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Bar e bookshop: così i musei rinasceranno?

Il governo sembra dare attenzione alla situazione dei musei italiani: il Presidente Letta vuole rinnovare le concessioni per i servizi aggiuntivi ai musei statali.
Su 420 siti statali si contano sulle dita di una mano quelli col ristorante, solo 13 hanno una caffetteria e solo 77 hanno un bookshop. Il pensiero dei nostri governanti è giustamente che il nostro patrimonio necessiti di attrattiva e maggiore visibilità, a partire da un’accoglienza ottimale per i visitatori.
Le reazioni sono contrastanti: c’è chi disapprova perché questo uccide l’economia degli esercizi commerciali circostanti, chi approva perché questi luoghi devono avere maggiori servizi.

E io cosa ne penso? Sono questi i miglioramenti che voglio?
Mi fermo a riflettere.
Io credo che i nostri musei possano essere più attraenti, ma tappezzarli di bar, negozi ammiccanti e lucine colorate non li rende migliori, li rende una scatola decorata: non è questo che voglio.
Chi pensa di attirare visitatori creando servizi aggiuntivi e non nuovo valore deve essere qualcuno che pensa davvero che le persone pensino al museo come ad un centro commerciale, con una logica dell'economia e del marketing superba ritenendo che gli amanti del nostro patrimonio si facciano attrarre dalla possibilità di fermarsi al bar.
Ma davvero ci credete così "poveri" e "aridi"? 
Noi cerchiamo un lavoro di riqualifica, di ricerca e di coinvolgimento.

Io vorrei che la qualità e l’attrattività del museo fossero creati al suo interno in primis, e poi nel suo contorno. Vorrei una visita memorabile, una guida appassionata, un percorso affascinante.
E successivamente non mi basterebbe più: vorrei iniziative ed eventi, vorrei novità.

Io voglio un patrimonio che brilli di luce fatta dal lavoro di persone specializzate, che creano valore attorno a ciò che custodiscono, che ne trasmettano il fascino e l’importanza (perché non buttiamo via i cocci insomma), che coinvolgano adulti e bambini, che ci facciano desiderare di tornare in quel luogo regalandoci una goccia di bellezza, emozione e stupore.


Vorrei essere coinvolta  e desiderare poi di soffermarmi alla caffetteria e passeggiare nel bookshop, contribuire al sostentamento di una rete con un giardino comune con il territorio, e per il territorio.

Cosa ci FAI con la cultura?


Ho aspettato, ho osservato, ho riflettuto, ho elaborato e alla fine eccomi qui a dar sfogo ad un ronzio, continuo e fastidioso, che incombe nella mia mente da quando ho letto delle "Primarie della cultura", iniziativa promossa da giovani (?) del FAI (Fondo Ambiente Italiano). Primo commento: "Wow, finalmente qualcuno che si occupa della cultura". Volo sul sito dedicato all'evento perché la curiosità di sapere di cosa si tratta è irrefrenabile. Leggo: "Fatti sentire, vota per le Primarie della cultura. Se non puoi scegliere il candidato, scegli le sue idee". E penso: "Interessante lo spot, diretto ed efficace". Mi inoltro nelle idee proposte e comincio ad avere una strana sensazione. Di solito faccio l'errore di nascondere questo fastidio, questo piccolo allarme che solletica la mia mente... ma stavolta no, ho provato ad ascoltarlo e sono andata a fondo. I temi mi apparivano così, sempre più scontati, così figli di "luoghi comuni", così pieni di rarefatta retorica che ad un certo punto ho smesso persino di leggere. . . poi ho continuato, imperterrita: "con la cultura non si mangia, salviamo il territorio, il paesaggio, sicurezza nei centri storici.... ". Cos'è che manca a queste idee??? La concretezza! Ecco, avevo la risposta. Come al solito non sappiamo mai rendere omaggio alle nostre idee, sebbene siano fondate, e ci ritiriamo nello spettro del "campare in aria". Perché non pubblicare un manifesto concreto (il Sole24ore ci ha provato)? Perché non dare forma alle proposte invece di limitarsi a poche righe e ad articoli correlati che non sempre sono coerenti e pertinenti?
Perché fare un evento di così alta risonanza e poi non dargli riscontro pratico? Qual'è lo scopo? Si parla di politica (primarie!) ma si sta bene attenti dal manifestarla. Cosa c'è dietro quest'iniziativa?  
Cominciano le campagne elettorali e di tale iniziativa neanche si sente parlare; nessuno che minimamente osa pronunciare la parola cultura, tranne infilare ogni tanto frasi ad effetto ormai parossisticheChi mai ascolterà queste parole? Chi si prodigherà per temi che ormai risultano delle tragicommedie? Qui sta quella malafede, in questi crucci sta quel ronzio. Nessuno che abbia la forza di venire fuori, schierarsi e porsi obiettivi veramente rivolti alla Cultura e alla sua emancipazione. Ilaria Borletti Buitoni, presidente del FAI, pare sia candidata con la listcivica di MontiQualcuno l'ha accusata di aveutilizzato la proposta delle primarie proprio per conquistare proseliti. Ma cosa sta facendo per la cultura? Io non ne sento parlare, non odo proposte in merito. Mi chiedo, pertanto, quale sarà l'importanza di questa iniziativa. 
Resterà ancora una volta un evento per chi, come me, si perde nella vana speranza di vedere trionfare la cultura sul provincialismo, sull'asocialità, sulla banalità e la povertà di contenuti in cui stiamo scivolando? Gli stati generali della cultura avevano suscitato clamore dopo le contestazioni al ministro Ornaghi eppure tutto tace e nulla si muove. Fa rumore il gesto, la protesta, l'esasperazione ma appena si calma il vento, tutto torna piatto. 
"Le primarie della cultura" hanno appena chiuso i battenti... che ne sarà di quei temi? 
Cosa ci FAI con la cultura?
   


