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Riflessioni smartiane: Riconoscimento delle professioni culturali: un punto di partenza
Ieri un post condiviso su un gruppo spento di cui faccio parte ha visto passare una sarcastica cometa. Parlo di gruppo spento perché nonostante l'energia e la carica positiva per lo svolgimento di un corso in un settore teoricamente fondamentale per il nostro patrimonio (correva l'anno 2007), dopo appena sette anni dalla conclusione del corso tecnico superiore in Diagnostica applicata al restauro, sembra finalmente arrivare il riconoscimento delle professioni culturali.
Sette anni fa: il momento in cui arrancavo nei corridoi di quella università in cui non mi riconoscevo più, quei corridoi che percepivo così grigi e tristi da sentirmene appiattita.
Sette anni fa: la scoperta di un mondo affascinante e coloratamente pigmentato, dominato dalla scienza, dalle attività di laboratorio, dall'elaborazione di dati che completano il quadro di una sfera incredibile qual è quella dell'arte.
Sette anni fa: la presa di coscienza di volermi specializzare in diagnostica, il ponte che avevo invano cercato per anni tra sfera umanistica e strettamente scientifica, finalmente una possibile strada da percorrere davanti a me.
Sette anni fa: la decisione di allontanarmi dalla mia amata terra, mollare tutto e partire alla volta di un'università ed una città sconociute, con la certezza di tornare. Tornare con competenze nuove, riconosciute, professionalizzanti.
Con valigia e cuore in mano, occhi velati, partii dalla Sardegna alla volta di Ravenna, e ancora sono qui, impegnata nella costruzione di un sogno.
Allora non avrei mai pensato ad un blog dedicato alla cultura, di trovare il coraggio di espormi e scrivere in prima persona ciò che vivo e sento, svelare il mio sguardo sul mondo, vedere i miei sogni di ricerca su diversi scenari. Come una crocerossina, volgo il mio interesse alle sfere culturali in difficoltà: sette anni fa sognavo la diagnostica, ora, diagnosta a tutti gli effetti (o se volete usare il termine tecnico, Conservation Scientist) con una laurea magistrale in mano e un dottorato in corso, sogno una Cultura per tutti, una bellezza più digitale. Sogno una comunicazione ed un marketing culturale che facciano risplendere tutte le peculiarità del nostro territorio, sogno che anche questo sia riconosciuto come professione, come lavoro da retribuire. Sogno di non sentirmi più dire che non sia possibile aprire, all'interno di un ciclo di lezioni, una finestra sull'economia della Cultura. Sogno di non essere chiamata illusa, ma combattente, perché continuare a credere in ciò che faccio e impiegarci tante energie, costa sacrifici e delusioni.
Tuffo nel passato e torno nel presente, consapevole della strada percorsa, delle competenze acquisite, delle battaglie vinte e di quelle perse. Negli ultimi giorni, più volte mi sono trovata a dire che "nel bene o nel male, purtroppo in tutto questo ci credo ancora". Giustiziera di cause nobili e bistrattate, sono ancora qui, in Italia, a lottare.
Col mio viaggio continua anche quello dell'iter legislativo del Ddl n. 362, che porterà delle modifiche al Codice dei Beni Culturali in materia di professioni culturali. Il disegno di legge riconoscerà (pare) come professionisti dei beni culturali: archeologi, archivisti, bibliotecari, demoetnoantropologi, antropologi, esperti di diagnostica e di scienze e di tecnologia applicate ai beni culturale, storici dell'arte.
Gli smottamenti in questo settore stupiscono e si vestono di sospetto: troppi movimenti per un settore che non è ritenuto portante nell'economia di questo strano paese? Si tratta dello zuccherino a chi da anni lotta per il riconoscimento della propria competenza al pari di coloro che hanno un proprio albo?
Quel che è certo è che finalmente la dignità di chi si è formato con anni di studio e ricerca verrà finalmente sancita. Il paese in cui chi studia il patrimonio non è riconosciuto come professionista, è un paese privo di capacità di visione strategica. Come valorizzare la propria nazione senza conoscerne le ricchezze e l'identità culturali?
Per concludere, riconoscimento o no, nel mio piccolo mondo continuo a percepire lotte e problemi di non-comunicazione tra i diversi settori del patrimonio. Stiamo costruendo un futuro per tutti, dove la competenza di ognuno sia sinergica al lavoro degli altri professionisti? Ora la nostra visione dovrebbe spostarsi su questo: come convivere e collaborare realmente per la costruzione di un percorso lavorativo insieme.

