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Archive for gennaio 2014

Riflessioni smartiane: Strategia Paese, strategia Cultura



Stamattina "Una strategia per la Cultura. Una strategia per il Paese", la presentazione del rapporto Federculture 2013 alla Camera dei Deputati, ha confermato lo stentato incedere di questo nostro Paese, e più niente stupisce.
I dati salienti, così tristemente prevedibili, rimbalzano sul Web, dipingono un settore culturale allo stremo, ma ciò che continua a sconcertarmi è il perseverare nel non programmare a lungo termine.

Il nostro paese è davvero in allarme? O ci fingiamo allarmati?

Nel 2013:

- il 39% degli italiani non hanno partecipato ad alcuna attività culturale

- il 57% della popolazione non ha letto neanche un libro

- lo Stato investe in cultura appena lo 0,2% del PIL

- l’indice di partecipazione culturale nazionale scende all’8%, nelle retrovie rispetto alla media europea del 18%.

Percentuali quale ritratto del presente. Un quadro di stanchezza, che ad affacciarvisi si cambia spesso direzione…

Quale futuro?

Il mondo culturale è in fermento per la sua emancipazione, per il riconoscimento delle professioni culturali, ma i dati ne ritraggono la prigionia tra le sbarre di scarse strategie per tappare i buchi a breve termine, come una toppa su un pantalone vecchio, senza ripensamenti sul riutilizzo della bella stoffa a disposizione.

Il rapporto Federculture denuncia il taglio della spesa media delle famiglie per le attività culturali: da dove parte questo allontanamento dalla cultura? Sono i cittadini a non sentirne l’esigenza? Siamo noi del settore a voler tenere il “tesoro” per noi? È sempre lo stato a non fare abbastanza?

Numeri alla mano, alla cassa del MiBACT arriva lo 0,2% del PIL italiano, 1,5 miliardi di euro che diventeranno 1,4 nel triennio 2014-16, nonostante l'aggiunta al ministero della competenza sul turismo. I Comuni, per la congiuntura negativa attuale e per i vincoli del patto di stabilità sono costretti a tagliare i fondi sulle politiche culturali.
Il risultato è che nel decennio 2003-2013 altri 500 milioni di euro sono stati bloccati e ridestinati. 

Per anni il sistema culturale ha cercato di organizzare e razionalizzare le proprie procedure, attività, fino a ritrovarsi assuefatto ai finanziamenti statali, incapace di aumentare la propria produttività e di innovarsi, vincolato alle proprie trame burocratiche e oziose. Eppure non sono contraria. Ritengo semplicemente che lo Stato italiano non possa più ignorare la produzione culturale e creativa poiché riesce a produrre un valore di 75,5 miliardi di euro (il 5,4% del PIL) e a dare lavoro a 1,4 miliardi di persone.

Ma come investire in Cultura se lo stato e un italiano su due ne sono completamente disinteressati?

Quali prospettive stiamo costruendo in una realtà in cui all’interno delle scuole turistiche e di moda si tagliano gli insegnamenti di arte? Tagliamo laddove l’Europa ha individuato dei settori strategici. In Francia, dal 2008, l’insegnamento della storia dell’arte è obbligatorio, a partire dalla scuola primaria, in tutti gli indirizzi scolastici.

E come sopperire al gap digitale? (Solo il 3% dei musei ha applicazioni smartphone e tablet, solo il 6% ha audioguide e/o dispositivi digitali per le visite, solo il 13% ha un catalogo accessibile).

Io non ho tutte le risposte a questa matassa di domande, ma vorrei una possibilità per contribuire al cambiamento.

Senza cultura questo paese non può crescere. Laura Boldrini, presidente della Camera, sottolinea come «in tempi di crisi, spendere per cultura non è uno spreco»… ma deve trovare obiettivi a lungo termine, senso pratico, buon senso.

“Il costo della incultura per una società è maggiore del costo della cultura” scriveva Garcia Lorca, come il costo di ricostruzione è maggiore di quello di manutenzione, ma noi viviamo in bilico tra il giorno della disfatta e quello del salvataggio miracoloso: salveremo veliero ed equipaggio?



Luoghi smartiani:Tasselli di storia: la Cappella di Nostra Signora di Bonaria in Quartu Sant'Elena

Facciata della Basilica di Sant'Elena Imperatrice e della adiacente Cappella di N.S. di Bonaria,  Quartu Sant'Elena
Basilica di Sant'Elena Imperatrice e Cappella di N.S. di Bonaria,
Quartu Sant'Elena

Piazzale della Basilica di Sant'Elena Imperatrice. Su questa terra il sole, anche ai primi di gennaio, stempera la pelle e ha insinuato il tepore in tutte quelle persone che, dopo la celebrazione della festività dell'Epifania, si sono fermate a salutarsi, a dare senso a quella piazza che, pur centrale, ha perso la sua funzione comunitaria e sembra ogni tanto riprendersela.


Questa mattina, su quel piazzale, mi sono fatta attrarre da un portone che per anni ho visto chiuso, che nella mia infanzia era chiuso. Così oggi a quella porta aperta non ho potuto resistere.
Tornata per le feste nella mia terra natia, a Quartu Sant'Elena, cittadina in provincia di Cagliari, mi soffermo ad osservare la facciata di questo spazio architettonico, tendente, nella sua semplicità, al barocco spagnolo sull'isola. Mi domando se potesse essere questo il primo impianto dell'adiacente Basilica di Sant'Elena, cresce la curiosità, mi avvicino, osservo il pavimento, ed entro.

