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Missioni smartiane: Regali a Palazzo: cronaca di un'avventura smartiana

Quando insegui un sogno, il segreto per non soccombere alla fatica, alle negatività e alla rassegnazione è chiudere gli occhi e lasciarsi andare. Facile, direste voi, eppure è così difficile abbassare le palpebre e sognare quando nella vita sembra che ti manchino appigli e soprattutto che la tua serenità sia continuamente minata dal demone interiore della ricerca di se stessi.

Questo lo spirito con cui mi sono trascinata in stazione dirigendomi a "Regali a Palazzo" (http://www.regaliapalazzo.it/), manifestazione a cui le sm-Art People sono state invitate a seguito della selezione al concorso  GITA, iniziativa regionale per la promozione e l'avviamento delle nuove imprese (http://www.progettogita.net/#).



Parto: 60minuti e avrei rivisto Bologna. Che effetto mi avrebbe fatto? Una città che ho amato dal primo momento, uno scrigno di cultura che ti accoglie tra le sue braccia dandoti quello che ha di più prezioso: la sua storia.
Arrivo: Bologna è già in stazione. Luogo di storia d'Italia, snodo ferroviario, cuore pulsante della città.
Esco dalla stazione: autobus, taxi, semaforo. La triade che ti accoglie e che ti dice: "Bentornata".
All'improvviso so che sono lì per un motivo: a Bologna tutti vengono per un motivo. Studio, sport, economia, cultura, musica. Io ero lì per inseguire il mio sogno e lo avrei fatto dalle stanze di Palazzo Re Enzo, tra il Nettuno e la chiesa di san Petronio, nella celeberrima piazza maggiore, fissata nell'eterno di una canzone "Piazza Grande" che risuona nella mia testa ogni volta che la varco.
Guidata dai portici di via Indipendenza (nome più evocativo non poteva esserci per il corso principale della città) mi dirigo alla sede dell'esposizione. Uno sguardo alle torri, un saluto alla Piazza e si entra in scena.



Un tavolo, due sedie, un pannello bianco pronti ad aspettarmi nel luogo assegnatomi.
Come rendere Tùkè, un cultural social network, tangibile? Di che materia sono fatti i "web dream"? Queste le domande di fronte a quello spazio vuoto. Mano in borsa: pc, pennarelli, post-it, fogli A4 bianchi. E io, smartiana DOC, con tutta la mia buona volontà. Ne viene fuori un collage colorato, semplice e in fieri come un'opera di Boccioni.
Arrivano le autorità. Giacche, cravatte, tailleur e tubini sfilano davanti ai miei occhi. Dietro di loro telecamere e fotocamere pronte a riprendere e a scattare. Mi alzo in piedi, davanti a me un signore con lo sguardo curioso. Non ho idea di chi sia, scoprirò poi che si tratta del presidente regionale di CNA. Spiego il mio progetto, distinguendo bene cosa intendo per cultura e giustificando la mia presenza dato che il campo d'azione include anche l'artigianato artistico. Rincaro la dose sottolineando che questo è il primo strumento che si occupa specificatamente della cultura e che è davvero singolare che in uno stato che fa dell'artigianato e della cultura il proprio "core business" non ci sia neanche un'associazione di categoria per le professioni legate alla cultura, né un settore in CNA per le professioni web e la creatività digitale.
Silenzio di tomba. Risposta: "Non molli questo progetto, la passione che leggo nei suoi occhi la porterà lontano". Eccolo! E' il momento in di abbassare le palpebre e sognare. Per un attimo lo faccio e lo sento vivo il mio sogno, ne avverto la prepotenza nel mio animo. Una stretta di mano e si torna alla realtà.
Intorno a me vestiti cuciti da mani esperte, bomboniere realizzate con fantasia ed eleganza, fragranze mescolate ricordando gli odori dei viaggi e armi di altri tempi restaurate e riprodotte artigianalmente.


