciclopedia Treccani (come potete leggere dai riferimenti in alto). Per cinque anni, proseguendo l'indagine del celebre evento dell'Incontro di Teano, ha portato avanti i suoi studi rivolgendo particolare attenzione nel dimostrare o confutare la teoria sulla permanenza di Garibaldi nel territorio teanese. I documenti raccolti dimostrano che Giuseppe Garibaldi dopo l'incontro, avvenuto a Vairano Patenora, non abbia mai sostato presso la cittadina di Teano e che, quindi, la lapide che rimanda ad una sosta teanese (la dicitura riporta addirittura "Qui sedeva il Generale Garibaldi") sia incongruente coi fatti.
Dichiariamo di non aver ancora letto il libro e quindi non ci soffermiamo sui contenuti specifici.
Quello che, però, ci preme sottolineare adesso è il clamore che ha suscitato la pubblicazione del testo tra i concittadini dell'autore.
A seguito di interviste rilasciate a giornali locali e successivamente alla pubblicazione di post di promozione, sono piovute critiche, a tratti offensive, che non solo minano le fondate tesi dell'autore, ma dimostrano un attaccamento alla storia che è solo residuo di un campanilismo senza cognizione di causa.

Copertina Libro "Garibaldi non fu mai a Teano"

L'occasione dell'anniversario dell'Incontro e le conseguenze di quanto abbiamo descritto sopra sono per noi un momento di riflessione per chiedervi:

-   Quanto è importante riconoscere che le ricostruzioni storiche non sempre sono attendibili ?
-   Non è più maturo e responsabile constatare di essere stati conseguenze di approssimazioni? 

La storia, nel momento in cui è corredata da documenti, aneddoti e testimonianze, va riscritta senza prese di posizione, soprattutto quando infondate e palesemente frutto di un retaggio culturale da superare.
Noi crediamo che Teano possa guadagnare maggior fama valutando le teorie espresse ed eventualmente riconoscendo l'"errore" di ricostruzione, a fronte di un confronto documentale serio e produttivo. 

Siamo convinte, inoltre, che la cittadina, ricca di storia, non debba restare ancorata solo a questo importante episodio che, sebbene l'abbia resa famosa, non le rende onore in quanto rimando a ricostruzioni non veritiere.
Il valore della propria storia andrebbe ricercato nelle testimonianze artistico-culturali che il paese conserva, come ad esempio il Teatro Romano, importante per grandezza e ricchezza di materiali, e l'interessante Museo Archeologico che ricostruisce la storia dei Sidicini, popolazione autoctona che diede lustro e fama a Teanum Sidicinum, colonia romana. 
Per non parlare della permanenza in città di grandi famiglie come i Carafa, i Borgia e i Caetani. 

Perché conta solo l'Incontro di Teano? 
Perché non valorizzare l'interesse, l'impegno e l'attenzione di un concittadino nella rivalutazione della storia a favore della conoscenza?

Ai posteri l'ardua sentenza.
A noi smartiane premeva, grazie allo spunto della ricorrenza, sottolineare quanto sia importante rendersi conto che la ricerca non si ferma mai e che lo studio e la dedizione portano, a volte, a risultati inaspettati che possono cambiare il corso della storia che, sebbene parta da una diatriba locale che coinvolge paesi limitrofi, di fatto racconta e modifica eventi di portata nazionale.

Su Facebook potete trovare la pagina di riferimento del libro: https://www.facebook.com/garibaldinonfumaiateano?fref=ts nella quale potete chiedere informazioni e avere delucidazioni su argomenti trattati, corredati di foto. 

Edward Munch: L'urlo della modernità


La Norvegia quest'anno celebra i 150 anni dalla nascita dell'"eroe nazionale" Edward Munch, pittore norvegese la cui fama nasce intorno al suo più famoso e osannato dipinto, "L'urlo" (1893), la cui terza versione è stata battuta all'asta da Sotheby's alla modica cifra di 120 milioni di dollari.

E pensare che "L'urlo" fu il momento peggiore della sua esistenza, la sintesi dell'angoscia, della depressione e della paura che lo tormentarono tutta la vita, come egli stesso ci scrive in uno dei suoi numerosi diari. 

Le iniziative dedicate al grande artista si snodano lungo tutto il 2013 (http://www.munch150.no/it/) e, attraverso la realizzazione del film "Exhibition", le due più importanti mostre realizzate nella Galleria Nazionale e nel Museo Munch di Oslo rivelano il lavoro dei curatori e le ragioni del percorso espositivo che mira a mettere in luce aspetti innovativi e sconosciuti della tecnica, dei temi e degli scopi della pittura munchiana.
Unico giorno utile per vedere il film giovedì 27 giugno 2013 nei cinema convenzionati. Mi sono detta: "Occasione imperdibile" e, trovata una compagna di avventure, mi avvio verso questa nuova esperienza. Non sapevo cosa aspettarmi da una mostra su grande schermo e non sapevo quale sarebbe stato il mio grado di conoscenza rispetto ad un pittore che la nostra tradizione scolastica e universitaria pone sempre ai margini degli studi. 