Avanzo fino ad arrivare a curiosare nella seconda cappella laterale sulla sinistra: due statue policrome sopra un mobilio in legno dipinto sulle tonalità del verde. Osservo le decorazioni della tunica, cerco di fissarle nella mia mente per creare dei collegamenti ad altre opere locali.

Incuriosita, mi faccio raccontare di più da un confratello.



Statue lignee policrome rappresentanti la Buona Morte e la Buona Sorte, fine XVII secolo
Buona Morte e Buona Sorte, fine XVII secolo

Si tratta di due statuine gemelle, di matrice spagnola e risalenti alla fine del XVII secolo. Rappresentano la Buona Morte e la Buona Sorte, un culto affermatosi a Saragozza nel 1681 dopo la peste. Le due Madonnine con bambino in braccio sono speculari, ma nella prima il Bambino ha tra le mani un teschio, nella seconda, mancante di un braccio, non si osservano segni particolari. 
Un riferimento al dolore per chi ha perso qualcuno, per chi lotta nella sofferenza, per chi prega di non ammalarsi, per chi forse supplica, infettato, di morire o di salvarsi rimettendosi alla volontà della Sorte, perché quale uomo non ha paura all'incombere dell'ignota morte? 


Statua policroma di N.S. di Bonaria,
Quartu Sant'Elena
Mi giro verso il fondo dell'unica navata: una grande statua lignea policroma svetta all'interno di una pala lignea. La Sardegna è notoriamente devota alla Madonna di Bonaria: così la parrocchia di Sant'Elena Imperatrice volle seguire questa tradizione e, si dice seconda città in Sardegna, commissionò ad un artista della scuola napoletana una statua che, eseguita nel 1872 arrivò nell'isola all'inizio dell'anno successivo, e dopo la sua benedizione a Cagliari, fu portata a Quartu Sant'Elena tra folle festanti... arrivò d'oltremare "vestita" di tunica e manto, ma su quest'isola ricevette un velo bianco, corona e navicella, poiché lei è la protettrice dei naviganti.
La struttura in legno che ospita la statua non rispecchia oggi le sue dimensioni e forme originali poiché questa non era la sua collocazione, e la sua altezza supera quella della cappella. Le parti restanti sono state conservate, ed ora una parte della storia delle tradizioni religiose della cittadina è ancora accessibile, tutti i sabati e tutte le domeniche.

All'interno della cappella di Nostra Signora di Bonaria vi erano inoltre un forziere del '600, ligneo e rivestito di metallo, un Cristo in croce portato in processione, della stessa epoca, la cui croce è stata sostituita, un antico stendardo della confraternita, due troni lignei che fino a qualche decennio fa si trovavano in Basilica, una croce moderna con i simboli del martirio, forse ripresa dalle piccole croci con gli stessi simboli appesi in alcune strade della città e che vorrei andare ad osservare, e la croce de "su scravamentu", una tradizione antica, in uso fino a meno di un secolo fa in Quartu, rivisitazione della deposizione di Cristo.

Quanto è affascinante farsi raccontare ciò che è ormai dimenticato, nell'oblio di ciò che troppo spesso è considerato solo un fardello legato a pesanti tradizioni religiose snobbate e surclassate da nuove correnti di pensiero, da nuovi stili di vita, ma come dimenticare che questa è la nostra storia? Lo è anche quando in essa non ci riconosciamo più e ce autodiserediamo.

Incalzo sul confratello: "Ma questo può essere un primo impianto della Basilica di Sant'Elena Imperatrice?"
Il piccolo edificio, noto come Ex oratorio delle anime, è stato costruito tra il 1754 ed il 1755: ad aula unica con volta a botte, presentava un transetto, due cappelle sulla destra ed una sulla sinistra. All'esterno, i muri perimetrali sono sovrastati da una cornice dentellata. In facciata, sopra il portone si apre una finestrella ottagonale, si conclude con una cornice modanata, e centralmente un semplice campanile a vela. 
Nel 1818-25 la seconda cappella a destra ed il braccio del transetto furono demoliti nella ricostruzione dell'attuale Basilica a favore di una nuova cappella.
La consacrazione della cappella avvenne nel 1761 per decreto vescovile: si trattava della cappella cimiteriale, ma perse la sua funzione quando fu inaugurato l'attuale cimitero della città, intorno alla chiesa di San Pietro in Monte nella seconda metà del XIX secolo. Qualche anno dopo la cappella fu affidata alla confraternita di Nostra Signora di Bonaria che, rinata, se ne occupa tuttora. 
Il mio dubbio è stato fugato, la Basilica, come avveniva in passato ed avviene tuttora, è costruita su fondamenta antiche, ma questa cappella pare nata con altre funzioni.

Così la storia e l'arte isolana sono giunte a me inaspettate, come un bel regalo di fine festività, come un tassello di memoria da tramandare, come un prezioso libricino di racconti, come un filo da snodare nel viaggio in questa isola che troppo spesso non si vede abbastanza.

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