Author : Unknown
Affittasi opere d'arte italiane in ottimo stato (forse)
Opere d'arte in affitto... detta così sembra un'eresia per il bel paese.
Eppure questa è una delle proposte di decreto del governo Letta, ancora da approvare.
Eppure questa è una delle proposte di decreto del governo Letta, ancora da approvare.
Noi che abbiamo il David e il Colosseo ci mettiamo in vendita... siamo pazzi?
Le Sm-art People però vi chiedono: qual'è l'alternativa per i beni "custoditi" nei depositi?
Si metta in fila davanti al parlamento chi ha la soluzione.
Affittare il nostro patrimonio ai paesi stranieri non è certo un modo per salvare la nostra economia e soprattutto la nostra noncuranza del patrimonio, ma potrebbe essere un'opportunità dai risvolti positivi.
Riflettiamoci insieme.
A costo zero e senza nulla togliere alle collezioni museali che raramente programmano la rotazione delle opere e che non hanno spazi (e fondi) per renderle pubbliche e/o visitabili in percorsi espositivi periodici, potremmo avere un introito da destinare ai restauri, alla conservazione e alla crescita del personale per le attività dei musei.
Aggiungiamo poi l'enorme ritorno in immagine. Musei come il British di Londra e il Rijksmuseum di Amsterdam hanno dimostrato come rendere visibili e fruibili (online e offline) le loro collezioni abbia portato ad un aumento di visitatori di oltre il 30% ed un coinvolgimento delle istituzioni cittadine per la valorizzazione dell'intera città: ad Amsterdam adesso si va anche solo per Cultura (!!) e si parla di marketing e rivalutazione su scala urbana!
Perché, dunque, non portare all'estero l'arte italiana, garantendole tutela, conservazione e una giusta collocazione? Il provvedimento prevede infatti dei vincoli per gli eventuali affittuari, in primis garantire alle nostre opere l'esposizione in spazi dedicati alla "cultura italiana".
Un'ultima riflessione, ancor più provocatoria: finora il destino dei depositi lo abbiamo mai considerato?
Chi li difende da muffe, umidità, incuria, polvere?
Chi sa effettivamente cosa c'è nei depositi?
Esiste un archivio che li cataloga?
Nei depositi si trova di tutto: solo dieci anni fa, al Museo Archeologico di Napoli, è stato ritrovata un'opera del Carracci tra le statue dell'epoca romana, non catalogato e lasciato lì, sul pavimento di un deposito.
E siamo pronti a denunciare e condividere lo stato di degrado di Pompei, la Reggia di Caserta, il Colosseo.. ma come proteggere tutto questo senza fondi e in tempo di crisi?
Questa allora potrebbe essere un'occasione di riscatto per una parte delle nostre opere, per avere un quadro più completo del nostro patrimonio e un modo per valorizzarlo. Si potrebbero finalmente utilizzare competenze per catalogarlo, studiarlo e tutelarlo e potremmo avere un patrimonio in grado, in parte, di autofinanziarsi. Un patrimonio per ora percepito solo come un peso, un qualcosa di vecchio che si lusinga perché almeno per una volta, non ha subito altri tagli (Decreto del Fare, 17 giugno 2013).
Unico monito al governo (semmai qualche ministro leggerà queste parole) è quello di affidare questo lavoro, almeno in questa occasione, alle giuste competenze, a chi ha studiato per questo, preferibilmente giovani!!
E che questi soldi siano poi realmente destinati alla Cultura e al nostro patrimonio, non a rimpinzare le tasche degli scialacquoni!
E che questi soldi siano poi realmente destinati alla Cultura e al nostro patrimonio, non a rimpinzare le tasche degli scialacquoni!
Italiani, dunque, priva di levarvi per un retorico impeto di orgoglio nazionale (soprattutto perché magari dietro l'angolo è appena crollato un cornicione di un edificio storico), riflettete sulle opportunità che un bene può offrire, senza svendersi, senza prostituirsi, ma semplicemente mettendosi in mostra per quello che è: un'opera d'arte, frutto della nostra storia, che per anni, se è stata fortunata, si è trovata imballata al buio in un deposito.
Author : Unknown
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