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Only the brave (solo il coraggioso)
Cultura, sempre lei. La parola di cui tutti facciamo sfoggio almeno dieci volte al giorno vantandoci della nostra cultura personale, della cultura di Dante che, diamine, era italiano o di quella di Da Vinci anche lui italiano e della bellezza che ci circonda, anch'essa italiana.
Eppure cultura e Italia/italiano sembrano a tratti cozzare sia nella gestione specifica del settore sia nell'inserimento della Cultura nei piani di sviluppo economico nazionale.
Siamo tutti degli ottimi oratori quando si tratta di vantare le gesta dei romani, però poi diamo a Ridley Scott la possibilità di fare di Decimo Meridio il protagonista di un suo film (e di farci un mucchio di soldi) mentre la tomba (vera) del gladiatore è lasciata all'abbandono sulla devastata via Appia.
Qualcosa però si muove. Mi commuove ancora ripensare ad un ministro che vaga umilmente nella Reggia di Caserta armato di bicicletta e smartphone (mica auto blu e troupe della RAI?). O anche il rimembrar di una giornata, quella del 05 maggio 2013, che ha condotti noi storici dell'arte all'Aquila per provare a ricominciare e per guardare con i nostri occhi attenti il disastro procurato.
Allora la domanda sorge spontanea: cosa manca? Lo ripeto mille volte al giorno nella mia testa. Essendo una fagocitatrice di parole e di immagini sono partita da una riflessione frutto di questo tempo trascorso a romanzare immagini e immaginare parole: quello che rende unica la cultura è la capacità di perpetuare nel tempo un'idea. Sia essa una concezione filosofica o una prerogativa estetica, quell'idea è il cuore della cultura ed è il cardine delle rivoluzioni (culturali, s'intende).
E qual'è l'idea delle idee? Cos'ha condotto uomini a battersi per un ideale? A ostinarsi nel proporre quel modo espressivo? Il CORAGGIO. Ecco: seduta davanti ad una finestra rigenerata dalla brezza estiva, provo a dire la mia. La cultura si fa con il coraggio.
Tutti noi dovremmo cominciare ad avere il coraggio di dire no di fronte alla retorica di cui ci cospargono; dovremmo cominciare a dire no all'umiliazione di regalare le nostre competenze; dovremmo renderci conto di avere in mano le chiavi del nostro futuro e di guardare al futuro come tutti i grandi prima di noi hanno fatto e alcuni continuano a fare.
Da dove comincia il Rinascimento? Dalla follia di un pittore che nell'umile chiesetta di Assisi sconvolse la pittura occidentale: Giotto. Il suo ciclo pittorico delle Storie di S. Francesco anno domini 1302 è l'atto primo della modernità. L'uomo è il centro attorno al quale si muove l'universo, compreso quello divino incarnatosi nella figura di san Francesco. Da lì si diffonde questo ronzio che diventa un urlo alla scoperta dell'America, anch'essa frutto di un folle, italiano, salpato a cercare le Indie. E poi c'è il più coraggioso di tutti, un certo Lorenzo de' Medici, il Magnifico, che crea un circolo di artisti e pone al centro della sua Firenze la conoscenza, creando un mito riconosciuto e diffusosi in tutto il mondo.
Tutti noi dovremmo cominciare ad avere il coraggio di dire no di fronte alla retorica di cui ci cospargono; dovremmo cominciare a dire no all'umiliazione di regalare le nostre competenze; dovremmo renderci conto di avere in mano le chiavi del nostro futuro e di guardare al futuro come tutti i grandi prima di noi hanno fatto e alcuni continuano a fare.
Da dove comincia il Rinascimento? Dalla follia di un pittore che nell'umile chiesetta di Assisi sconvolse la pittura occidentale: Giotto. Il suo ciclo pittorico delle Storie di S. Francesco anno domini 1302 è l'atto primo della modernità. L'uomo è il centro attorno al quale si muove l'universo, compreso quello divino incarnatosi nella figura di san Francesco. Da lì si diffonde questo ronzio che diventa un urlo alla scoperta dell'America, anch'essa frutto di un folle, italiano, salpato a cercare le Indie. E poi c'è il più coraggioso di tutti, un certo Lorenzo de' Medici, il Magnifico, che crea un circolo di artisti e pone al centro della sua Firenze la conoscenza, creando un mito riconosciuto e diffusosi in tutto il mondo.