Sala semivuota (8 persone), posti centrali, musica di sottofondo e... si comincia. 
Ed eccoli i luoghi di Munch. Quella Norvegia definita desolata, angosciante, tutt'altro mondo rispetto alla Parigi di quegli anni, caratterizzata da colori fulgidi, animi libertini e colta in quell'attimo fuggente.
E si, perché Munch nasce nel 1863, l'anno in cui Manet realizzava "Dejeneur sur l'erbe", il dipinto che segna l'epoca dell'impressionismo. E attraversa i due secoli, tra neoimpressionismo, surrealismo e simbolismo, seguendo una pittura che si fa sempre più astratta, sempre più criptica, sempre più ripiegata su se stessa. Muore al culmine del secondo conflitto mondiale (1944) in un piccolo villaggio della Norvegia, solo e angosciato, vinto (dopo essersi strenuamente battuto) da una malattia, la tubercolosi, che fu il trait d'union di tutta la sua vita.
Il realismo acuto che caratterizzava le sue opere, negli anni va scemando verso una pennellata sempre più irregolare, sempre più cromaticamente confusa e sempre più alienante. 
Sarà per questo che resta "un emarginato" della pittura moderna?
Dopo aver visto il filmato e il racconto della mostra, dopo aver quasi assaporato i luoghi e le persone che lo hanno accompagnato devo ammettere che si è formata un'altra idea nella mia testa, già balenata durante gli studi di psicologia dell'arte: la sua grandissima forza morale. 
Munch e la sua pittura sono uniti indissolubilmente, come mai forse è accaduto nella storia dell'arte.
Le sue opere sono il manifesto di una vita caratterizzata dalla malattia e dalla morte. La sua famiglia fu sterminata dalla malattia (madre, sorella e padre) e questi dolori ne condizionarono fortemente la sua visione delle cose e il suo pensiero.
In mostra per la prima volta dopo il 1902, anno in cui lo espose a Berlino, il "Fregio della vita" viene composto come Munch lo aveva immaginato. Una serie di dipinti, tra cui i celeberrimi "Madonna" e "L'urlo" raccontano la vita secondo Munch, caratterizzata da 4 fasi, che vanno dalla nascita alla morte e si chiudono con "Metabolismo", ad indicare al ciclicità di questo grande mistero che metabolicamente una forza superiore, chissà quale Dio, continua a proporre, quasi fosse una danza macabra (come non pensare a "La danza della vita"?). Alla vita succede la morte e dalla morte nasce la vita (da notare che l'albero della vita ha come radici i teschi).
Superstizione medievale che rinasce nel pensiero novecentesco di Munch. L'uomo e il suo fardello fulcro della riflessione artistica. Visionario, certo, ma non emarginato.
Metabolismo 1899

Al centro di tutto c'è l'amore, vincolo tra uomo e donna e origine del male, dell'ansietà. Munch vive profondamente questo rapporto atavico con il sesso e la morte. Eros e tanatòs si intrecciano fino a diventare un urlo gigantesco. Visto così, "L'urlo" diventa una fase della vita, il momento in cui l'uomo è sopraffatto dalla natura delle cose e ne scarica tutto il peso attraverso una forza interiore che non tutti sono capaci di tirare fuori. Sarà forse questa inconscia consapevolezza che ha reso il dipinto un'icona?
Ed è qui che vedo la sua grandezza: nella capacità di resistere, nonostante tutto. Egli vive, autolesionandosi, tutta l'esistenza con le sue ombre, le sue paura e la sua depressione.
Eppure realizza due opere che hanno illuminato il mio pensiero e che credo siano la massima espressione del genio di Munch che gli farà vincere i secoli. La prima è "Il sole", realizzata per l'Aula Magna dell'Università di Oslo tra il 1909 e il 1916, negli anni in cui Picasso con "Le Demoiselle d'Avignòn" sconvolge la pittura mondiale. 
In questo dipinto, realizzato su un'enorme tela cucita a mano dalla sua domestica, Munch dichiara che la luce del sole è il motore della vita e, visto il luogo, della conoscenza. E questa luce è anche simbolo, come tutto nella sua pittura, di una forza, di una speranza che guida l'uomo nell'affrontare il grande mistero che lo accompagna fin dalla nascita: la morte. 
Il Sole, 1909-1916

Ed egli stesso condensa questo pensiero in una della sue ultime opere: "Autoritratto tra l'orologio e il letto". Lui, vecchio e malato con faccia fiera affronta il letto, simbolo della sua imminente morte dopo aver vinto il tempo, indicato dall'orologio senza le lancette.
Lo definirei un testamento, un monito affinchè guardando quel volto e quella stanza (che a tratti ricorda la camera di Van Gogh) tutti ci potessimo sentire fieri di resistere e di fare della propria sofferenza un'arte.
Lui c'è riuscito e nonostante tanta amarezza e tanto dolore, mi trasmette un'enorme invito alla vita. 

Autoritratto tra l'orologio e il letto 1940-42

Merita un viaggio ad Oslo e merita maggiore attenzione dalla critica perché la sua arte è l'apologia del nostro tempo e la celebrazione dell'uomo contemporaneo che vive costantemente nel cambiamento. 
Egli trova la cura a tanta instabilità e ce la propone tra un urlo disperato e un sole raggiante. 

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