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Riflessioni smartiane: "Eppur si muove"? O ci ubriachiamo di illusioni?



Da diversi giorni rimbalza online la notizia del Decreto Cultura promosso dal ministro Franceschini (rif. http://www.tafter.it/wp-content/uploads/2014/05/Decreto_Turismo_Cultura_DL_MIBACT-15-maggio-2014.pdf). 
Per due notti ho perso il sonno e la vista a leggere gli articoli del provvedimento cercando qui e là con il mio immancabile spirito sognatore le parole sperate.
Interessanti le proposte: possibilità di poter finalmente scattare foto nei musei e condividerle (senza scopo di lucro), finanziamento per la musica lirica, rinnovamento della tax credit per la musica.
Su tutti, l'articolo che ha fatto più notizia è quello legato al mecenatismo: chi investe in cultura ha agevolazioni fiscali fino al 65% ammortizzabili in tre anni. 
I musei e le istituzioni, previa giustificazione delle spese e obbligo di pubblicazione dei finanziamenti ricevuti, possono accogliere investimenti da privati per favorire il recupero, la tutela e la valorizzazione dei beni in loro gestione.
Che bello, si direbbe! Ma il personale attualmente assunto è in grado di fare questo tipo di programmazione? Sa gestire i progetti e valutare con metodi scientifici e competenze tecniche il da farsi?
Scrutando per bene ogni singolo emendamento, correzione e/o proposta, noto qui e là provvedimenti un po’ ambigui: dalla gestione del “Progetto Pompei” che prevederà norme più semplici per velocizzare gli interventi alla proposta di gestione per gli spazi della Reggia di Caserta fino all’introduzione di una Tourist Card che dovrebbe agevolare negli acquisti, nelle prenotazioni e negli spostamenti i turisti che vengono in Italia.
Riflessioni: semplificare la procedura per l'accesso ai finanziamenti è davvero la strada più efficace?
Affidare a manager (esperti di cosa?!) la gestione di patrimoni così compositi e vasti come la Reggia di Caserta è davvero quello di cui si ha bisogno? Proporre l'ennesima card come se fossimo alla COOP è davvero un servizio ai turisti?

Ho provato ad esultare di fronte a queste novità, a trovare il valore di simili scelte eppure manca qualcosa. Sembra tutto girare intorno ad una corsa a tamponare i buchi, a mettere le pezze su un sistema che, ahimè, va riformato dalla radice.
“Cosa servirebbe?” è la domanda ricorrente per me. La risposta è quella che inseguo da anni, quella che ho ascoltato iscrivendomi alla facoltà di Conservazione dei Beni Culturali. Ci vuole competenza. Per salvare un Ministero allo sbaraglio non bastano due norme e qualche incontro formale, vedi ad esempio la riunione del 30 maggio per discutere di “Comunicazione sul Web”. L’intero sistema va rivisto dalle fondamenta; non sono i selfie e qualche scatto intelligente a dare linfa vitale ad un settore allo sbando.
C’è bisogno di forze nuove; c’è bisogno di un rinnovato interesse che parta dal sociale e che si riconosca in nuove figure professionali formate su altre esperienze, come quella sul Web.
La comunicazione e la divulgazione delle immagini devono essere libere dalle costrizioni burocratiche ed essere affidate a persone che vogliono fare della cultura il proprio mestiere e non l’”hobby” delle ore notturne (come me in questo caso che scrivo alle 00.30 dal mio letto).
In rete ci sono numerosi progetti in questo senso: si sta capendo che la rete, la condivisione e lo sviluppo di piani di comunicazione integrati sono la giusta risposta. O rappresentano comunque un inizio di un movimento.
Vogliamo davvero puntare sulla cultura per ragioni sociali ed economiche o ci piace ormai riempirci la bocca della parola cultura per pura retorica?
Generare valore dalla cultura si può, ma il valore parte dalle persone, da chi ama questo settore e ne vuole sposare la causa dandogli nuove opportunità. 
Mi stupisce che si pensi ai manager per risolvere i problemi della cultura. Se i manager non sono riusciti a risolvere il problema della crisi economica mondiale, come possono aiutare la cultura? E con quali competenze?
La cultura non ha numeri quantificabili, non ha ricadute misurabili e non ha proiezioni prevedibili.
La cultura vive di conoscenza. La cultura necessità di diffusione e partecipazione.


Online siamo in tanti a credere che lavorare in cultura si può, ma abbiamo bisogno di un'occasione concreta, non di uno spazio in rete vincolato a dei contenuti che in un certo senso "ci cantiamo e ci suoniamo da soli".



Che dire, noi ci siamo. Ma il governo c'è?

"Eppur si muove" diceva qualcuno... ma ho l'impressione che in questo caso ci stiano ubriacando di parole.


