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Denuncia al volontariato culturale


La Cultura è di tutti.

Il patrimonio culturale e paesaggistico è di tutti.
Ma chi deve prendersene cura?


In questo momento di crisi l’unico settore che sembra mantenersi in attivo è quello culturale, e il nostro patrimonio così ricco, diffuso e palpabile sta prendendo un posto in primo piano nelle tavole rotonde in cui si dibatte sul futuro e le sue prospettive economiche: tutti parlano di Cultura e valorizzazione, ma c’è un “ma”.

Il “ma” sono chiacchiere: non abbiamo una pianificazione per lo sviluppo, ma tante parole che si ripetono da decenni.

Il patrimonio culturale è un settore strategico di importanza crescente in Europa, un settore trainante la cui conservazione e valorizzazione richiedono notevoli risorse economiche e umane: sono oltre 5 milioni i volontari delle associazioni culturali che spesso si sostituiscono alle istituzioni pubbliche per sopperirne alle mancanze e ai tagli dei fondi. Questi animi dediti al servizio e amanti della Cultura, della nostra storia, delle nostre tradizioni, spesso fanno in modo che luoghi dimenticati da tutti rimangano aperti e visitabili al pubblico. E gli amanti di una gita fuori porta e del patrimonio ringraziano lieti...

ma io li voglio denunciare.

Voglio denunciare il volontariato nel settore culturale.

Non voglio sminuire il lavoro dei volontari, ma vorrei che queste risorse non si sostituissero alle figure specifiche che l’Italia vanta di formare nelle proprie università per privarle poi della loro professionalità e di un lavoro.

Voglio denunciare il volontariato come strumento di svalutazione professionale, un’arma a doppio taglio verso un settore-risorsa bistrattato.

“In una economia occidentale sempre più immateriale la cultura è il vero motore per produrre nuovo pensiero, nuove idee. La cultura, di conseguenza, verrà a configurarsi come essenziale assetto d’impresa in uno scenario economico dove a vincere saranno le idee e non la materia, e diverrà il tessuto connettivo che metterà in relazione i protagonisti che agiscono sul territorio siano essi istituzionali che imprenditoriali, culturali e turistici. Un distretto economico evoluto può rendere il territorio culturalmente attrattivo attraverso una attenta valorizzazione, anche in chiave turistica, del patrimonio in riferimento a una di domanda di qualità e a ridotto impatto ambientale.”

Così scriveva Franco Gravina, presidente Associazione Pratese Amici dei Musei e dei Beni Ambientali nel 2009, in Volontariato e cultura come sviluppo locale.

Pier Luigi Sacco, docente di Economia della Cultura allo Iulm, al Convegno "Stati Generali del Volontariato Culturale" parla di «volontariato culturale come fonte di innovazione».

Non dobbiamo pensare che i volontari debbano fare ciò in cui mancano stato e mercato:

«Il volontariato deve diventare la nuova frontiera del benessere sociale» ha detto, spiegando come nella società digitale i volontari possono produrre loro stessi contenuti, essere coinvolti, partecipare. Ma analizziamo la situazione attuale: questo è vero nel momento in cui in un settore si investe, le professioni vengono riconosciute, quando in un percorso di crescita si crede fortemente e alla base dello sviluppo vi è un team qualificato nel settore preposto alla programmazione.

Alle porte del 2013 siamo ancora qui, giovani laureati in ambito culturale, a chiedere la possibilità di portare a tutti la Cultura.

Il sogno di vivere in Italia


Sarà che oggi ho letto un articolo relativo alla fuga dei laureati dall’Italia, sarà che siamo in un periodo in cui dobbiamo cercare di intravedere il futuro, oggi riaffioriano alla mia mente un discorso sentito un pò di tempo fa alle Ravenna Future Lessons e la continua esaltazione dell’estero da parte degli studenti universitari ormai sfiduciati (come biasimarli?) verso il sistema Italia.
Chi tra i giovani non vorrebbe vivere un’esperienza all’estero?
Tutti vorremmo vivere un’esperienza all’estero, sia per un confronto aperto che per avere qualche possibilità in più, perché l’erba del vicino è sempre la più verde e forse in questo momento, lo è veramente!
Il rapporto Istat sulle migrazioni internazionali e interne della popolazione residente ci dice che negli ultimi 10 anni, dal 2002 al 2011, la percentuale di laureati che lasciano l’Italia è salita dall’11,9% al 27,6%. Il dato è allarmante, ma per i prossimi anni ci vengono richiesti rigore e sacrifici, con tagli alle assunzioni, alla ricerca, ai servizi, alle pensioni future per le quali non avremo versato abbastanza contributi..
I laureati in fuga dall’Italia cercano un lavoro, meritocrazia e senso civico.
Sì, andiamo alla ricerca di certezze e di un luogo in cui possiamo essere valorizzati.
E sentiamo continuamente parlare dell’estero. Così come una volta c’era il mito dell’America, ora abbiamo il mito del generico estero: ma se io volessi la mia opportunità di vivere e lavorare in modo specialistico in Italia?
Il problema non è il confronto con l’estero, ma il fatto che stia diventando una strada senza ritorno e una delle poche percorribili per chi non si accontenta.
Io pretendo la dignità della mia istruzione, classe magistrale in scienze per la conservazione e restauro, bistrattato mondo scientifico del patrimonio culturale.
Fino al XIX secolo nella formazione dei più grandi artisti del tempo vi era il viaggio in Italia. Già allora i resoconti dei viaggi parlavano dell’incuria e del menefreghismo che spesso dimostriamo per il nostro patrimonio. Semplicemente: è nella nostra quotidianità, lì ad osservarci mentre ci passiamo di fianco frettolosamente distratti e pensiamo che potremmo sempre vederlo domani... e poi fatichiamo a visitare tutti i musei della città in cui viviamo.
In ogni caso eravamo considerati abitanti di un paese privilegiato, e ora i giovani laureati italiani lasciano la propria nazione, senza un ricambio. Dov’è finita l’eccellenza dell’istruzione italiana? Dobbiamo avere il coraggio di stare qui e lottare per il nostro futuro?
Quanti sono i giovani laureati che ambiscono all’Italia per un percorso di eccellenza?
La risposta è poco incoraggiante, e non la scriverò, ma a volte chiedo a me stessa se arriverà anche per me il momento del dubbio: arrendermi al mito, o continuare la Resistenza, lottare, con la speranza di non svegliarmi con il vento il mano e davanti a me dei mulini a vento?

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