Da dove comincia il nostro "rinascimento"? Comincia da chi ci vuole credere, da chi è disposto a stare col naso all'insù per ammirare una cattedrale e perdersi nelle sue architetture o da chi sta chino alla scoperta di un tesoro archeologico. Comincia da chi analizza le opere d'arte e ne studia la materia come fosse un medico con un paziente ed è orgoglioso della sua professione. Comincia da chi se ne frega dell'accademismo e della belle parole e comincia a fare. Si comincia dal basso, dal proprio territorio e dall'immensa fortuna di avere una rete, una tastiera e uno spazio virtuale sui quali avere la libertà di esprimersi.
La libertà è coraggio e il coraggio è libertà ... di essere se stessi.
Se vogliamo che qualcosa cambi dobbiamo cambiare il nostro modo di pensare ed essere pronti ad accogliere un ronzio, seguire il flusso delle nuove idee e non abbarbicarci sulle nostre convinzioni.
Il cambiamento è coraggio e il coraggio è il cambiamento.... delle cose.
La libertà è coraggio e il coraggio è libertà ... di essere se stessi.
Se vogliamo che qualcosa cambi dobbiamo cambiare il nostro modo di pensare ed essere pronti ad accogliere un ronzio, seguire il flusso delle nuove idee e non abbarbicarci sulle nostre convinzioni.
Il cambiamento è coraggio e il coraggio è il cambiamento.... delle cose.
Per capire il segreto e la forza della cultura non si deve partire dai piani economici o da ambiziosi progetti ingegneristici. Servono passione, competenza e lungimiranza. Cambiare la prospettiva, come fecero gli artisti rinascimentali, e tuffarsi in un nuovo oceano di conoscenza, partendo da chi la cultura la mastica.
La passione è coraggio e con essa si può costruire un nuovo mondo della conoscenza.
Per questo, only the brave. E le sm-Art people lo sono, ostinatamente lo sono.
Author : Unknown
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La legge della resistenza. Per l'Aquila, per l'Italia
"L'Aquila 05 maggio", qualche giorno dopo. Ho preferito non scrivere dal treno mentre lo scorrere delle carrozze e il loro scivolare lungo i binari mi accompagnavano nel turbinio di emozioni che mi riportava indietro. Ho deciso di ponderare con calma queste parole e capire bene cosa ha significato quel luogo e quell'incontro.
Tutto comincia con una mattinata di pioggia. Si parte verso l'Aquila con grande attesa per questa prima volta degli storici dell'arte. Sotto la fontana luminosa siamo in tanti: poco alla volta quegli ombrelli, piccole cupole variegate, diventano un enorme cappello e si parte tutti insieme con il ministro Massimo Bray, Salvatore Settis e Tomaso Montanari, tra gli organizzatori dell'evento.
Ricordo con nettezza due immagini della giornata che sintetizzano lo spirito che mi accompagna da quando sono tornata. La prima fa proprio riferimento alla passeggiata silenziosa. E' stato un attimo... mi sono voltata indietro ed ho visto una fiumana di gente affollare un vicolo del percorso. Ho pensato: "Siamo tanti" e mi sono sentita felice. Ho avvertito come un brivido lungo la schiena che mi faceva sentire straordinariamente forte.
La seconda appartiene a qualche momento dopo. Siamo in Piazza Duomo: mentre la folla si dirada a causa della pioggia che ritorna dopo una parentesi di pallido sole, resta al centro un cane, solo, grosso e triste. Sembra quasi non accorgersi della gente che gli gira intorno e se sta lì, come se fosse ormai un rito quotidiano, ad aspettare che un altro giorno tramonti sulla città.