Riflettiamo. Insieme.

Only the brave (solo il coraggioso)

Cultura, sempre lei. La parola di cui tutti facciamo sfoggio almeno dieci volte al giorno vantandoci della nostra cultura personale, della cultura di Dante che, diamine, era italiano o di quella di Da Vinci anche lui italiano e della bellezza che ci circonda, anch'essa italiana. 

Eppure cultura e Italia/italiano sembrano a tratti cozzare sia nella gestione specifica del settore sia nell'inserimento della Cultura nei piani di sviluppo economico nazionale. 
Siamo tutti degli ottimi oratori quando si tratta di vantare le gesta dei romani, però poi diamo a Ridley Scott la possibilità di fare di Decimo Meridio il protagonista di un suo film (e di farci un mucchio di soldi) mentre la tomba (vera) del gladiatore è lasciata all'abbandono sulla devastata via Appia.  

Qualcosa però si muove. Mi commuove ancora ripensare ad un ministro che vaga umilmente nella Reggia di Caserta armato di bicicletta e smartphone (mica auto blu e troupe della RAI?). O anche il rimembrar di una giornata, quella del 05 maggio 2013, che ha condotti noi storici dell'arte all'Aquila  per provare a ricominciare e per guardare con i nostri occhi attenti il disastro procurato. 
Allora la domanda sorge spontanea: cosa manca? Lo ripeto mille volte al giorno nella mia testa. Essendo una fagocitatrice di parole e di immagini sono partita da una riflessione frutto di questo tempo trascorso a romanzare immagini e immaginare parole: quello che rende unica la cultura è la capacità di perpetuare nel tempo un'idea. Sia essa una concezione filosofica o una prerogativa estetica, quell'idea è il cuore della cultura ed è il cardine delle rivoluzioni (culturali, s'intende). 
E qual'è l'idea delle idee? Cos'ha condotto uomini a battersi per un ideale? A ostinarsi nel proporre quel modo espressivo? Il CORAGGIO. Ecco: seduta davanti ad una finestra rigenerata dalla brezza estiva, provo a dire la mia. La cultura si fa con il coraggio.
Tutti noi dovremmo cominciare ad avere il coraggio di dire no di fronte alla retorica di cui ci cospargono; dovremmo cominciare a dire no all'umiliazione di regalare le nostre competenze; dovremmo renderci conto di avere in mano le chiavi del nostro futuro e di guardare al futuro come tutti i grandi prima di noi hanno fatto e alcuni continuano a fare.
Da dove comincia il Rinascimento? Dalla follia di un pittore che nell'umile chiesetta di Assisi sconvolse la pittura occidentale: Giotto. Il suo ciclo pittorico delle Storie di S. Francesco anno domini 1302 è l'atto primo della modernità. L'uomo è il centro attorno al quale si muove l'universo, compreso quello divino incarnatosi nella figura di san Francesco. Da lì si diffonde questo ronzio che diventa un urlo alla scoperta dell'America, anch'essa frutto di un folle, italiano, salpato a cercare le Indie. E poi c'è il più coraggioso di tutti, un certo Lorenzo de' Medici, il Magnifico, che crea un circolo di artisti e pone al centro della sua Firenze la conoscenza, creando un mito riconosciuto e diffusosi in tutto il mondo.
Da dove comincia il nostro "rinascimento"? Comincia da chi ci vuole credere, da chi è disposto a stare col naso all'insù per ammirare una cattedrale e perdersi nelle sue architetture o da chi sta chino alla scoperta di un tesoro archeologico. Comincia da chi analizza le opere d'arte e ne studia la materia come fosse un medico con un paziente ed è orgoglioso della sua professione. Comincia da chi se ne frega dell'accademismo e della belle parole e comincia a fare. Si comincia dal basso, dal proprio territorio e dall'immensa fortuna di avere una rete, una tastiera e uno spazio virtuale sui quali avere la libertà di esprimersi.
La libertà è coraggio e il coraggio è libertà ... di essere se stessi.
Se vogliamo che qualcosa cambi dobbiamo cambiare il nostro modo di pensare ed essere pronti ad accogliere un ronzio, seguire il flusso delle nuove idee e non abbarbicarci sulle nostre convinzioni.
Il cambiamento è coraggio e il coraggio è il cambiamento.... delle cose.
Per capire il segreto e la forza della cultura non si deve partire dai piani economici o da ambiziosi progetti ingegneristici. Servono passione, competenza e lungimiranza. Cambiare la prospettiva, come fecero gli artisti rinascimentali, e tuffarsi in un nuovo oceano di conoscenza, partendo da chi la cultura la mastica. 
La passione è coraggio e con essa si può costruire un nuovo mondo della conoscenza. 
Per questo, only the brave. E le sm-Art people lo sono, ostinatamente lo sono. 

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