Primo passo: cos'è Tùkè in tutta questa materialità? E' l'unione, lo strumento che può dare valore a queste attività immettendole nel Web! Ed ecco che mi ritrovo a presentami come promotrice della loro attività. Prima di tutto collaborazione.
Secondo passo: come posso allora farmi conoscere e dare io valore a quello che faccio, considerati gli sguardi alienati che provengono dagli "umarell" (non me ne vogliano i bolognesi per il dialetto magari scritto sbagliato), ossia i vecchietti, che transitano davanti al banchetto? Basta dire "strumento di valorizzazione sul Web" e subito salta su un bolognese doc che dice "e lo leggevo sul Carlino due giorni fa che il futuro è il Web. Sei il futuro, dunque, signorina?".
Bella domanda. Non so se sono il futuro perché il futuro è qualcosa che in questo momento non mi è permesso minimamente di valutare né di mettere in conto. Viviamo in un continuo presente fatto di scelte, sbagliate, controcorrente o forzate. Questi i pensieri che attraversano la mia mente in quel momento. 
Al vecchietto però rispondo così. "Spero di essere il futuro, un futuro accessibile a tutti gli amanti della cultura".
Risposta: "In bocca al lupo".

E crepi sto lupo, crepi finalmente! :)  

Eredita una fortuna, ma la butta via

Se ereditassi una fortuna, la butteresti via?
Se avessi un Raffaello, lo regaleresti?
Se ti portassero via il Colosseo, saresti contento?

A gran voce molti direbbero di no, eppure un italiano su due non riconosce il valore del suo patrimonio e lo cataloga come rudere o preferirebbe portarlo via perché del resto, lo sanno tutti, con la cultura non si mangia. E allora perché preoccuparci di preservarla?

Rileggiamo drammaticamente alcuni passi del rapporto 2012 preparato per conto della Commissione Europea dalla Eenc, la Rete europea degli esperti sulla cultura, che dimostra quanto l'Italia se ne freghi di investire su un ambito riconosciuto cruciale volano di sviluppo in tutta Europa.
E a quasi un anno da questo rapporto, nel clima di insicurezza politica in cui viviamo, nessuno parla di piani di sviluppo strutturali per l'economia e per il nostro patrimonio.

Stiamo perdendo la nostra identità?
L'Europa ci chiede di custodire quell'identità che ci rende riconoscibili in tutto il mondo perché noi siamo gli eredi delle civiltà che hanno reso grande l'Europa per secoli.

Il rapporto è stato commissionato da Bruxelles per la programmazione UE 2014-20, la quale si fonda su una ferma convinzione: la cultura è una priorità perché vale tanto, anche in termini economici. 
La cultura e le attività creative "costituiscono ormai il 3,3% del pil Ue (contro il 2,6% del 2006) e il 3% dell’occupazione. Un potenziale particolarmente elevato per l’Italia, che si vanta di ospitare il 70% dei beni artistici mondiali".  Si legge nel rapporto: "se vi fosse un serio tentativo di dare alla cultura la giusta priorità nell’agenda politica del paese, vi potrebbe essere una seria possibilità che i settori culturali e creativi diano un importante contributo nel ridisegnare la tanto agognata formula per una nuova crescita per l’Italia". E invece che si fa?

L'ITALIA CONTINUA A TAGLIARE (-35% tra il 2008 il 2011, per arrivare allo 0,2% del pil)!

Il danno non solo materiale, ma anche di immagine, può essere devastante. Come conseguenza, tale identità potrebbe morire se non si farà qualcosa per impedirlo.

Ad essere guasto è il sistema: dalla politica alle persone. E chi ne paga le conseguenze sono i giovani: sfiduciati, demotivati, fuorviati anche nella scelta del proprio percorso formativo. Le università culturali chiudono e chi si specializza nel settore culturale è costretto ad andare all'estero, dove la professione "culturale" è ricercata e appartiene ad un business redditizio.
Nella nostra quotidianità associare il termine business alla cultura è visto come una speculazione e non come una risorsa. Siamo ancorati a sistemi educativi che ci mostrano l'arte e la cultura come ozium, e passatempo gratuito; eppure in passato i grandi artisti e gli uomini di cultura erano pagati e posti ai vertici della scala sociale.
Forse è ora che cominciamo a guardare i nostri riconoscimenti da esterni, mettendo da parte lamentele e pregiudizi e dandoci una possibilità cogliendo il monito che l'Europa da troppo ci lancia. E' una sfida. La cogliamo?
Il tempo sta scadendo: ci lasceremo sfuggire anche quest' occasione?

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