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La legge della resistenza. Per l'Aquila, per l'Italia
"L'Aquila 05 maggio", qualche giorno dopo. Ho preferito non scrivere dal treno mentre lo scorrere delle carrozze e il loro scivolare lungo i binari mi accompagnavano nel turbinio di emozioni che mi riportava indietro. Ho deciso di ponderare con calma queste parole e capire bene cosa ha significato quel luogo e quell'incontro.
Tutto comincia con una mattinata di pioggia. Si parte verso l'Aquila con grande attesa per questa prima volta degli storici dell'arte. Sotto la fontana luminosa siamo in tanti: poco alla volta quegli ombrelli, piccole cupole variegate, diventano un enorme cappello e si parte tutti insieme con il ministro Massimo Bray, Salvatore Settis e Tomaso Montanari, tra gli organizzatori dell'evento.
Ricordo con nettezza due immagini della giornata che sintetizzano lo spirito che mi accompagna da quando sono tornata. La prima fa proprio riferimento alla passeggiata silenziosa. E' stato un attimo... mi sono voltata indietro ed ho visto una fiumana di gente affollare un vicolo del percorso. Ho pensato: "Siamo tanti" e mi sono sentita felice. Ho avvertito come un brivido lungo la schiena che mi faceva sentire straordinariamente forte.
La seconda appartiene a qualche momento dopo. Siamo in Piazza Duomo: mentre la folla si dirada a causa della pioggia che ritorna dopo una parentesi di pallido sole, resta al centro un cane, solo, grosso e triste. Sembra quasi non accorgersi della gente che gli gira intorno e se sta lì, come se fosse ormai un rito quotidiano, ad aspettare che un altro giorno tramonti sulla città.
Fanno riflettere queste due immagini e sono il simbolo di ciò che è stata la giornata e ciò che ha significato essere a l'Aquila. Gli storici dell'arte hanno compiuto un atto di forza e di coraggio. Senza la minima esitazione hanno espresso con vigore ciò che pensano della gestione della cultura nel nostro paese e di come la negligenza che l'accompagna si sia ripercossa sull'Aquila, martire di un modus che è diventato prassi. A questa città abbiamo rubato l'anima. A quel centro storico gli abbiamo tolto la vita. Quello che lo stato ha compiuto è un omicidio premeditato, studiato a tavolino a colpi di mendaci new town.
Eppure noi abbiamo cominciato da qui, dalle macerie, dal silenzio, dalla fissità che avvolge quelle case distrutte, dall'odore di storia che ancora trasuda da quei brandelli di navate ed absidi nude davanti alla crudeltà di un sistema corrotto, avvelenato, sanguinario.
La cultura, la storia, il patrimonio non si costruiscono nella teca di un museo, nelle piazze deserte, nelle chiese pericolanti e vuote, nell'ignoranza del passato e nell'indifferenza verso il futuro. La cultura, la storia e il patrimonio sono il passeggiare nelle piazze, il suono delle campane, il fruire dei palazzi storici, la frequentazione delle chiese, il tocco del marmo e della pietra, la conoscenza del passato e la lungimiranza per il futuro.
Parafrasando Settis, bisogna avere una vista bifronte che sia rivolta al passato in virtù del futuro. E chi può rispondere a quest'esigenza? Gli storici dell'arte, senza dubbio. E lo devono fare rinunciando ad essere al servizio di becere esigenze di mercato che non fanno altro che porre la cultura al pubblico ludibrio, facendola scivolare nel business del divertimento e dello svago senza alcun fondamento scientifico e tecnico. Solo partendo da queste considerazioni si può ricostruire l'Aquila affidandola come primo punto ai propri cittadini che la vollero bella e piena di cultura sin dalla fondazione. E solo riconoscendo alla cultura un ruolo fondamentale per la tutela e la salvaguardia della democrazia si può ricominciare al fine di uscire da questa lunga notte che accompagna i beni culturali ormai da anni.
Come il cane randagio che resiste alla solitudine del terremoto non abbandonando il proprio luogo, così io resisto nella mia strenua battaglia al riconoscimento della cultura. Resisto appellandomi a quella legge non scritta della resistenza che mi consente di resistere alle corruzioni del tempo e dello spazio, alle tentazioni della logica consumistica per cui non c'è bisogno di salvaguardare, tutelare e conservare. E dopo l'Aquila lo farò con più forza perché so che non sono sola.
Parafrasando Settis, bisogna avere una vista bifronte che sia rivolta al passato in virtù del futuro. E chi può rispondere a quest'esigenza? Gli storici dell'arte, senza dubbio. E lo devono fare rinunciando ad essere al servizio di becere esigenze di mercato che non fanno altro che porre la cultura al pubblico ludibrio, facendola scivolare nel business del divertimento e dello svago senza alcun fondamento scientifico e tecnico. Solo partendo da queste considerazioni si può ricostruire l'Aquila affidandola come primo punto ai propri cittadini che la vollero bella e piena di cultura sin dalla fondazione. E solo riconoscendo alla cultura un ruolo fondamentale per la tutela e la salvaguardia della democrazia si può ricominciare al fine di uscire da questa lunga notte che accompagna i beni culturali ormai da anni.
Come il cane randagio che resiste alla solitudine del terremoto non abbandonando il proprio luogo, così io resisto nella mia strenua battaglia al riconoscimento della cultura. Resisto appellandomi a quella legge non scritta della resistenza che mi consente di resistere alle corruzioni del tempo e dello spazio, alle tentazioni della logica consumistica per cui non c'è bisogno di salvaguardare, tutelare e conservare. E dopo l'Aquila lo farò con più forza perché so che non sono sola.
La speranza è che questa sia davvero solo la prima di una lunga serie di incontri per la salvaguardia del nostro passato e per la tutela del nostro futuro.
Grazie l'Aquila 05 maggio.
Grazie l'Aquila 05 maggio.
Author : Unknown