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Movite, nun te fermare... dalla Liguria al Salento

Ci sono serate che ti lasciano impressa un'impronta di magia ... il luogo, le persone, l'evento o cosa? Difficile dare risposta eppure quando mi capitano la sola cosa che penso è: "Vivere di tutto questo è tutto quello che voglio". E il "tutto questo" si concretizza in una parola: cultura. 
Ho ancora addosso quella musica, come fosse un profumo in una sinestesia di emozioni. E ve ne voglio parlare perché le cose belle si raccontano così da poterle rivivere ogni volta che si vuole. Siamo diventate sm-Art people proprio per questo!
Un paesino, Forlimpopoli (FC), una manifestazione, il XIX festival di Musica Popolare, due gruppi, "I liguriani" e "Canzoniere grecanico salentino"e un luogo, la Rocca, fuori medievale e dentro intrisa di quel Novecento col suo fardello di guerre, gravi, pesanti e sanguinarie. Un vecchio cinema occupa un'ala della corte e i volti di Clint Eastwood, Sofia Loren, Audrey Hepburn e Sean Connery impressi sui manifesti degli anni '50 chiedono a gran voce di essere ascoltati e il barista su in un angoletto, mentre fuori suonano le zampogne liguri, guarda le partite di calcio ("L'inter vince, ma pure il Milan però", mi dice, dopo la mia domanda indagatrice un po' per gufare). 
Sì perché noi italiani siamo così: ci giriamo intorno e la meraviglia delle bellezze che ci circondano non la cogliamo oppure l'abbiamo talmente immagazzinata che, appunto, non ci sorprende. Io, però, sono quell'italiano che ancora si emoziona ascoltando le musiche di questa mia nazione e non mi interessa se sono più a nord della mia latitudine natale o non sono il mio sud. 
Nella cornice di questo evento culturale, mentre le disseminate feste del Pd, trascinate da ragioni che non ci sono più, producono incessantemente un gran cumulo di parole, rinnovo quello spirito che mi ha fatto scegliere la cultura come scopo della mia vita e nonostante le difficoltà e le angosce non riesco farne a meno, a rassegnarmi alla sconfitta. La musica mi trascina, il ritmo lo sento scorrere nelle vene e poco importa se quel passaggio non lo so fare bene: siamo nati per ballare, per farci trasportare e per assaporare il clima gradevole di una notte di fine estate. 

Perché non vivere di tutto questo? Tutto ci appartiene e porta alla ricchezza, prima interiore e poi esteriore. Conservare quel che siamo in modo semplice, senza sotterfugi. 
La platea era piena: le persone si uniscono quando a richiamarli è la melodia dell'anima e tutti con una gran voglia di ballare, anche se poi molti si limitavano a battere il piede dalla sedia su cui erano seduti o ad accompagnare con le mani il battito delle percussioni.
Senza parole, senza discorsi artificiali e senza perorare quella o l'altra causa, si saltella a ritmo di pizzica in memoria di quelle donne che al diavolo ci credevano davvero e a quelle spose che attendevano il matrimonio per lasciarsi prendere dal "focu d'amore".
Si balla per gioco, si balla per amore, si balla per dimenticare e le grida, i testi e la voce che accompagnano quei movimenti sono un invito alla vita, a non mollare mai perchè "ci te fermi è na malencunia". 
E allora: "Ausate, movite, tira ca tira nun te fermare; movite, minate, la voce è forte, falla sentire". 
Ed eccola la mia voce, il mio movimento. Racchiudo quel momento in queste parole perché qualcuno possa sentire il grido di questo mondo che si sta perdendo. 
Siamo la musica che ascoltiamo, l'arte che vediamo, i libri che leggiamo, non il frutto di un congegno meccanico.
Resistiamo affinché tutto questo non possa mai morire o semplicemente affievolire il suo canto, oscurare i propri colori e sbiadire le pagine della poesia. 