Denuncia al volontariato culturale


La Cultura è di tutti.

Il patrimonio culturale e paesaggistico è di tutti.
Ma chi deve prendersene cura?


In questo momento di crisi l’unico settore che sembra mantenersi in attivo è quello culturale, e il nostro patrimonio così ricco, diffuso e palpabile sta prendendo un posto in primo piano nelle tavole rotonde in cui si dibatte sul futuro e le sue prospettive economiche: tutti parlano di Cultura e valorizzazione, ma c’è un “ma”.

Il “ma” sono chiacchiere: non abbiamo una pianificazione per lo sviluppo, ma tante parole che si ripetono da decenni.

Il patrimonio culturale è un settore strategico di importanza crescente in Europa, un settore trainante la cui conservazione e valorizzazione richiedono notevoli risorse economiche e umane: sono oltre 5 milioni i volontari delle associazioni culturali che spesso si sostituiscono alle istituzioni pubbliche per sopperirne alle mancanze e ai tagli dei fondi. Questi animi dediti al servizio e amanti della Cultura, della nostra storia, delle nostre tradizioni, spesso fanno in modo che luoghi dimenticati da tutti rimangano aperti e visitabili al pubblico. E gli amanti di una gita fuori porta e del patrimonio ringraziano lieti...

ma io li voglio denunciare.

Voglio denunciare il volontariato nel settore culturale.

Non voglio sminuire il lavoro dei volontari, ma vorrei che queste risorse non si sostituissero alle figure specifiche che l’Italia vanta di formare nelle proprie università per privarle poi della loro professionalità e di un lavoro.

Voglio denunciare il volontariato come strumento di svalutazione professionale, un’arma a doppio taglio verso un settore-risorsa bistrattato.

“In una economia occidentale sempre più immateriale la cultura è il vero motore per produrre nuovo pensiero, nuove idee. La cultura, di conseguenza, verrà a configurarsi come essenziale assetto d’impresa in uno scenario economico dove a vincere saranno le idee e non la materia, e diverrà il tessuto connettivo che metterà in relazione i protagonisti che agiscono sul territorio siano essi istituzionali che imprenditoriali, culturali e turistici. Un distretto economico evoluto può rendere il territorio culturalmente attrattivo attraverso una attenta valorizzazione, anche in chiave turistica, del patrimonio in riferimento a una di domanda di qualità e a ridotto impatto ambientale.”

Così scriveva Franco Gravina, presidente Associazione Pratese Amici dei Musei e dei Beni Ambientali nel 2009, in Volontariato e cultura come sviluppo locale.

Pier Luigi Sacco, docente di Economia della Cultura allo Iulm, al Convegno "Stati Generali del Volontariato Culturale" parla di «volontariato culturale come fonte di innovazione».

Non dobbiamo pensare che i volontari debbano fare ciò in cui mancano stato e mercato:

«Il volontariato deve diventare la nuova frontiera del benessere sociale» ha detto, spiegando come nella società digitale i volontari possono produrre loro stessi contenuti, essere coinvolti, partecipare. Ma analizziamo la situazione attuale: questo è vero nel momento in cui in un settore si investe, le professioni vengono riconosciute, quando in un percorso di crescita si crede fortemente e alla base dello sviluppo vi è un team qualificato nel settore preposto alla programmazione.

Alle porte del 2013 siamo ancora qui, giovani laureati in ambito culturale, a chiedere la possibilità di portare a tutti la Cultura.

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