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Rilfessioni smartiane: Matera: cuore, valore, futuro


Venezia, 2008. Salone dei Beni Culturali. Mi avvicina una ragazza, avrà avuto 20 anni (allora io ne avevo poco più!) e mi dice: "Vuoi fare un viaggio?!"
Io rimasi sorpresa dalla richiesta, ma spinta dalla mia curiosità smartiana, mi feci trascinare nel gioco!
Mi bendarono e mi accompagnarono in un percorso sensoriale:


Logo candidatura


-tatto: mi fecero accomodare su una balla di fieno
-olfatto: sentivo l'odore dell'erba, l'inconfondibile profumo della terra, del pane appena sfornato, dei fiori dei campi. Odori che mi riportavano a casa, alla mia terra, al mio inconfondibile sud.
- udito: sentivo lo scorrere di ruscelli, i passi che calpestavano le pietre e poi la musica popolare. Organetti, zampogne e flauti scandivano il ritmo delle campagne e della vita
- gusto: all'improvviso mi venne offerto del miele, un pezzo di formaggio e un sorso di vino
-vista: mi tolsero la benda e dal buio di una stanza vedevo su uno schermo scorrere le foto di Matera: i campi, il pane, i ruscelli, le pietre bianche scolpite dai secoli, i pastori, il cibo e i vigneti, i musicisti, le ballerine e un messaggio finale:

"Benvenuta a Matera"

Veduta Matera
In quel momento credo di essermi innamorata. Ero rimasta folgorata dalla semplicità e dall'amore che percepivo per questa terra.
Estasiata dal percorso, rinnovai i complimenti e mi iscrissi alla mailing list. Dopo anni mi scrissero per comunicarmi la decisione di candidarsi a Capitale della cultura, dicendo che avevano bisogno anche di me.
Di me? E perché? Stavano creando una comunità web a cui tutti potevano partecipare, senza vincoli e senza impegni, condividendo spontaneamente pensieri, parole e consigli.
Ancora una volta folgorata: attenzione, semplicità e amore erano ancora il leit motiv di questi miei amici del sud.

17 ottobre 2014. Arriva la notizia: Matera capitale della Cultura. Ho provato una gioia immensa.
Innamorata per la terza volta, e pensare che la città non l'ho mai vista, se non di passaggio quando ero piccola!Il paradosso è che, vivendo a Ravenna proprio dal 2008, ne ho vissuto interamente la candidatura. Perché, però, non sono rimasta folgorata?
Perché non ho sentito il trasporto, sebbene io sia affezionata a questa città che ho scelto per viverci? Ho partecipato ad eventi, condiviso pareri e conosciuto in diverse occasioni i protagonisti del progetto. 
Eppure non ho sentito il trasporto. Non ho sentito il cuore. E quello, ahimè, non mente.




Non entro nel merito dei giudizi, nè nei dettagli della validità dei progetti o delle caratteristiche tecniche della candidatura. Seguo il cuore e sento di dover dire che Matera ha vinto davvero con la cultura perché ha trovato nelle sue radici e nella sua semplicità la ricchezza più grande. Si è mostrata per ciò che è senza indugiare oltre. Essendo Europa nel modo in cui l'Europa è nata: vissuta e tradizionalista nella sua innovazione. Non ha decantato un passato glorioso, nè si è nascosta dietro personaggi illustri. 
Ha guardato avanti e si è vista nel 2019 partendo dalla terra, la sola e invincibile forza della Terra. Cosa c'è di più raro e prezioso? La cultura si fa con lungimiranza, proiettandosi in un futuro che si può solo immaginare, ma immaginandolo si concretizza. Matera allora è la cultura del futuro e in un periodo in cui è proprio il futuro quello che spaventa, credo sia la miglior risposta. 
Vincere è stato il suggello di un processo già in atto da diversi anni attraverso luoghi, immagini, storie e personaggi che l'hanno dipinta, ripresa, raccontata senza veli e senza nasconderne le ferite e le difficoltà. 

Vi ringrazio per quel viaggio che mi avete regalato. Adesso non ho proprio più scuse: devo venire a visitarti presto Matera!E ora smartiani chiudete gli occhi e viaggiate:




Onore a tutte le candidate sperando che i progetti presentati vengano comunque realizzati perché la cultura deve vincere sempre, senza la necessità di concorsi.
E io ci sarò. a Ravenna, come a Siena, come a Perugia, come a Cagliari e come a Lecce. E in tutte le città di questo meraviglioso paese. 

Luoghi smartiani:Tasselli di storia: la Cappella di Nostra Signora di Bonaria in Quartu Sant'Elena

Facciata della Basilica di Sant'Elena Imperatrice e della adiacente Cappella di N.S. di Bonaria,  Quartu Sant'Elena
Basilica di Sant'Elena Imperatrice e Cappella di N.S. di Bonaria,
Quartu Sant'Elena

Piazzale della Basilica di Sant'Elena Imperatrice. Su questa terra il sole, anche ai primi di gennaio, stempera la pelle e ha insinuato il tepore in tutte quelle persone che, dopo la celebrazione della festività dell'Epifania, si sono fermate a salutarsi, a dare senso a quella piazza che, pur centrale, ha perso la sua funzione comunitaria e sembra ogni tanto riprendersela.