Fanno riflettere queste due immagini e sono il simbolo di ciò che è stata la giornata e ciò che ha significato essere a l'Aquila. Gli storici dell'arte hanno compiuto un atto di forza e di coraggio. Senza la minima esitazione hanno espresso con vigore ciò che pensano della gestione della cultura nel nostro paese e di come la negligenza che l'accompagna si sia ripercossa sull'Aquila, martire di un modus che è diventato prassi. A questa città abbiamo rubato l'anima. A quel centro storico gli abbiamo tolto la vita. Quello che lo stato ha compiuto è un omicidio premeditato, studiato a tavolino a colpi di mendaci new town.
Eppure noi abbiamo cominciato da qui, dalle macerie, dal silenzio, dalla fissità che avvolge quelle case distrutte, dall'odore di storia che ancora trasuda da quei brandelli di navate ed absidi nude davanti alla crudeltà di un sistema corrotto, avvelenato, sanguinario.
La cultura, la storia, il patrimonio non si costruiscono nella teca di un museo, nelle piazze deserte, nelle chiese pericolanti e vuote, nell'ignoranza del passato e nell'indifferenza verso il futuro. La cultura, la storia e il patrimonio sono il passeggiare nelle piazze, il suono delle campane, il fruire dei palazzi storici, la frequentazione delle chiese, il tocco del marmo e della pietra, la conoscenza del passato e la lungimiranza per il futuro.
Parafrasando Settis, bisogna avere una vista bifronte che sia rivolta al passato in virtù del futuro. E chi può rispondere a quest'esigenza? Gli storici dell'arte, senza dubbio. E lo devono fare rinunciando ad essere al servizio di becere esigenze di mercato che non fanno altro che porre la cultura al pubblico ludibrio, facendola scivolare nel business del divertimento e dello svago senza alcun fondamento scientifico e tecnico. Solo partendo da queste considerazioni si può ricostruire l'Aquila affidandola come primo punto ai propri cittadini che la vollero bella e piena di cultura sin dalla fondazione. E solo riconoscendo alla cultura un ruolo fondamentale per la tutela e la salvaguardia della democrazia si può ricominciare al fine di uscire da questa lunga notte che accompagna i beni culturali ormai da anni.
Come il cane randagio che resiste alla solitudine del terremoto non abbandonando il proprio luogo, così io resisto nella mia strenua battaglia al riconoscimento della cultura. Resisto appellandomi a quella legge non scritta della resistenza che mi consente di resistere alle corruzioni del tempo e dello spazio, alle tentazioni della logica consumistica per cui non c'è bisogno di salvaguardare, tutelare e conservare. E dopo l'Aquila lo farò con più forza perché so che non sono sola.
Parafrasando Settis, bisogna avere una vista bifronte che sia rivolta al passato in virtù del futuro. E chi può rispondere a quest'esigenza? Gli storici dell'arte, senza dubbio. E lo devono fare rinunciando ad essere al servizio di becere esigenze di mercato che non fanno altro che porre la cultura al pubblico ludibrio, facendola scivolare nel business del divertimento e dello svago senza alcun fondamento scientifico e tecnico. Solo partendo da queste considerazioni si può ricostruire l'Aquila affidandola come primo punto ai propri cittadini che la vollero bella e piena di cultura sin dalla fondazione. E solo riconoscendo alla cultura un ruolo fondamentale per la tutela e la salvaguardia della democrazia si può ricominciare al fine di uscire da questa lunga notte che accompagna i beni culturali ormai da anni.
Come il cane randagio che resiste alla solitudine del terremoto non abbandonando il proprio luogo, così io resisto nella mia strenua battaglia al riconoscimento della cultura. Resisto appellandomi a quella legge non scritta della resistenza che mi consente di resistere alle corruzioni del tempo e dello spazio, alle tentazioni della logica consumistica per cui non c'è bisogno di salvaguardare, tutelare e conservare. E dopo l'Aquila lo farò con più forza perché so che non sono sola.
La speranza è che questa sia davvero solo la prima di una lunga serie di incontri per la salvaguardia del nostro passato e per la tutela del nostro futuro.
