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Luoghi smartiani:Tasselli di storia: la Cappella di Nostra Signora di Bonaria in Quartu Sant'Elena

Facciata della Basilica di Sant'Elena Imperatrice e della adiacente Cappella di N.S. di Bonaria,  Quartu Sant'Elena
Basilica di Sant'Elena Imperatrice e Cappella di N.S. di Bonaria,
Quartu Sant'Elena

Piazzale della Basilica di Sant'Elena Imperatrice. Su questa terra il sole, anche ai primi di gennaio, stempera la pelle e ha insinuato il tepore in tutte quelle persone che, dopo la celebrazione della festività dell'Epifania, si sono fermate a salutarsi, a dare senso a quella piazza che, pur centrale, ha perso la sua funzione comunitaria e sembra ogni tanto riprendersela.


Questa mattina, su quel piazzale, mi sono fatta attrarre da un portone che per anni ho visto chiuso, che nella mia infanzia era chiuso. Così oggi a quella porta aperta non ho potuto resistere.
Tornata per le feste nella mia terra natia, a Quartu Sant'Elena, cittadina in provincia di Cagliari, mi soffermo ad osservare la facciata di questo spazio architettonico, tendente, nella sua semplicità, al barocco spagnolo sull'isola. Mi domando se potesse essere questo il primo impianto dell'adiacente Basilica di Sant'Elena, cresce la curiosità, mi avvicino, osservo il pavimento, ed entro.

Avanzo fino ad arrivare a curiosare nella seconda cappella laterale sulla sinistra: due statue policrome sopra un mobilio in legno dipinto sulle tonalità del verde. Osservo le decorazioni della tunica, cerco di fissarle nella mia mente per creare dei collegamenti ad altre opere locali.

Incuriosita, mi faccio raccontare di più da un confratello.



Statue lignee policrome rappresentanti la Buona Morte e la Buona Sorte, fine XVII secolo
Buona Morte e Buona Sorte, fine XVII secolo

Si tratta di due statuine gemelle, di matrice spagnola e risalenti alla fine del XVII secolo. Rappresentano la Buona Morte e la Buona Sorte, un culto affermatosi a Saragozza nel 1681 dopo la peste. Le due Madonnine con bambino in braccio sono speculari, ma nella prima il Bambino ha tra le mani un teschio, nella seconda, mancante di un braccio, non si osservano segni particolari. 
Un riferimento al dolore per chi ha perso qualcuno, per chi lotta nella sofferenza, per chi prega di non ammalarsi, per chi forse supplica, infettato, di morire o di salvarsi rimettendosi alla volontà della Sorte, perché quale uomo non ha paura all'incombere dell'ignota morte? 


Statua policroma di N.S. di Bonaria,
Quartu Sant'Elena
Mi giro verso il fondo dell'unica navata: una grande statua lignea policroma svetta all'interno di una pala lignea. La Sardegna è notoriamente devota alla Madonna di Bonaria: così la parrocchia di Sant'Elena Imperatrice volle seguire questa tradizione e, si dice seconda città in Sardegna, commissionò ad un artista della scuola napoletana una statua che, eseguita nel 1872 arrivò nell'isola all'inizio dell'anno successivo, e dopo la sua benedizione a Cagliari, fu portata a Quartu Sant'Elena tra folle festanti... arrivò d'oltremare "vestita" di tunica e manto, ma su quest'isola ricevette un velo bianco, corona e navicella, poiché lei è la protettrice dei naviganti.
La struttura in legno che ospita la statua non rispecchia oggi le sue dimensioni e forme originali poiché questa non era la sua collocazione, e la sua altezza supera quella della cappella. Le parti restanti sono state conservate, ed ora una parte della storia delle tradizioni religiose della cittadina è ancora accessibile, tutti i sabati e tutte le domeniche.

All'interno della cappella di Nostra Signora di Bonaria vi erano inoltre un forziere del '600, ligneo e rivestito di metallo, un Cristo in croce portato in processione, della stessa epoca, la cui croce è stata sostituita, un antico stendardo della confraternita, due troni lignei che fino a qualche decennio fa si trovavano in Basilica, una croce moderna con i simboli del martirio, forse ripresa dalle piccole croci con gli stessi simboli appesi in alcune strade della città e che vorrei andare ad osservare, e la croce de "su scravamentu", una tradizione antica, in uso fino a meno di un secolo fa in Quartu, rivisitazione della deposizione di Cristo.

Quanto è affascinante farsi raccontare ciò che è ormai dimenticato, nell'oblio di ciò che troppo spesso è considerato solo un fardello legato a pesanti tradizioni religiose snobbate e surclassate da nuove correnti di pensiero, da nuovi stili di vita, ma come dimenticare che questa è la nostra storia? Lo è anche quando in essa non ci riconosciamo più e ce autodiserediamo.

Incalzo sul confratello: "Ma questo può essere un primo impianto della Basilica di Sant'Elena Imperatrice?"
Il piccolo edificio, noto come Ex oratorio delle anime, è stato costruito tra il 1754 ed il 1755: ad aula unica con volta a botte, presentava un transetto, due cappelle sulla destra ed una sulla sinistra. All'esterno, i muri perimetrali sono sovrastati da una cornice dentellata. In facciata, sopra il portone si apre una finestrella ottagonale, si conclude con una cornice modanata, e centralmente un semplice campanile a vela. 
Nel 1818-25 la seconda cappella a destra ed il braccio del transetto furono demoliti nella ricostruzione dell'attuale Basilica a favore di una nuova cappella.
La consacrazione della cappella avvenne nel 1761 per decreto vescovile: si trattava della cappella cimiteriale, ma perse la sua funzione quando fu inaugurato l'attuale cimitero della città, intorno alla chiesa di San Pietro in Monte nella seconda metà del XIX secolo. Qualche anno dopo la cappella fu affidata alla confraternita di Nostra Signora di Bonaria che, rinata, se ne occupa tuttora. 
Il mio dubbio è stato fugato, la Basilica, come avveniva in passato ed avviene tuttora, è costruita su fondamenta antiche, ma questa cappella pare nata con altre funzioni.