Il richiamo delle "Canne al vento"

Questa sera sono tornata all'Ex Convento dei Cappuccini di Quartu Sant'Elena in occasione della manifestazione estiva Quartu Colora l'Estate 2013.
Devo dirmi stupita di trovare tante iniziative gratuite per la città che andranno avanti per oltre un mese, in orario serale, in belle location quali parchi, o luoghi di interesse storico quale il chiostro, salvo non comprendere l'incapacità di sponsorizzare fortemente l'iniziativa. 
Caro Comune, hai una pagina Facebook creata appositamente per la rassegna nel 2012: davvero è possibile che ad oggi tu abbia raggiunto 620 cittadini, che corrispondono allo 0.9% scarso della tua popolazione residente? Perché comunicare dell'iniziativa che inizia l'11 agosto solo due giorni prima? 
Caro Comune, i cittadini, che sono bravi a lamentarsi sui social, hanno però bisogno di sentirsi coccolati, di vederti presente e premuroso, ricco di iniziative. Spero che tu possa cogliere le loro esigenze, che nonostante tutto, hanno risposto al richiamo di Grazia Deledda.
L'associazione Figli d'Arte Medas ha proposto una lettura di "Canne al vento", capolavoro della scrittrice sarda, Grazia Deledda, nata a Nuoro nel 1871, che vinse il Nobel per la Letteratura nel 1926.
Con la rassegna nella rassegna "Geografie letterarie - Viaggio in Sardegna attraverso le pagine dei libri", il pubblico è stato portato in viaggio nella Sardegna di un secolo e mezzo fa attraverso la voce narrante di Gianluca Medas, accompagnato dalla musica dal vivo di Andrea Congia.



"Tutto il giorno Efix, il servo delle dame Pintor, aveva lavorato a rinforzare l’argine primitivo da lui stesso costruito un po’ per volta a furia d’anni e di fatica, giù in fondo al poderetto lungo il fiume: e al cader della sera contemplava la sua opera dall’alto, seduto davanti alla capanna sotto il ciglione glauco di canne a mezza costa sulla bianca “Collina dei Colombi”.

Eccolo tutto ai suoi piedi, silenzioso e qua e là scintillante d’acque nel crepuscolo, il poderetto che Efix considerava più suo che delle sue padrone: trent’anni di possesso e di lavoro lo han fatto ben suo, e le siepi di fichi d’India che lo chiudono dall’alto in basso come due muri grigi serpeggianti di scaglione in scaglione dalla collina al fiume, gli sembrano i confini del mondo."

Inizia così il viaggio degli attenti spettatori, guidati dal suono del racconto, fino al poderetto e al fiume, uno sfondo torrido, ma agitato dal vento, animato da spiriti e allo stesso tempo fatalmente umano. La Sardegna descritta dalla Deledda ha il sapore della vita di un piccolo paese, lontano dalla frenesia del progresso, immerso nei ritmi ancestrali della terra e della festa. Forse questa atmosfera non è poi così lontana dai piccoli centri disseminati nelle varie regioni del territorio italiano... 

Ben presto ci accorgiamo che le dame Pintor, Ruth, Ester e Noemi, un tempo simbolo del paese, ora nobili in decadenza, oltre alla loro condizione sociale, assistono al declino della propria giovinezza e della propria vitalità. E con loro, Efix il loro servo, e Giacinto il loro nipote, entriamo nel vortice della debolezza umana...

ed esco da questa atmosfera con le parole di colui che si è definito un vecchio narratore:
nell'era delle comunicazioni, non siamo più capaci di esprimere le nostre emozioni, e la bellezza sta lì, nella loro completezza. 
Ricerchiamo la bellezza delle parole, del loro suono, della sensazione che vogliamo suscitare. 
E mentre mi stendo per riposare, il mio pensiero torna a quel libro dalla sovracoperta color arancio e blu, letto e ri-letto, come se ancora mi mancasse una parte della sua essenza.
Nella sua lettura mi sono sentita parte viva di questa terra che porto dentro di me, che chiudendo gli occhi posso respirare, che porto nei miei tratti e nei miei atteggiamenti come i personaggi del libro. 
Il romanzo lascia un che di polveroso, un senso di inesorabile scorrimento del tempo, un senso quasi di impotenza all'incessante avanzare della decadenza.. ma noi oggi, riunendoci in un chiostro ad ascoltare una vecchia storia, ci siamo fatti attirare dall'incantesimo del racconto nella sua forma più tradizionale.
Quasi cento persone erano lì stasera. Come chiamare questo richiamo?
Io lo chiamerei il richiamo della bellezza, della riscoperta delle piccole cose, della piazza affollata solo per sentire una storia che potrete vivere leggendo il romanzo alla fine di una torrida estate.

"Sì, siamo esattamente come le canne al vento. 
Noi siamo le canne e la sorte il vento".
Ester "Sì, va bene, ma perché questa sorte?"
Efix: "E perché il vento? Solo Dio lo sa"

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