Grazie l'Aquila 05 maggio.
Grazie l'Aquila 05 maggio.
Author : Unknown
Decreto Valore Cultura: abbiamo la Cultura, le diamo Valore?
Ieri sera i primi articoli sull'approvazione del Decreto Valore Cultura, le cui disposizioni trovate qui.
Non appena è arrivata la comunicazione dell'approvazione, abbiamo in molti pensato che possa cambiare qualcosa in questo settore incompreso, come un genius loci dimenticato, come un pittore maledetto che non trova mecenate illuminato, come una di quelle opere che abbiamo in cantina e di cui ci ricordiamo quando a qualcuno viene in mente che potremmo cederla per un pò di soldi e per la quale si risveglia la nostra possessione.
E abbiamo pensato anche che il nome del decreto, che mette insieme le parole Valore e Cultura, con quelle lettere iniziali maiuscole, fosse l'inizio di un cambiamento.
Pubblico la notizia sui social network, e mi riservo di lasciare il tutto sedimentare per una notte, perché a leggere alcuni punti, un pò di senso di impotenza riaffiora, quella sensazione che attanaglia la nostra sfera emotiva e che non ci permette neanche di tirare fuori la rabbia, è lì, perché (mi permetto di usare il noi) noi, giovani che diventano adulti nella statica cecità della governance italiana, nella Cultura ci credevamo, e in molti ci crediamo ancora, abbiamo studiato, ci siamo specializzati, perdiamo ancora il nostro tempo libero dietro questa chimera, e non vogliamo arrenderci a credere che la Cultura italiana debba essere destinata a spegnersi, come ferita a morte, sul ciglio della strada della noncuranza.
Voglio analizzare stamattina i principali punti del decreto, suddivisi per Grandi Progetti, Valore Cinema Spettacolo e Valore Risorse.
Valore Grandi Progetti. Vi sono Disposizioni per la tutela, il restauro e la valorizzazione del patrimonio culturale italiano. La prima urgenza è Pompei, quel sito archeologico che negli ultimi anni è stato scenario di figure miserrime per la nostra nazione, quel sito il cui simbolo non sono più le bellezze ma i crolli continui, quel sito che ha ricevuto milioni di fondi pubblici ed europei svaniti nel nulla, è ora al centro di nuovi ingenti finanziamenti. Io mi sento indignata e pretendo che su questi investimenti ci sia trasparenza, e se gli obiettivi non verranno raggiunti con la qualità del lavoro, che qualcuno ne paghi le conseguenze, perché significa lavoro di scarsa qualità.
Sono stati decretate le idee vincitrici delle "99 Ideas - Pompei". Quando sono andata a leggere di cosa si trattasse mi sono trovata davanti progetti, spesso fumosi, che si traducevano in organizzazione del sito e promozione di eventi e programmi di vario tipo. Mi chiedo come sia possibile che in uno scenario del genere tutto questo non fosse già proposto da chi si occupava di gestire il sito, non fosse ordinaria amministrazione. Mi sono sentita ferita nel leggere in questa iniziativa delle proposte che sono alla base di una buona gestione guidata dal buon senso e dal senso pratico. Perché permettiamo che la maggioranza dei nostri siti arranchi in questo modo? Perché ci lamentiamo dei pochi visitatori senza creare attrattiva intorno ai nostri beni? Chi dovrebbe guidare i curiosi se non una scintilla innescata da chi il patrimonio lo gestisce?
Sarà istituita a Pompei la figura del Direttore generale che dovrà occuparsi della gestione del sito, e vi scrivo la mia profezia: dovrà avere competenze economiche e manageriali, quindi, chiunque speri che quel posto possa essere lasciato ad una persona con competenze in primis culturali o archeologiche, ed in secundis economiche, lasci le sue speranze.
Confido nel fatto che prima o poi i dirigenti del Ministero vengano informati del fatto che ci sono professionisti culturali che studiano management.
Riponiamo le speranze nei suoi collaboratori, un massimo di 20 persone provenienti dall'amministrazione statale, e 5 esperti in materia giuridica, economica, architettonica, urbanistica ed infrastrutturale.