Così la storia e l'arte isolana sono giunte a me inaspettate, come un bel regalo di fine festività, come un tassello di memoria da tramandare, come un prezioso libricino di racconti, come un filo da snodare nel viaggio in questa isola che troppo spesso non si vede abbastanza.

Il richiamo delle "Canne al vento"

Questa sera sono tornata all'Ex Convento dei Cappuccini di Quartu Sant'Elena in occasione della manifestazione estiva Quartu Colora l'Estate 2013.
Devo dirmi stupita di trovare tante iniziative gratuite per la città che andranno avanti per oltre un mese, in orario serale, in belle location quali parchi, o luoghi di interesse storico quale il chiostro, salvo non comprendere l'incapacità di sponsorizzare fortemente l'iniziativa. 
Caro Comune, hai una pagina Facebook creata appositamente per la rassegna nel 2012: davvero è possibile che ad oggi tu abbia raggiunto 620 cittadini, che corrispondono allo 0.9% scarso della tua popolazione residente? Perché comunicare dell'iniziativa che inizia l'11 agosto solo due giorni prima? 
Caro Comune, i cittadini, che sono bravi a lamentarsi sui social, hanno però bisogno di sentirsi coccolati, di vederti presente e premuroso, ricco di iniziative. Spero che tu possa cogliere le loro esigenze, che nonostante tutto, hanno risposto al richiamo di Grazia Deledda.
L'associazione Figli d'Arte Medas ha proposto una lettura di "Canne al vento", capolavoro della scrittrice sarda, Grazia Deledda, nata a Nuoro nel 1871, che vinse il Nobel per la Letteratura nel 1926.
Con la rassegna nella rassegna "Geografie letterarie - Viaggio in Sardegna attraverso le pagine dei libri", il pubblico è stato portato in viaggio nella Sardegna di un secolo e mezzo fa attraverso la voce narrante di Gianluca Medas, accompagnato dalla musica dal vivo di Andrea Congia.



"Tutto il giorno Efix, il servo delle dame Pintor, aveva lavorato a rinforzare l’argine primitivo da lui stesso costruito un po’ per volta a furia d’anni e di fatica, giù in fondo al poderetto lungo il fiume: e al cader della sera contemplava la sua opera dall’alto, seduto davanti alla capanna sotto il ciglione glauco di canne a mezza costa sulla bianca “Collina dei Colombi”.

Eccolo tutto ai suoi piedi, silenzioso e qua e là scintillante d’acque nel crepuscolo, il poderetto che Efix considerava più suo che delle sue padrone: trent’anni di possesso e di lavoro lo han fatto ben suo, e le siepi di fichi d’India che lo chiudono dall’alto in basso come due muri grigi serpeggianti di scaglione in scaglione dalla collina al fiume, gli sembrano i confini del mondo."

Inizia così il viaggio degli attenti spettatori, guidati dal suono del racconto, fino al poderetto e al fiume, uno sfondo torrido, ma agitato dal vento, animato da spiriti e allo stesso tempo fatalmente umano. La Sardegna descritta dalla Deledda ha il sapore della vita di un piccolo paese, lontano dalla frenesia del progresso, immerso nei ritmi ancestrali della terra e della festa. Forse questa atmosfera non è poi così lontana dai piccoli centri disseminati nelle varie regioni del territorio italiano... 

Ben presto ci accorgiamo che le dame Pintor, Ruth, Ester e Noemi, un tempo simbolo del paese, ora nobili in decadenza, oltre alla loro condizione sociale, assistono al declino della propria giovinezza e della propria vitalità. E con loro, Efix il loro servo, e Giacinto il loro nipote, entriamo nel vortice della debolezza umana...

ed esco da questa atmosfera con le parole di colui che si è definito un vecchio narratore:
nell'era delle comunicazioni, non siamo più capaci di esprimere le nostre emozioni, e la bellezza sta lì, nella loro completezza. 
Ricerchiamo la bellezza delle parole, del loro suono, della sensazione che vogliamo suscitare. 
E mentre mi stendo per riposare, il mio pensiero torna a quel libro dalla sovracoperta color arancio e blu, letto e ri-letto, come se ancora mi mancasse una parte della sua essenza.
Nella sua lettura mi sono sentita parte viva di questa terra che porto dentro di me, che chiudendo gli occhi posso respirare, che porto nei miei tratti e nei miei atteggiamenti come i personaggi del libro. 
Il romanzo lascia un che di polveroso, un senso di inesorabile scorrimento del tempo, un senso quasi di impotenza all'incessante avanzare della decadenza.. ma noi oggi, riunendoci in un chiostro ad ascoltare una vecchia storia, ci siamo fatti attirare dall'incantesimo del racconto nella sua forma più tradizionale.
Quasi cento persone erano lì stasera. Come chiamare questo richiamo?
Io lo chiamerei il richiamo della bellezza, della riscoperta delle piccole cose, della piazza affollata solo per sentire una storia che potrete vivere leggendo il romanzo alla fine di una torrida estate.

"Sì, siamo esattamente come le canne al vento. 
Noi siamo le canne e la sorte il vento".
Ester "Sì, va bene, ma perché questa sorte?"
Efix: "E perché il vento? Solo Dio lo sa"

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