Questa mattina, su quel piazzale, mi sono fatta attrarre da un portone che per anni ho visto chiuso, che nella mia infanzia era chiuso. Così oggi a quella porta aperta non ho potuto resistere.
Tornata per le feste nella mia terra natia, a Quartu Sant'Elena, cittadina in provincia di Cagliari, mi soffermo ad osservare la facciata di questo spazio architettonico, tendente, nella sua semplicità, al barocco spagnolo sull'isola. Mi domando se potesse essere questo il primo impianto dell'adiacente Basilica di Sant'Elena, cresce la curiosità, mi avvicino, osservo il pavimento, ed entro.

Avanzo fino ad arrivare a curiosare nella seconda cappella laterale sulla sinistra: due statue policrome sopra un mobilio in legno dipinto sulle tonalità del verde. Osservo le decorazioni della tunica, cerco di fissarle nella mia mente per creare dei collegamenti ad altre opere locali.

Incuriosita, mi faccio raccontare di più da un confratello.



Statue lignee policrome rappresentanti la Buona Morte e la Buona Sorte, fine XVII secolo
Buona Morte e Buona Sorte, fine XVII secolo

Si tratta di due statuine gemelle, di matrice spagnola e risalenti alla fine del XVII secolo. Rappresentano la Buona Morte e la Buona Sorte, un culto affermatosi a Saragozza nel 1681 dopo la peste. Le due Madonnine con bambino in braccio sono speculari, ma nella prima il Bambino ha tra le mani un teschio, nella seconda, mancante di un braccio, non si osservano segni particolari. 
Un riferimento al dolore per chi ha perso qualcuno, per chi lotta nella sofferenza, per chi prega di non ammalarsi, per chi forse supplica, infettato, di morire o di salvarsi rimettendosi alla volontà della Sorte, perché quale uomo non ha paura all'incombere dell'ignota morte? 


Statua policroma di N.S. di Bonaria,
Quartu Sant'Elena
Mi giro verso il fondo dell'unica navata: una grande statua lignea policroma svetta all'interno di una pala lignea. La Sardegna è notoriamente devota alla Madonna di Bonaria: così la parrocchia di Sant'Elena Imperatrice volle seguire questa tradizione e, si dice seconda città in Sardegna, commissionò ad un artista della scuola napoletana una statua che, eseguita nel 1872 arrivò nell'isola all'inizio dell'anno successivo, e dopo la sua benedizione a Cagliari, fu portata a Quartu Sant'Elena tra folle festanti... arrivò d'oltremare "vestita" di tunica e manto, ma su quest'isola ricevette un velo bianco, corona e navicella, poiché lei è la protettrice dei naviganti.
La struttura in legno che ospita la statua non rispecchia oggi le sue dimensioni e forme originali poiché questa non era la sua collocazione, e la sua altezza supera quella della cappella. Le parti restanti sono state conservate, ed ora una parte della storia delle tradizioni religiose della cittadina è ancora accessibile, tutti i sabati e tutte le domeniche.

All'interno della cappella di Nostra Signora di Bonaria vi erano inoltre un forziere del '600, ligneo e rivestito di metallo, un Cristo in croce portato in processione, della stessa epoca, la cui croce è stata sostituita, un antico stendardo della confraternita, due troni lignei che fino a qualche decennio fa si trovavano in Basilica, una croce moderna con i simboli del martirio, forse ripresa dalle piccole croci con gli stessi simboli appesi in alcune strade della città e che vorrei andare ad osservare, e la croce de "su scravamentu", una tradizione antica, in uso fino a meno di un secolo fa in Quartu, rivisitazione della deposizione di Cristo.

Quanto è affascinante farsi raccontare ciò che è ormai dimenticato, nell'oblio di ciò che troppo spesso è considerato solo un fardello legato a pesanti tradizioni religiose snobbate e surclassate da nuove correnti di pensiero, da nuovi stili di vita, ma come dimenticare che questa è la nostra storia? Lo è anche quando in essa non ci riconosciamo più e ce autodiserediamo.

Incalzo sul confratello: "Ma questo può essere un primo impianto della Basilica di Sant'Elena Imperatrice?"
Il piccolo edificio, noto come Ex oratorio delle anime, è stato costruito tra il 1754 ed il 1755: ad aula unica con volta a botte, presentava un transetto, due cappelle sulla destra ed una sulla sinistra. All'esterno, i muri perimetrali sono sovrastati da una cornice dentellata. In facciata, sopra il portone si apre una finestrella ottagonale, si conclude con una cornice modanata, e centralmente un semplice campanile a vela. 
Nel 1818-25 la seconda cappella a destra ed il braccio del transetto furono demoliti nella ricostruzione dell'attuale Basilica a favore di una nuova cappella.
La consacrazione della cappella avvenne nel 1761 per decreto vescovile: si trattava della cappella cimiteriale, ma perse la sua funzione quando fu inaugurato l'attuale cimitero della città, intorno alla chiesa di San Pietro in Monte nella seconda metà del XIX secolo. Qualche anno dopo la cappella fu affidata alla confraternita di Nostra Signora di Bonaria che, rinata, se ne occupa tuttora. 
Il mio dubbio è stato fugato, la Basilica, come avveniva in passato ed avviene tuttora, è costruita su fondamenta antiche, ma questa cappella pare nata con altre funzioni.

Così la storia e l'arte isolana sono giunte a me inaspettate, come un bel regalo di fine festività, come un tassello di memoria da tramandare, come un prezioso libricino di racconti, come un filo da snodare nel viaggio in questa isola che troppo spesso non si vede abbastanza.

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