Gli assunti nelle nostre PA hanno una media di 50 anni, quindi lascio a voi immaginare quanto mi aspetti da queste persone, a cui non voglio togliere niente, ma a cui non si possono chiedere le energie di giovani che hanno studiato con il sogno di lavorare in un parco archeologico di importanza nazionale, con un futuro incerto e gran desiderio di trovare un lavoro per ciò che han studiato.
Ma possiamo contare sugli esperti! Dal come scorrono le competenze è chiaro che quelle relative alla materia stretta del sito vengano dopo a quelle giuridiche ed economiche. Ricordiamo inoltre che il sito sta cadendo a pezzi.. dove sono i diagnosti, i restauratori, i conservatori e gli archeologi?
Chi ha le competenze tra queste figure per salvaguardare e monitorare questo ambiente così vasto ed eterogeneo per materiali presenti?
Vado oltre pensando sia incredibile l'istituzione di una nuova Soprintendenza: quelle esistenti spesso non funzionano, e piuttosto che dare uno scossone a queste realtà, ne creiamo una nuova con gli stessi identici meccanismi perché si occupi di Pompei, Ercolano e Stabia, come se queste realtà non potessero essere gestite come macro poli museali. Di cosa si occuperà questa Soprintendenza? Chi saranno i suoi dipendenti?
Troviamo sbandierato poi l'inserimento dei giovani.. con un tirocinio di 12 mesi!
Ci prendete in giro, vero? Diteci che i tirocini sono volti all'assunzione, perché io vorrei vedermi finalmente scritto su un decreto che voi i giovani li volete stabilizzare, non dargli il contentino di un anno per poi ributtarli in mezzo alla strada. Senza considerare che con il lavoro di costruzione di un sistema museale all'avanguardia, è necessaria una programmazione ed un lavoro continuativo che non può essere fatto dai tecnici nominati precedentemente, né da un via vai di tirocinanti che non hanno alle spalle una struttura organizzativa solida e funzionante. Stiamo davvero investendo al meglio le risorse?
Io non sono contraria al tirocinio, ma è un'occasione di formazione che non deve sostituirsi al lavoro di un'equipe specializzata, ma darle valore aggiunto. Fondare un lavoro di salvataggio su tirocini rischia di andare a finire in un volontariato culturale "elevato" a un gradino superiore, che fa quel che può per tenere a galla una barca alla deriva.
E poi leggo finalmente qualcosa che mi piace: gli introiti derivanti dai biglietti e dal merchandising dei beni culturali, non verranno regalati allo stato in una onestissima percentuale del 75%, ma verranno riassegnati interamente dal MiBAC, con la speranza di una programmazione di ricrescita nazionale, con attenzione anche alle piccole realtà che mai ricevono un soldo.
Alcuni spazi statali e demaniali saranno affidati ad artisti under 35 sulla base di concordi pubblici. Ora, io non voglio rovinare la piazza agli artisti, ma non potrebbe succedere che anche non-artisti abbiamo qualcosa da proporre? E perché solo under 35?
Apriamo poi una campagna straordinaria di inventariazione e digitalizzazione! Qui non si tratta di lanciare campagne psichedeliche, ma di renderle attualizzabili con fondi o con del personale che abbia le competenze per digitalizzare al meglio. E qui taccio.
Riforma delle fondazioni lirico-sinfoniche: ma dove abbiamo trovato 75 milioni di euro?!
Cambia le governance: istituito il pareggio di bilancio e per evitare sprechi e finanziamenti a pioggia, i fondi saranno distribuiti in base alle attività svolte e rendicontate.
E infine, finalmente, un privato può decidere di destinare il proprio denaro alla Cultura con agevolazioni fiscali: fino a cinquemila euro le donazioni non avranno oneri amministrativi a carico del privato che può decidere dove destinarli.
"Eppur si muove" disse Galileo osservando il cielo, ed io, nonostante un pò di amaro, metterò a mente che un minimo passo è forse meglio di non farne affatto.
Author : Unknown
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