Posted by : Unknown lunedì 20 gennaio 2014



Stamattina "Una strategia per la Cultura. Una strategia per il Paese", la presentazione del rapporto Federculture 2013 alla Camera dei Deputati, ha confermato lo stentato incedere di questo nostro Paese, e più niente stupisce.
I dati salienti, così tristemente prevedibili, rimbalzano sul Web, dipingono un settore culturale allo stremo, ma ciò che continua a sconcertarmi è il perseverare nel non programmare a lungo termine.

Il nostro paese è davvero in allarme? O ci fingiamo allarmati?

Nel 2013:

- il 39% degli italiani non hanno partecipato ad alcuna attività culturale

- il 57% della popolazione non ha letto neanche un libro

- lo Stato investe in cultura appena lo 0,2% del PIL

- l’indice di partecipazione culturale nazionale scende all’8%, nelle retrovie rispetto alla media europea del 18%.

Percentuali quale ritratto del presente. Un quadro di stanchezza, che ad affacciarvisi si cambia spesso direzione…

Quale futuro?

Il mondo culturale è in fermento per la sua emancipazione, per il riconoscimento delle professioni culturali, ma i dati ne ritraggono la prigionia tra le sbarre di scarse strategie per tappare i buchi a breve termine, come una toppa su un pantalone vecchio, senza ripensamenti sul riutilizzo della bella stoffa a disposizione.

Il rapporto Federculture denuncia il taglio della spesa media delle famiglie per le attività culturali: da dove parte questo allontanamento dalla cultura? Sono i cittadini a non sentirne l’esigenza? Siamo noi del settore a voler tenere il “tesoro” per noi? È sempre lo stato a non fare abbastanza?

Numeri alla mano, alla cassa del MiBACT arriva lo 0,2% del PIL italiano, 1,5 miliardi di euro che diventeranno 1,4 nel triennio 2014-16, nonostante l'aggiunta al ministero della competenza sul turismo. I Comuni, per la congiuntura negativa attuale e per i vincoli del patto di stabilità sono costretti a tagliare i fondi sulle politiche culturali.
Il risultato è che nel decennio 2003-2013 altri 500 milioni di euro sono stati bloccati e ridestinati. 

Per anni il sistema culturale ha cercato di organizzare e razionalizzare le proprie procedure, attività, fino a ritrovarsi assuefatto ai finanziamenti statali, incapace di aumentare la propria produttività e di innovarsi, vincolato alle proprie trame burocratiche e oziose. Eppure non sono contraria. Ritengo semplicemente che lo Stato italiano non possa più ignorare la produzione culturale e creativa poiché riesce a produrre un valore di 75,5 miliardi di euro (il 5,4% del PIL) e a dare lavoro a 1,4 miliardi di persone.

Ma come investire in Cultura se lo stato e un italiano su due ne sono completamente disinteressati?

Quali prospettive stiamo costruendo in una realtà in cui all’interno delle scuole turistiche e di moda si tagliano gli insegnamenti di arte? Tagliamo laddove l’Europa ha individuato dei settori strategici. In Francia, dal 2008, l’insegnamento della storia dell’arte è obbligatorio, a partire dalla scuola primaria, in tutti gli indirizzi scolastici.

E come sopperire al gap digitale? (Solo il 3% dei musei ha applicazioni smartphone e tablet, solo il 6% ha audioguide e/o dispositivi digitali per le visite, solo il 13% ha un catalogo accessibile).

Io non ho tutte le risposte a questa matassa di domande, ma vorrei una possibilità per contribuire al cambiamento.

Senza cultura questo paese non può crescere. Laura Boldrini, presidente della Camera, sottolinea come «in tempi di crisi, spendere per cultura non è uno spreco»… ma deve trovare obiettivi a lungo termine, senso pratico, buon senso.

“Il costo della incultura per una società è maggiore del costo della cultura” scriveva Garcia Lorca, come il costo di ricostruzione è maggiore di quello di manutenzione, ma noi viviamo in bilico tra il giorno della disfatta e quello del salvataggio miracoloso: salveremo veliero ed equipaggio?



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